Il premio Nobel per la Pace, che aveva vinto le ultime consultazioni a Myanmar, agli arresti dopo il golpe del 1° febbraio, ha finalmente ricevuto l’accusa formale, ma non si sa la data del processo
Almeno da un punto di vista formale, un passo è stato compiuto. Il premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi sa ufficialmente di quali accuse dovrà rispondere al processo che verrà celebrato, in data ancora definire. Lo ha reso noto la stampa ufficiale attraverso il quotidiano statale Global New Light of Myanmar, secondo cui la leader del partito più votato dell’ex Birmania sarà perseguita per "frode elettorale e azioni illegali”.
Altri quindici funzionari, tra cui l'ex presidente della Repubblica Win Myint, arrestato anche lui durante il golpe di febbraio, saranno perseguiti per lo stesso reato.
Una condanna prevedibile
Non è sorprendente, per certi versi. Già nel novembre del 2020, all’indomani delle ultime consultazioni libere tenutesi a Myanmar, il generale Min Aung Hlaing, capo delle forze armate, aveva contestato i risultati del ballottaggio e ne aveva chiesto la riverifica, altrimenti l'esercito sarebbe intervenuto per risolvere la crisi politica in corso. La commissione elettorale, però, aveva negato queste accuse.
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Il golpe di febbraio
Nonostante ciò, il primo febbraio di quest’anno i militari hanno compiuto un colpo di stato, riportando alla guida del paese una Giunta, guidata dallo stesso Min Aung Hlaing. Un’azione che aveva scatenato le proteste in gran parte del Paese, ma che erano state represse con durezza e con un numero di morti ancora incerto.
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La condanna della comunità internazionale
Dura la condanna della comunità internazionale, con la sola eccezione della Cina, storica alleata della Giunta militare birmana. Ad oggi, l’unico sostenitore del Paese, che invece è sempre più isolato a livello internazionale.
Le Nazioni Unite, attraverso il proprio Segretario Generalep Antonio Guterres, hanno condannato fermamente la detenzione dei leader e hanno descritto il colpo di stato come "un grave colpo alla democrazia in Birmania". I risultati elettorali, monitorati da osservatori internazionali, avevano fornito un’indicazione chiara: un mandato forte al partito del premio Nobel.
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L’opposizione all’Onu di Cina e Russia
ll Consiglio di Sicurezza dell’Onu aveva tenuto una riunione di emergenza, in cui era stata proposta una risoluzione che sollecitava il "ripristino della democrazia" in Myanmar, condannava l'azione dei militari e chiedeva di rilasciare i detenuti. La dichiarazione non è stata rilasciata a causa del mancato sostegno di tutti i 15 membri del Consiglio.
Cina e Russia, in quanto membri permanenti del Consiglio e quindi con potere di veto, hanno rifiutato di appoggiare la dichiarazione.