Il premier canadese sull'arresto a Vancouver della figlia del fondatore del colosso cinese: “Siamo un Paese con sistema giudiziario indipendente”. Lavrov: "Inaccettabile". Ue: "Dobbiamo essere preoccupati". Ma l'azienda replica: "Sorpresi, non siamo minaccia"
“Posso assicurare a tutti che siamo un Paese con un sistema giudiziario indipendente e che le autorità competenti hanno preso le decisioni su questo caso senza alcun coinvolgimento o interferenza politica”. Il premier canadese Justin Trudeau parla dell’arresto della top manager di Huawei Meng Wanzhou, avvenuto a Vancouver nell'ambito di un'indagine Usa. Trudeau ha spiegato di essere stato informato con qualche giorno di preavviso dell'intenzione delle autorità canadesi di arrestarla. La figlia del fondatore di Huawei, direttrice finanziaria della società, è stata arrestata ieri in Canada su richiesta degli Usa con le accuse di aver violato le sanzioni all'Iran. "In Canada, su richiesta americana, si è agito in questo modo, è una cosa inaccettabile. Un atteggiamento di grande arroganza politica e da superpotenza. Bisogna porre fine a tutto questo", ha attaccato il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov.
Ue: "Dobbiamo essere preoccupati". Huawei: "Non siamo minaccia"
"In realtà non sappiamo molto" sul caso Huawei "ma come persone normali dobbiamo essere preoccupati", ha detto invece il vicepresidente della Commissione Ue al digitale Andrus Ansip. E ha spiegato che "dobbiamo essere preoccupati perché la Cina ha fissato nuove regole in base a cui le loro imprese devono cooperare con la loro intelligence" e "io sono sempre stato contrario a backdoor obbligatorie. Non è un buon segno quando le imprese devono aprire i loro sistemi ai servizi segreti". A stretto giro la replica dell’azienda che si dice "sorpresa e delusa dai commenti" arrivati dall'Ue. "Siamo aperti al dialogo con Ansip per chiarire queste incomprensioni" e, sottolinea Huawei, "siamo parte della soluzione, non il problema", in quanto "nessun governo ci ha mai chiesto di costruire backdoor o interrompere le reti", la "cybersicurezza è sempre stata la nostra priorità".
Trump: "Negoziati con Cina stanno andando bene"
"I negoziati con la Cina stanno andando molto bene", rassicura invece Donald Trump, dopo la giornata nera sui mercati per il caso Huawei. Ieri infatti l’arresto ha affondato le Borse di tutto il mondo, dall'Asia a Wall Street.Mentre il consigliere economico della Casa Bianca, Larry Kudlow, ha sottolineato che il caso Huawei è semplicemente un caso legato alla sicurezza nazionale e non dovrebbe interessare i negoziati con la Cina sul commercio.
Le accuse
Meng Wanzhou, 46 anni, figlia di Ren Zhengfei, è vicepresidente e capo finanziario del colosso delle telecomunicazioni cinesi. È stata arrestata a Vancouver, durante un trasferimento da un volo a un altro, nell'ambito di una indagine Usa su un presunto uso del sistema bancario mondiale per eludere le sanzioni americane all'Iran, in particolare tramite HSBC Holdings Plc. A rivelare questi dettagli sono alcuni media Usa, i quali precisano che Hsbc non sarebbe sotto inchiesta. Meng Wanzhou ora rischia di essere estradata. Huawei era nel mirino della giustizia americana almeno dal 2016.
Le reazioni: Borse a picco e tensioni Usa-Cina
Nonostante le rassicurazioni di Washington, si teme un'escalation delle tensioni tra Usa e Cina, dopo la fragile tregua dei dazi siglata al G20. Pechino ha già reagito duramente. L'ambasciata a Ottawa ha accusato il Canada di aver arrestato un cittadino cinese "che non ha violato alcuna legge americana o canadese" e ha chiesto di "correggere immediatamente l'errore" e di "rilasciare" quella che è considerata la donna più potente dell'hi-tech cinese. "Esprimiamo una ferma opposizione e protestiamo con forza contro questa grave violazione dei diritti umani", ha detto un responsabile dell'ambasciata. Più prudente Huawei: "Siamo convinti e fiduciosi che le autorità canadesi e statunitensi raggiungeranno una conclusione corretta e imparziale. Huawei rispetta tutte le leggi e le regole dei Paesi in cui opera", ha fatto sapere il gigante cinese, specificando di non essere "a conoscenza di illeciti" e che "sono state fornite poche informazioni riguardo alle accuse". Il ministero degli Esteri cinese ha chiesto a Ottawa di "rivelare i motivi dietro l'arresto", ma il ministero della Giustizia canadese ha spiegato di non poterlo fare dopo che la stessa Meng Wanzhou ha chiesto e ottenuto un divieto di pubblicazione dei dettagli. No comment finora anche dal distretto giudiziario orientale di New York, che ha mosso le accuse. Oggi è prevista l’udienza in cui si deciderà se la donna può essere scarcerata su cauzione.
Sullo sfondo il giro di vite contro Huawei
L'arresto coincide con il giro di vite in Occidente contro la tecnologia Huawei, per il timore che possa essere usata da Pechino proprio a scopi spionistici o cibernetici (anche se la società insiste che non c'è alcun legame governativo). L'amministrazione Trump, tramite il “National Defense Authorization Act” approvato lo scorso agosto, ha già vietato l'uso dei suoi telefonini nelle agenzie governative e, insieme ad Australia e Nuova Zelanda, ha bloccato l'uso delle sue dotazioni nelle infrastrutture per realizzare le reti ad alta velocità di quinta generazione (G5). Londra non ha messo al bando Huawei, ma lo ha fatto Bt, la compagnia privata che domina il network delle tlc in Gran Bretagna, affermando che non userà le tecnologie della società cinese. Anche il governo giapponese, secondo quanto una fonte governativa ha anticipato all'agenzia Kyodo, starebbe per cedere alle pressioni degli Usa. La guerra a Huawei, diventato il secondo produttore mondiale di smartphone dopo aver superato l'americana Apple, si inserisce in una partita più ampia degli Usa per mantenere la supremazia nelle tecnologie strategiche. Finora ne hanno fatto le spese altre aziende hi-tech cinesi, accusate spesso di hackeraggi e violazioni delle sanzioni americane, in particolare a Teheran e Pyongyang. L'ultimo caso è stato quello del colosso Zte, che ha rischiato la bancarotta per un bando poi sostituito da una multa, grazie a un accordo fra Trump e Xi.