Brescia, assolto da femminicidio per "delirio gelosia": le motivazioni

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La patologia psichiatrica che era stata riconosciuta dalle consulenze della difesa e dell’accusa. Il presidente della Corte d’Assise: “Appare necessario non confondere il movente con il raptus e l’allucinazione”

Sono state depositate quest’oggi le motivazioni della sentenza che lo scorso 9 dicembre aveva assolto l’80enne Antonio Gozzini dall’accusa di femminicidio nei confronti della moglie Cristina Maioli per incapacità d’intendere e volere dettata da un totale vizio di mente dovuto a un “delirio di gelosia”. La patologia psichiatrica era stata riconosciuta da due consulenze, della difesa e dell'accusa, durante il dibattimento.

Le motivazioni della sentenza

Il presidente della Corte d’Assise di Brescia, Roberto Spanò, nelle 28 pagine del documento scrive: "Vanno tenuti ben distinti il delirio da altre forme di travolgimento della facoltà di discernimento che, non avendo base psicotica, possono e debbono essere controllate attraverso la inibizione della impulsività ed istintualità". Secondo la Corte, "appare necessario non confondere i disturbi cognitivi con le episodiche perdite di autocontrollo sotto la spinta di impellenti stimoli emotivi; la liberazione dell'aggressività in situazioni di contingenti crepuscoli della coscienza con la violenza indotta dalla farneticazione nosologica; il 'movente' con il 'raptus' e 'l'allucinazione'; il femminicidio con l'uxoricidio".

"Vicenda dai profili inquietanti"

Il disturbo psichiatrico è evidenziato da due distinte consulenze, della difesa e della accusa. "La vicenda presenta profili inquietanti proprio perché l'impulso omicida si è infiltrato nella mente dell'imputato in modo silente, ma con insistenza ossessiva, fino a deflagrare il mattino del fatto in una 'spinta irrefrenabile', ricalcando lo schema tipico della sindrome delirante, ove il disturbo non interferisce di norma con la quotidianità" scrive la Corte d'Assise. Gozzini, insegnante in pensione e per il quale è stato disposto il trasferimento in una Rems, era convinto che la moglie, pure lei insegnante ma ancora in attività, lo tradisse. Per i giudici bresciani "ciò che ha connotato il "delirio di gelosia" del Gozzini non è la presenza o l'assenza del tradimento, bensì la modalità con cui è pervenuto alla conclusione. Non vi è infatti un passaggio logico in grado di spiegare il mutamento d'idea che lo ha indotto a distanza di anni a riesumare eventi ordinari come episodi devastanti".

Pm aveva chiesto ergastolo

La pm Claudia Passalacqua aveva chiesto la condanna all'ergastolo sostenendo che l'uomo aveva "ucciso per vendetta perché la moglie lo voleva far ricoverare per la depressione". Per la Corte d'Assise di Brescia "l'assunto accusatorio si pone tuttavia in aperto contrasto con i riscontri storici, da cui non è desumibile alcuna decisa opposizione del Gozzini all'eventualità di un ricovero. La richiesta di condanna all'ergastolo - scrive ancora il presidente Spanó - non può che apparire distonica rispetto alle risultanze dell'indagine e del processo". I giudici bresciani ricordano inoltre che "con il verdetto assolutorio la Corte non intende certo riservare al Gozzini un salvacondotto o un trattamento indulgente a fronte della perpetrazione di un'azione orribile, ma semplicemente tener conto di un elementare principio di civiltà giuridica, quello della funzione rieducativa della pena, secondo cui non può esservi punizione laddove l'infermità mentale abbia obnubilato nell'autore del delitto la capacità di comprendere il significato del proprio comportamento". 

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