Caso Becciu, Marogna torna libera con obbligo di firma

Lombardia

Lo ha stabilito la Corte d’Appello di Milano, come riferito dai legali che assistono la manager arrestata lo scorso 13 ottobre nell’indagine vaticana sull’ex cardinale

Torna libera e con obbligo di firma Cecilia Marogna, la manager arrestata il 13 ottobre nell'indagine vaticana sull'ex cardinale (anche lui indagato) Angelo Becciu (LA DIFESA DI BECCIU - LE DIMISSIONI DEL CARDINALE - CHI È). Lo ha deciso la Corte d'Appello di Milano, come riferito dai legali dello studio Dinoia, che la assistono.

La scarcerazione

La 39enne cagliaritana coinvolta nell'indagine sull'ex numero due della Segreteria di Stato della Santa Sede, è stata scarcerata dopo essere finita a San Vittore, arrestata a Milano, tramite Interpol, su mandato di cattura delle autorità vaticane con le accuse di peculato e appropriazione indebita aggravata. Due giorni fa, davanti ai giudici della quinta penale d'appello (presidente del collegio Franco Matacchioni) era stata discussa l'istanza presentata dai legali dello studio Dinoia, che avevano chiesto di farla tornare libera o di disporre quantomeno i domiciliari. I giudici hanno deciso la scarcerazione ma con obbligo di firma. La Procura Generale aveva dato parere negativo alla scarcerazione della donna ravvisando il pericolo di fuga e la mancanza di un indirizzo preciso tra Milano e la Sardegna, fattore che ostacolava l'eventuale concessione dei domiciliari. Uno dei difensori, l'avvocato Fabio Federico, aveva contestato "alla radice" l'arresto che era stato convalidato peraltro dalla stessa Corte con conseguente misura cautelare in carcere, oggi revocata. Secondo il legale, che ha citato l'articolo 22 dei Patti Lateranensi, Marogna "non poteva essere arrestata dato che l'accordo tra Italia e Vaticano consente l'estradizione dal Vaticano all'Italia, ma non quella dall'Italia al Vaticano". Per la difesa, poi, non sussisteva nemmeno "il pericolo di fuga", poiché il suo arresto è avvenuto "sotto casa mentre stava andando al supermercato". I giudici hanno deciso, in pratica, che le esigenze cautelari possono essere tutelate con la sola misura dell'obbligo di firma.

L'ordinanza della Corte d'Appello di Milano

"La difesa ha introdotto una complessa tematica in ordine alla possibilità di concedere l'estradizione" di Cecilia Marogna, "relativamente alla quale si intravedono profili di apprezzabile sostenibilità, certamente suscettibile di ulteriore e doverosa valutazione nella sede di merito, allorché verrà esaminata la domanda di estradizione formulata dalla Santa Sede". Lo scrive la Corte d'Appello di Milano nell'ordinanza con cui ha scarcerato la manager. La difesa aveva sostenuto che Marogna "non poteva essere arrestata dato che l'accordo tra Italia e Vaticano consente l'estradizione dal Vaticano all'Italia, ma non quella dall'Italia al Vaticano".
I giudici, in sostanza, nell'ordinanza spiegano che non è scontato che verrà concessa l'estradizione, ma che il tema introdotto dalla difesa dovrà essere valutato nel procedimento. Scarcerando Marogna, la Corte (Matacchioni-Arnaldi-Siccardi) non ha accolto la richiesta della Procura generale che chiedeva il mantenimento della custodia in carcere "conformemente alla sollecitazione del Ministero della Giustizia". La Corte, poi, fa notare che Marogna "è cittadina italiana e vanta un indubbio radicamento sul territorio nazionale", essendo anche "madre di una figlia minorenne". Dunque, per i giudici la "esigenza di garantire in concreto che la persona della quale è domandata l'estradizione", di cui "sono documentati gli interessi coltivati nella vicina Slovenia", non "si sottragga all'eventuale consegna" può essere tutelata da "misure cautelari meno afflittive". Da qui l'obbligo di firma e non la custodia in carcere, la "cui necessità non è stata, peraltro, al momento nemmeno dimostrata". Marogna avrà l'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria nella stazione dei carabinieri "competente per il domicilio che verrà eletto all'atto della scarcerazione" nei giorni "di lunedì, mercoledì e venerdì". I giudici hanno anche disposto "il divieto di espatrio" e la "consegna" alle autorità di polizia "del passaporto".

La difesa: "Un atto di giustizia"

"Un atto di giustizia". Così gli avvocati Massimo Dinoia, Fabio Federico e Maria Cristina Zanni hanno definito la decisione dei giudici milanesi di scarcerare Cecilia Marogna. La Corte d'appello, spiegano i legali, "ha doverosamente posto fine ad una situazione deplorevole ed incivile: una cittadina italiana è stata rinchiusa per ben diciassette giorni in carcere senz'aver a tutto oggi mai neanche letto, come nessuna altra persona in Italia, il mandato di cattura straniero per cui è stata arrestata". La difesa fa anche notare che la Corte "accogliendo l'istanza di remissione in libertà" è andata "anche oltre, perché ha addirittura anticipato che 'si intravedono profili di apprezzabile sostenibilità' in ordine all'impossibilità di concedere in futuro l'estradizione, perché non esiste alcun trattato né alcuna convenzione che consenta di estradare un cittadino italiano allo Stato della Città del Vaticano". Per i legali questo "caso" dimostra "che è necessario riformare il codice di rito in tema di estradizione, perché una situazione impossibile da verificarsi nel caso di procedimenti penali italiani diventa purtroppo possibile solo perché vi è richiesta di uno Stato estero: un inaccettabile paradosso che deve finire". In più, "passando al merito, non abbiamo mai avuto - conclude la difesa - alcun dubbio sull'esito dell'istanza perché la liberazione della signora era l'unica cosa giusta che potesse essere fatta".

Il procedimento sull'eventuale estradizione

Va avanti, intanto, il procedimento sull'eventuale estradizione (udienza non ancora fissata). Marogna, che qualche giorno fa non aveva dato il consenso alla sua consegna, secondo la ricostruzione della magistratura d'Oltretevere, avrebbe usato parte del mezzo milione che avrebbe ricevuto per operazioni segrete umanitarie in Asia e Africa, per l'acquisto di borsette, cosmetici e altri beni di lusso. Somma che la donna, che si è definita specializzata in relazioni diplomatiche in contesti difficili, ha ammesso di aver ricevuto spalmata su quattro anni e che, a suo dire, includeva il suo "compenso, i viaggi, le consulenze" effettuate.

 

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