Eduardo Risso, una vita in bianco e nero: "Ho sempre bisogno di cambiare"

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Gabriele Lippi

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Al disegnatore argentino, maestro del fumetto noir, è dedicata la mostra "Più di 100 proiettili", a Roma dal 17 maggio al 4 luglio, organizzata da ARF! e dall'Instituto Cervantes. Lo abbiamo incontrato per parlare della sua carriera

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Una carriera passata a tratteggiare chiaroscuri con matite e chine, neri profondi e bianchi abbaglianti, con il movimento e la messinscena come faro e stella polare. Eduardo Risso, fumettista argentino, è uno dei grandi maestri internazionali del noir, un genere che sembra quasi più averlo scelto che esser stato scelto da lui. Da 100 Bullets a memorabili storie di Batman come Città Spezzata, fino al recente Torpedo 1972, che riprende in mano le vicende di Luca Torelli, lo spietato killer creato da Enrique Sánchez Aboulí e Alex Toth.

 

A Risso è dedicata la mostra Più di 100 proiettili, ospitata dal 17 maggio al 4 luglio in piazza Navona presso la Sala Dalì dell’Instituto Cervantes di Roma, evento collaterale della nuova edizione dell’ARF!, festival del fumetto che si terrà al Mattatoio di Roma il 24, 25 e 26 maggio. Un viaggio tra 80 tavole originali che si apre proprio con 100 Bullets e si chiude con un’anteprima assoluta su Blood Borthers Mother, la nuova serie (a colori!) di Azzarello e Risso.

Sky TG24 ha incontrato Eduardo Risso a Roma, in occasione dell’inaugurazione della mostra a lui dedicata.

Ti ricordi quando è stata la prima volta che hai pensato “voglio fare il fumettista”?
Avevo cinque anni. Trovai una rivista di fumetti a casa del nostro vicino e mi dissi “mamma mia, che è questo?”. Fu amore a prima vista. Non sapevo ancora leggere ma cercavo di capire dalle vignette. Da lì è stato naturale iniziare a cercare di disegnare i miei primi fumetti.

 

Crescendo, quali sono stati gli artisti che maggiormente ti hanno ispirato?
Autori nazionali come Mandrafina, Breccia e altri maestri argentini.

 

Sei nato in Argentina, poi hai lavorato in Europa, specialmente in Italia, alla fine sei approdato negli Stati Uniti. Tre grandi tradizioni fumettistiche molto peculiari. In che modo questo ha impattato sulla tua arte?
Penso che quando hai uno stile personale, diverso, qualsiasi mercato ha bisogno del tuo lavoro. Perché tutti cercano sempre qualcosa di nuovo. Non ho mai avuto problemi di questo genere.

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Cosa ne pensi dell’intelligenza artificiale? Frank Miller ha detto che non ne è preoccupato personalmente, perché l’AI non potrà mai sostituirlo.
La penso come lui: noi ormai siamo da tanto tempo in questo mercato, ma potrebbe essere un problema per le nuove generazioni. Penso che non è buono sostituire un artista umano, il risultato non è lo stesso, basta guardare le opere fatte con l’intelligenza artificiale, c’è sempre qualche errore: sette dita in una mano, la posizione di un cavallo… In futuro però potrebbe migliorare e diventare un problema.

 

Sei uno degli artisti più rilevanti nel fumetto noir. Cosa ti piace così tanto di questo genere?
Non è che mi piaccia il genere, mi piace il bianco e nero, perché puoi dare profondità a una tavola in modo rapido attraverso di esso. Col colore è diverso, se non hai un colorista buono possono esserci errori, a me è capitato negli Stati Uniti. Non mi succede quando sono io a fare il colore perché conosco i diversi piani prospettici del mio disegno. Ora è diverso, ma un tempo, soprattutto in America, non si prestava una grande attenzione al colore, era un qualcosa che veniva usato solamente per attirare il lettore. Ho litigato tanto per il colore dei primi 10-15 capitoli di 100 Bullets. Poi abbiamo cambiato strada e se uno ci fa caso è evidente.

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Una tavola tratta da 100 Bullets di Brian Azzarello ed Eduardo Risso (Panini Comics - DC)
Una tavola tratta da 100 Bullets di Brian Azzarello ed Eduardo Risso (Panini Comics - DC)

E arriviamo a 100 Bullets. Un’opera enorme tua e di Brian Azzarello. Così complessa con tutte le sue trame verticali che si intrecciano in quella orizzontale. È stato complicato lavorarci?
Sì, tanto, anche perché non ricevevo mai le sceneggiature complete, me le mandava sempre parziali. È una cosa non comune ma mi ci sono abituato.

Con Azzarello hai poi fatto molti altri lavori. Com’è il vostro rapporto lavorativo e umano?
Mi è successo con tutti gli sceneggiatori, anche con Carlos Trillo: io come artista ho l’esigenza di lasciare a loro la possibilità di dover fare solo i dialoghi. Loro sono persone molto intelligenti, lo hanno capito e mi hanno detto “bene, tu sei il regista, il direttore della fotografia, l’operatore di macchina”. Non è frequente, soprattutto negli Stati Uniti, mentre per un artista è importantissimo.

 

C’è qualche autore con cui non hai mai lavorato e con cui ti piacerebbe lavorare?
Non lo so… Cerco solo di essere il più professionale possibile, se mi sto godendo un lavoro darò tutto me stesso, se invece non mi piace mi metto nei panni del lettore e mi convinco che se non piace a me non piacerà nemmeno a lui, il lavoro finale non sarà buono. Devo essere io il primo lettore e giudice del lavoro.

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Tavola tratta da Cicatrici (Batman: Gotham Knights 8), di Brian Azzarello ed Eduardo Risso (inserito nel volume antologico Batman di Azzarello e Risso, Panini Comics - DC)
Tavola tratta da Cicatrici (Batman: Gotham Knights 8), di Brian Azzarello ed Eduardo Risso (inserito nel volume antologico Batman di Azzarello e Risso, Panini Comics - DC)

100 Bullets è un progetto Vertigo. Erano anni di sperimentazione, audacia, creatività. Ti manca la Vertigo?
Sì, mi manca… Ma ho sentito che forse tornerà l’anno prossimo… Rumor, per ora, ma li ho sentiti. E penso che accadrà.

 

Hai disegnato Dark Night – Una vera storia di Batman di Paul Dini. È stato difficile illustrare una storia così personale, basata su fatti reali pieni di dolore e sofferenza vissuti direttamente dal suo scrittore?
È stato difficile. Ma quando ho letto la sceneggiatura ho chiesto all’editor di poter fare un lavoro diverso dal solito. Mi hanno dato grande libertà e ho percorso una strada diversa, divertente, per una storia che è molto forte.

 

Per me è un po’ una versione dark a fumetti di Chi ha incastrato Roger Rabbit?
Sì sì, certo. Soprattutto perché lui passa tanto tempo a parlare con Batman e personaggi di fantasia.

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Hai lavorato tanto su diversi titoli di Batman. Cosa ti piace di più del personaggio o del suo mondo?
No, è proprio Batman che mi piace, perché è l’unico personaggio che io credo sarebbe possibile incontrare per strada. Superman non esiste, nemmeno gli altri supereroi, ma Batman è possibile: è un detective con una maschera.

 

Hai un personaggio preferito tra quelli che hai disegnato?
Forse Lono, visto che abbiamo fatto un’altra storia e vorremmo continuare a farne su di lui.

 

E un personaggio che invece non hai mai disegnato e ti piacerebbe disegnare?
Mi piace lavorare sulle storie forti, per me è importantissima la sceneggiatura, sostiene tutto. Quando mi hanno raccontato 100 Bullets per la prima volta ho pensato: “questa storia è veramente forte”, poi si sono intersecate moltissime altre storie, ma la trama era forte di suo. Per me era una storia che poteva diventare importante nel tempo.

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Hai recentemente realizzato delle nuove storie di Torpedo. Quanto è stato sfidante per te misurarti con l’eredità di Alex Toth?

No, non l’ho mai presa come una sfida. Me l’hanno offerta, Sánchez Aboulí è un amico, aveva bisogno di un artista e me l’ha chiesto. All’inizio ho detto no pensando a un altro amico, il suo socio Jordi Bernet, con cui aveva litigato. Non volevo mettermi in mezzo, mi sembrava una cattiva idea. Poi ci ho ripensato e ho deciso di farlo. E mi sono divertito.

 

Esiste un’altra storia classica che ti piacerebbe riprendere e rivisitare?
Non lo so… a me piace molto cambiare. Quando ho fatto 100 Bullets sapevo che sarebbero state 100 uscite, che mi avrebbe impegnato per tantissimo tempo. Avevo bisogno di fare qualcosa di diverso e quando la casa editrice ci ha proposto di continuarlo ho detto no; per fortuna Brian era d’accordo e siamo passati a fare altro. Non è buono per un artista fare sempre la stessa cosa. Ora ho cambiato ancora, sono passato dal bianco e nero al colore perché non mi divertivo più, e se non mi diverto non posso continuare a fare questo lavoro.

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