Lucca Comics & Games, Jim Lee: "Un artista deve sempre evolversi"

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Gabriele Lippi

Gabriele Lippi

Il presidente della DC Comics ospite Panini alla grande manifestazione dedicata alla cultura pop. "Il fumetto supereroistico sta alla grande", racconta a Sky TG24, "e dopo i disegnatori italiani, tocca agli sceneggiatori essere sempre più presenti nei comics"

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A cavallo tra gli anni ’90 e i 2000, Jim Lee ha plasmato e rimodellato l’aspetto dei supereroi cristallizzandolo in quella che è attualmente la loro figura nell’immaginario collettivo. Fisici alti, atletici, scultorei, volti stentorei e lineamenti definiti, capace di incutere ammirazione nel pubblico e timore nei nemici. Dagli X-Men a Batman, passando per i Wildcats e l’esperienza indipendente della Image Comics, Lee si è costruito una straordinaria carriera da disegnatore e da editore, fino ad arrivare alla presidenza della DC Comics, ruolo nelle vesti del quale si è presentato a Lucca Comics, ospite di Panini Comics, che pubblica in Italia i titoli DC e lo ha omaggiato con la diffusione in Italia di uno splendido artbook. Lo abbiamo incontrato proprio a Lucca.

 

Jim Lee, come se la passa il fumetto supereroistico americano oggi?
Alla grande, c’è una sorta di nuovo rinascimento perché questi personaggi sono così noti ora al pubblico grazie ai film e ai cartoni, più di quanto non lo siano mai stati nella storia dei fumetti. E la sfida per ogni editore è capire come sfruttare questa scia. Abbiamo avuto il nostro anno migliore nel 2021, dopo la pandemia, perché tantissima gente voleva leggere e collezionare fumetti durante quel periodo in cui non si poteva fare altro. La sfida ora è tenere alto questo livello ma ci piace lo scenario, dobbiamo fare i contenuti che attraggano i lettori.

 

Lei ha contribuito negli anni ’90 a dare forma e corpo alla nuova generazione di supereroi, fissando un nuovo canone. Che effetto le fa vedere tanti artisti che si rifanno al suo stile?Alcuni vedono queste situazioni come se ci fossero degli imitatori che cercano di copiare il loro stile ma io non l’ho mai vista così. Mi lusinga che ci sia qualcuno che provi a emulare il mio stile ed è sempre stato interessante che i fan siano in grado di distinguere gli autori, per questo non credo che sia mai stato sminuito quello che ho provato a creare col mio stile, è più un segnale che questo era davvero popolare. Inoltre è praticamente impossibile impedire agli altri di essere ispirati dal tuo stile. Anzi, direi che il mio stesso lavoro è stato influenzato dagli artisti che ho amato crescendo, come John Byrne, Kevin O’Neill, Mike Mignola, Arthur Adams, Barry Windsor-Smith... quindi chi sono per dire a qualcuno di non essere influenzato dal mio lavoro? Magari c'è chi lo fa col cuore, qualcun altro perché pensa che così possa vendere di più, ma alla fine alcuni artisti si evolvono e hanno successo con uno stile più personale, prendendo lo stile Image degli anni ’90 e portandolo a un altro livello. E sono molto orgoglioso che siamo stati così influenti.

Jim Lee a Lucca Comics & Games 2023

Pur essendo da decenni considerato una superstar del fumetto, lei non ha mai smesso di evolvere il proprio tratto. Quanto pensa che sia importante per un artista continuare ad abbracciare il cambiamento?
Ci provo, sì. Penso che sia la nostra missione di vita. Prendo sempre spunto da ciò che incontro lungo il mio viaggio, attraverso la mia carriera. E penso che se credi di aver già scoperto tutto, hai fallito come artista. Si tratta sempre di imparare, assorbire, non arriverai mai a sapere tutto, non raggiungerai mai l'opera perfetta. Il punto è il viaggio, sapersi aprire, educarsi, abbracciare nuove influenze ed evolvere il proprio stile, guardare a cosa fanno gli altri, a cosa cerca il pubblico, e per me questa è la parte divertente del lavoro, cercare costantemente la soluzione di un problema che cambia in continuazione; e trovarla per me sarebbe un po’ come la morte del viaggio, lo trovo quasi contraddittorio per un artista la cui missione è continuare a spingersi oltre, esplorare, imparare ed evolversi.

 

Ha disegnato tantissimi supereroi… Ma qual è il suo preferito? Quello che ama di più disegnare?
Sono cresciuto leggendo i fumetti e i miei personaggi preferiti erano Wolverine per la Marvel e Batman per la DC. Ma non sono solo i personaggi, è la loro giustapposizione che li rende realmente interessanti. Batman e Superman, Batman e Robin, Wolverine con Jubilee, i loro gesti, il linguaggio corporeo, lo stile di combattimento, le espressioni… puoi fare tante storie diverse con questi personaggi. Se fosse solo Batman e dovessi disegnare tutto il giorno solo Batman, sarebbe veramente noioso dopo un po’. La cosa divertente di Batman è che ha accanto un Alfred, un Robin, o Superman, perché scopri davvero chi è Batman quando lo vedi confrontarsi con altri personaggi. E penso che Superman sia più interessante quando lo vedi accanto a Batman, perché vedi le differenze tra i punti di vista e le loro esperienze, ed è questo che rende questi personaggi così compatibili, reali e interessanti.

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Dopo la carriera davanti al tavolo da disegno, quella dietro la scrivania da presidente della DC Comics. Che differenza c’è? È stato difficile all’inizio adattarsi al nuovo ruolo?
No, non è stato un passaggio da artista freelance a presidente DC nel giro di una notte sola, questo sì sarebbe stato davvero difficile, ma una progressione e un’evoluzione da quando guidavo la Wildstorm, la DC Comics l’ha comprata e mi ha permesso di restarne alla guida sotto il profilo artistico. Certo, c’erano altre figure a occuparsi degli aspetti finanziari, ma io partecipavo ai vari incontri, capivo le dinamiche di profitto e perdite, tutte parti del processo editoriale che impattano sull’aspetto artistico, perché le esigenze del business impattano sul processo creativo e ho sempre trovato questa relazione molto interessante. Da direttore editoriale di Wildstorm prima, poi da co-editore in DC e da capo dell’ufficio creativo ho potuto vedere cose come l’adattamento dei personaggi nei film e in tv ma anche come le nostre storie rappresentino i valori della DC, ciò che la DC significa per le persone. Ci sono molti livelli di attività di questo lavoro, le storie sono alla base e ispirano, adattarle per altri media ti permette di raggiungere un pubblico più ampio, e tutto questo crea il brand. Per me è molto interessante e coordinare tutti questi reparti è il mio lavoro da presidente DC.

 

Penso personalmente che uno dei vantaggi competitivi di DC Comics sia rappresentato dalla linea Black Label e dalla libertà che lascia agli autori per interpretare e reinterpretare i grandi supereroi. Quanto è importante secondo lei?
Black Label è stato un vero boom per l’azienda, fin da Batman: Dannato. Questi progetti ci permettono di attrarre i migliori talenti del settore che non sono così inseriti nella continuity dei personaggi. Può essere davvero complicato scrivere una avventura di Batman che sia inserita dentro 80 anni di storia del personaggio, i fumetti mensili sono storie infinite, Black Label permette invece di realizzare storie che abbiano un inizio, una parte centrale e una fine, e gli autori devono solo restare fedeli alla personalità dei personaggi ma oltre questo c’è la possibilità di spingerli in direzioni che normalmente non seguiamo nel canone, possono raccontare storie più affini alla loro esperienza personale, possono fare una one shot o una storia in quattro parti. Tutto questo esercita una grande attrattiva per gli autori ed è un grande valore aggiunto alla linea principale che ha una storia cominciata nel 1938.

Ormai è piuttosto comune vedere disegnatori italiani impegnati sui titoli DC. Come mai secondo lei i disegnatori italiani si adattano così bene ai comics americani?
Penso che dovremmo tornare indietro al Rinascimento. Il livello dell’arte in Italia è sempre stato fantastico, avete una storia incredibile. Penso che gli artisti europei in generale portino un aroma diverso ai comics americani tradizionalmente ispirati allo stile di Jack Kirby, e avere sfumature diverse è ottimo per il nostro business, ci aiuta ad attrarre il pubblico. Inoltre, gli artisti italiani ed europei sono molto forti e solidi nel loro storytelling e producono lavori incredibili. Penso che sia così anche perché le aziende americane hanno iniziato a venire alle fiere come Napoli, Lucca, Angoulême, e questo ha stretto i legami. Sono stato per la prima volta a Lucca 20 anni, fa, poi sono tornato 10 anni fa, e mi sembra che ci sia più interesse verso il fumetto americano, forse anche per via dei film e delle trasposizioni su altri media. Tanti sono interessati a creare contenuti, non solo disegnatori ma anche scrittori, e questo è il prossimo step: gli sceneggiatori.

 

Ecco, al di là di iniziative particolari come Batman: Europa (che proprio qui a Lucca rivive in una nuova edizione italiana) o Batman: Il Mondo, è invece molto difficile vedere uno sceneggiatore italiano impegnarsi sui titoli DC.
Abbiamo lanciato da poco Batman: Gargoyle di Rafael Grampá, il primo brasiliano a creare e sceneggiare un fumetto di supereroi americano. Questa sorta di soffitto di vetro sarà rotto. Matteo Casali, che ho conosciuto a Reggio qualche anno fa e mi ha impressionato con la sua capacità di raccontare storie, è la ragione per cui abbiamo fatto Batman: Europa. Spero e credo che ci saranno più progetti simili andando avanti, più progetti che coinvolgano i talenti locali per questi mercati, non solo europei che lavorano per il mercato americano, ma che possano portare i nostri personaggi e i nostri universi per raccontare storie che usino le città italiane, il folklore italiano, e che quindi interessino i lettori italiani.


Pensa che un giorno vedremo uno sceneggiatore italiano su una serie regolare?
Sì, assolutamente, lo credo.

L'artbook di Jim Lee pubblicato in Italia da Panini Comics
L'artbook di Jim Lee pubblicato in Italia da Panini Comics

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