Lucca Comics & Games, Bryan Talbot: "L'idea per Batman: Mask è nata leggendo Spider-Man"

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Gabriele Lippi

Gabriele Lippi

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What if... una delle più belle storie mai scritte su Batman avesse avuto invece come protagonista l'Uomo Ragno? Nella mente di un giovanissimo Bryan Talbot, era esattamente così... L'autore britannico, ospite di Tunué a Lucca Comics & Games, si racconta a Sky TG24, tra fumetto indipendente e mainstream, lavori da disegnatore e come autore unico. "Il mio fumetto più importante? La storia del topo cattivo"

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Bryan Talbot ha attraversato quasi mezzo secolo di storia del fumetto, spaziando nella sua produzione per attività, genere, mercati. Si è destreggiato costantemente tra underground e mainstream, è stato disegnatore per sceneggiatori del calibro di Neil Gaiman e Jamie Delano e autore unico. Ha contribuito a dar vita al personaggio di John Constantine, inventato Luther Arkwright e fornito una delle più interessanti versioni di Batman di tutti i tempi. Ha esplorato la storia della cultura britannica, la sua geografia e ha scritto e disegnato quel capolavoro che è La storia del topo cattivo, un libro così importante da essere diventato manuale per alcuni centri anti-violenza. Proprio sulla scia dell’ultima edizione italiana di quest’opera, pubblicata in Italia da Tunué, Talbot è stato tra i grandi ospiti internazionali di Lucca Comics & Games 2023. Lo abbiamo intervistato.

 

Bryan Talbot durante una sessione di firmacopie a Lucca Comics & Games 2023

Ormai da quasi 50 anni lavora nel fumetto. Come è cambiato questo mondo?
Circa 46. All’epoca il mondo del fumetto era dominato dai supereroi americani che vendevano decine di migliaia di copie. Poi le vendite di quel genere sono calate ma è aumentata la diversità, con fumetti di ogni genere e su ogni argomento, sono comparse le graphic novel che in Gran Bretagna oggi rappresentano la fetta più ampia del mercato, mentre i fumetti settimanali sono quasi scomparsi e i supereroi oggi vendono 4, 5 mila copie, negli anni ’60 con questi numeri venivano cancellati. Negli anni ’50 i fumetti per ragazzi vendevano milioni di copie a settimana, ce n’erano moltissimi, ora forse ce ne sono uno o due. Questo è il cambiamento più importante.

So che il suo rapporto col disegno è cominciato in maniera un po' conflittuale per colpa di un insegnante. Ci racconta come andò?
Diversi insegnanti, in realtà. A scuola avevamo un docente che era una persona adorabile, mi piaceva davvero, ma non era un insegnante altrettanto bravo. Arrivava a lezione, ci lasciava dei fogli di carta, ci diceva “disegnate qualcosa”, poi si sedeva a leggere il giornale. Poi ho fatto un anno di corso propedeutico, prima del college, e ho preso lezioni da tre diversi artisti astratti che facevano mostre, l’astrattismo era una grande moda all’epoca, e impazzivano se facevo qualcosa di figurativo… Non ho imparato molto sul disegno da loro.

Ha lavorato nel fumetto indipendente e poi nei comics delle major americane. Che differenze ci sono tra i due mondi?
Beh, che quando lavori per i grandi editori ti pagano (ride, ndr). Nel fumetto underground non fai soldi, lo fai per amore dei fumetti, penso.

Nelle sue opere appare evidente la volontà di andare in profondità, di scavare nei personaggi e nella loro psicologia, anche documentandosi, studiando, confrontandosi con esperti. Perché sente questo bisogno?
Qualunque sia il soggetto del fumetto o le diverse tematiche che affronto con lo stesso, io faccio tantissima ricerca per essere sicuro di fare le cose per bene, di capire ciò a cui guardo. Quando ho scritto Alice in Sunderland, che racconta delle radici di Lewis Carroll nel nordest dell’Inghilterra, ho letto un paio di dozzine di libri, mi sono unito alla Lewis Carroll Society, sono andato ad alcuni incontri, e c’era un ragazzo nella città in cui mi trovavo che aveva fatto tantissime ricerche sull’autore, ho letto il suo libro e l’ho incontrato più volte per parlarne; insomma, mi sono trasformato in un esperto di Lewis Carroll. Ed è stata la stessa cosa quando ho scritto La storia del topo cattivo: mi sono trasformato in un esperto di Beatrix Potter, abusi su minori e topi.

Ha disegnato per autori come Delano e Gaiman, ma ha anche scritto storie apprezzatissime da pubblico e critica.
Ho scritto anche diverse storie con mia moglie Mary.
Certo. E si piace di più come autore unico o disegnatore?
Preferisco scrivermi i fumetti da solo, fare le mie storie, ma mi piace anche disegnare, ho sempre fatto un po’ entrambe le cose.

Lei è stato tra i primi a problematizzare in senso psicoanalitico la figura di Batman. Come è nata l'idea di Batman: Mask?
L’idea originale l’ho avuta a 14 anni, quando ero appassionato dei fumetti Marvel. Pensai che sarebbe stato fantastico se Mysterio avesse spinto Spider-Man a pensare di non essere davvero lui, e ho cominciato a pensare a come avrebbe potuto farlo. All’epoca non pensavo che l’avrei scritta ma 30 anni dopo, nei primi anni ’90, Batman era molto popolare e ho pensato di declinarla su di lui. Ma nella mia idea su Batman, Bruce era pazzo e Batman non esisteva, era tutto nella sua testa, sai…

Una tavola tratta da La Storia del topo cattivo di Bryan Talbot
Una tavola tratta da La Storia del topo cattivo di Bryan Talbot

In La storia del topo cattivo racconta di violenza sessuale ed elaborazione del trauma. Come si è approcciato ad argomenti così delicati?
Inizialmente volevo scrivere una storia sul Lake District inglese. Avevo visto questa ragazza adolescente che chiedeva l’elemosina alla fermata della metro di Tottenham Court Road e mi aveva ricordato la descrizione di Beatrix Potter, così ho pensato che potesse essere un personaggio che aveva un legame con Beatrix Potter che la portasse nel Lake District. E quando ho pensato alla ragione che potesse averla spinta a lasciare casa, mi sono detto che poteva essere che il padre abusava di lei. Mi sembrava credibile, tanti giovani scappano di casa per questo. Ma a quel punto ho iniziato a fare ricerche sul tema, ho acquistato libri, li ho presi in biblioteca, ho letto trascrizioni di testimonianze delle vittime di abusi, e a un certo punto ho deciso che non volevo rendere marginale questa tematica, doveva diventare il punto centrale del libro, ne ha preso il controllo.

 

Qual è, secondo lei e per lei, la sua opera più importante?
Credo che in un certo senso sia proprio La storia del topo cattivo. Non solo perché viene ancora stampata dopo 30 anni: è stata pubblicata in 16-18 Paesi e io ricevo ancora lettere da persone che hanno subito abusi e mi dicono che questo libro gli ha fatto bene.

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