Lucca Comics 2023, Ennis: la violenza nei fumetti ha un doppio valore

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Cristian Paolini

Cristian Paolini

 Nel corso della kermesse toscana lo scrittore britannico si è concesso ai fan e alla stampa, raccontando la sua carriera trentennale, tra successi passati e ambizioni future, senza perdere d’occhio un presente particolarmente complesso che offre abbondanti spunti di riflessione, non solo per il mondo del fumetto

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Incontrare Garth Ennis, uno dei più irriverenti e geniali autori di fumetti degli ultimi anni, e chiacchierare con lui è un’esperienza densa e, a tratti, spiazzante proprio come i suoi lavori. In occasione di Lucca Comics, lo scrittore britannico si è concesso ai fan e alla stampa raccontando la sua carriera trentennale, tra successi passati e ambizioni future, senza perdere d’occhio un presente particolarmente complesso che offre abbondanti spunti di riflessione, non solo per il mondo del fumetto.

Non partiamo dai fumetti, per una volta: quanto è orgoglioso e sorpreso per il successo per la trasposizione televisiva di The Boys e Gen V?

Prodotti come The Boys e adesso Gen V hanno trovato una tempistica perfetta perché dopo 20 anni di storie di supereroi era il momento in cui qualcuno mostrasse il lato oscuro della vicenda e ponesse domande scomode.

Quale altro spinoff di The Boys o di uno dei suoi fumetti le piacerebbe vedere in tv o al cinema?

Veniamo da un periodo in cui Hollywood ha attinto a mani piene dal mondo dei fumetti, chi è in questa parte del business si occupa di avere sempre qualcosa di nuovo da proporre. Ecco se penso a un mio lavoro che mi piacerebbe vedere sullo schermo penso ai miei albi sugli eroi di guerra.

Qual è il suo personaggio preferito tra Preacher, Hitman, Helblazer, The Punisher e gli altri su cui ha lavorato? E su quale le piacerebbe lavorare in futuro?

Probabilmente il mio personaggio preferito è Billy Butcher di The Boys perché è la personificazione di quello che dico sempre: “I cattivi fanno il mondo e i cattivi lo sistemano”. E un’altra delle mie citazioni preferite la dice proprio Billy Butcher: “Quello che facciamo nel tempo libero è ciò di cui vi dovreste preoccupare”. Per quanto riguarda ciò su cui mi piacerebbe lavorare, veramente ho messo le mani un po’ su tutto ciò che mi interessava. Al momento sono impegnato su parecchi personaggi della guerra inglese per la serie Battle Action che è stata una serie con cui sono cresciuto e a cui sono molto legato.

In un mondo dove è così presente con due conflitti devastanti in corso, qual è il valore della violenza nella fiction? Esorcizzare quella reale?

 

La violenza nei fumetti può avere una doppia valenza. Quando ho iniziato a lavorare a The Punisher non ho preso sul serio né lui né la sua violenza, ad esempio, poi però è accaduto l’11 Settembre e a quel punto ho iniziato a pensare a questo personaggio come al modo ideale per narrare la violenza come qualcosa che nel mondo reale può accadere. Probabilmente la violenza nei fumetti può avere questa doppia valenza, di intrattenimento e quindi in qualche modo fungere da esorcismo, ma anche come strumento di riflessione e quindi di analisi.

 

Si parla tanto di politicamente corretto, lei che è un autore riconosciuto per la sua causticità, si sente in qualche modo limitato nella sua libertà espressiva o pensa che qualche suo collega possa esserlo?

 

Personalmente non sento di avere dei limiti nel mio lavoro o una sorta di censura autoimposta. Si può dire che se resti coerente con te stesso hai dalla tua parte l’onestà che ti permette di fare quello che vuoi, certo se tu vai a cercare quello che può infastidire il pubblico o la gente in uno specifico momento e specificatamente vai a provocare dei sentimenti e delle reazioni ti metti da solo nei guai perché sei andato a stuzzicare il can che dorme. Ma ripeto, se tu lavori come hai sempre fatto con integrità, costanza e coerenza in qualsiasi momento tu avrai dalle tue parti queste doti e ti potrai difendere da qualsiasi accusa che dovesse esserti portata. Ah, una cosa importante: io non sono sui social media, quindi la maggior parte di queste cose non mi arrivano proprio. Tornando al punto, al politicamente corretto o scorretto, con The Preacher non mi ero assolutamente posto la questione, non voleva essere un lavoro scorretto mi ero posto solo l’obiettivo di fare qualcosa di divertente. Mai pensato di usare il personaggio avendo come obiettivo quello di lanciare una provocazione.

 

Chiudiamo con l’Irlanda, che è il suo Paese di origine ed è molto presente con svariati riferimenti in tutta la sua opera. Quanto sono importanti per lei le sue radici?

Sono nato e cresciuto in Irlanda del Nord negli anni 70 e 80 durante le battaglie dell’Ira con giornate di quotidiana violenza e delitti, una lista di morti infinite, ma io ero in una famiglia della media borghesia e quindi non ero toccato direttamente da questa situazione. Però mi ero fatto l’idea qualcuno permettesse a questa guerra di continuare, era in qualche maniera gestita in modo tale che nessuna delle due parti aveva l’interesse di farla finire. Questo mi ha dato uno sguardo sulla vita piuttosto cupo, cinico, una sorta di preparazione a cos’è diventata negli ultimi dieci anni, da quando vediamo che le cose stanno andando a rotoli. Il mio ambiente di crescita mi è stato utile, insomma, per affrontare le cattive notizie quotidiane, una sorta di palestra per resistere alle cattive notizie.

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