Patto di stabilità, cos’è e come potrebbe essere nel 2024 dopo la nuova intesa
Firmato nel 1997 dai Paesi che hanno aderito all’Eurozona, il Patto di Stabilità e crescita è recentemente tornato oggetto di dibattito: dal 2024 tornerà operativo dopo la sospensione a causa del Covid. Il 20 dicembre 2023 si è trovato un primo via libera tra le posizioni dei Paesi con il debito più alto - che da sempre premono per non irrigidire le regole di rientro dal disavanzo - e i “frugali”, che da sempre insistono per clausole di salvaguardia per il rispetto degli impegni per chi è fuori dai parametri
- Quando si parla di Patto di stabilità si fa riferimento all’accordo internazionale, stipulato e sottoscritto nel 1997 ad Amsterdam dagli Stati membri dell'Unione europea, che riguarda il controllo delle rispettive politiche di bilancio pubbliche per mantenere e rafforzare i requisiti di adesione all'Eurozona e intraprendere una più stringente integrazione monetaria, come sottoscritto nel trattato di Maastricht del 1992
- Secondo quanto prevede il Patto di Stabilità, gli Stati parte dell’Eurozona devono rispettare due parametri relativi al bilancio dello Stato, cioè avere un deficit pubblico non superiore al 3% del PIL e un debito pubblico al di sotto del 60% del PIL, o comunque tendente al rientro
- In caso di sforamento dei parametri ci sono tre fasi che si possono raggiungere. Una di queste è l’avvertimento: se il disavanzo di un Paese membro si avvicina al tetto del 3% del PIL, la Commissione europea propone, e il Consiglio dei ministri europei in sede di Ecofin approva, una sorta di "avvertimento preventivo", o early warning, al quale segue una raccomandazione vera e propria in caso di superamento del tetto
- Se a seguito della raccomandazione lo Stato interessato non adotta sufficienti misure correttive della propria politica di bilancio, può essere sottoposto a una sanzione che assume la forma di un deposito infruttifero, da trasformare in ammenda dopo due anni di persistenza del deficit eccessivo. L'ammontare della sanzione presenta una componente fissa pari allo 0,2% del PIL e una variabile pari a 1/10 dello scostamento del disavanzo pubblico dalla soglia del 3%. La sanzione non può comunque andare oltre lo 0,5% del PIL
- E se lo Stato adotta le misure richieste? In questa circostanza la procedura viene sospesa fino a quando il deficit non viene portato sotto il limite del 3%. Se le stesse misure si rivelano però inadeguate, la procedura viene ripresa e la sanzione irrogata
- Da sempre il Patto di Stabilità e crescita ha attirato diverse critiche. Molti hanno infatti lamentato la sua eccessiva rigidità, evidenziando come non promuova né la stabilità né la crescita. Inoltre, le sanzioni sono sempre state blande e non hanno mai punito i “grandi” Paesi dell’Unione, come Francia e Germania, nonostante in alcune circostanze ci fossero anche i presupposti per farlo
- Nel Patto è presente anche una clausola di salvaguardia, utilizzata dall’Unione proprio ad inizio 2020 per via del Covid, per sospendere il Patto e permettere agli Stati di elargire risorse senza il rischio di raccomandazioni correttive o sanzioni in caso di sforamento del rapporto deficit/Pil o di un debito pubblico oltre il 60% che tende a crescere
- Da sempre sussiste una forte contrapposizione tra i Paesi più "morbidi" sulle regole di bilancio e i Paesi "frugali", quelli che vogliono tenere il bilancio europeo al livello più basso possibile e mantenere una stretta disciplina di bilancio
- La Commissione europea aveva avanzato alcune proposte per far ripartire il Patto di Stabilità dal 2024 che però non convincevano i "frugali", preoccupati che i Paesi ad alto debito pubblico non lo avrebbero effettivamente ridotto. Alla fine i ministri dell'Economia degli Stati membri hanno trovato un'intesa - dopo lunghe trattative - il 20 dicembre 2023
- I principi cardine restano gli stessi di sempre: mantenere il deficit al di sotto del 3% del Pil e il debito al di sotto del 60%. Ma nelle nuove regole sono stati introdotti margini di flessibilità per evitare che il risanamento dei conti si trasformi in austerità, blocco degli investimenti e rallentamento della crescita. Andrà approvato in via definitiva entro aprile 2024
- Per quanto riguarda la riduzione del deficit, si prevede che - in caso di superamento eccessivo del 3% - un aggiustamento annuo dello 0,5% del Pil in termini strutturali. Il ritmo della correzione dovrà tener conto dell'aumento della spesa per interessi al fine di non bloccare gli investimenti urgenti
- Poi c’è il braccio preventivo: i Paesi con un rapporto debito-Pil superiore al 90% dovranno far scendere il livello del disavanzo all'1,5%. Per farlo servirà un aggiustamento strutturale annuo dello 0,4% per 4 anni o dello 0,25% in 7 anni, al netto degli interessi sul debito con l'impegno del Paese a fare investimenti e riforme. La riduzione del debito dovrà essere dell'1% annuo per i Paesi che superano la soglia di un rapporto debito-Pil del 90% e dello 0,5% annuo per chi lo ha tra il 60 e il 90% del Pil
- Tra il 2025 e il 2027 la Commissione Ue, nello stabilire il percorso di risanamento dei conti, terrà conto degli oneri degli interessi sul debito sempre con l'obiettivo di lasciare ai Paesi spazio per gli investimenti. Inoltre, i Paesi sotto procedura dovranno concordare l'uso dei fondi pubblici con la Commissione nel rispetto delle traiettorie di aggiustamento del debito. I piani ad hoc sono quadriennali e potranno essere estesi a 7 anni, tenendo conto degli sforzi di investimento per attuare i Pnrr
- Sempre all'insegna della flessibilità è prevista la possibilità di uno sforamento dello 0,3% rispetto al piano concordato