Pensioni 2026, da gennaio arrivano gli aumenti dovuti all'inflazione: le simulazioni

Economia
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Introduzione

La rivalutazione delle pensioni per il 2026 è pari all'1,4%, massimo 1,5%, stando alle ultime simulazioni dell'Inps. Ecco gli aumenti previsti in base alla fascia di reddito.

Quello che devi sapere

La percentuale prevista per il 2026

L'aumento delle pensioni per il 2026 è previsto dell'1,4%, al massimo 1,5%. Lo certificano le ultime proiezioni dell’Inps, citate dal Sole 24 Ore, che prevedono una percentuale di rivalutazione degli assegni diversa rispetto a quell'1,7% diffuso ad agosto 2025. I nuovi dati sono in linea con l'indice Foi (Famiglie di operai e impiegati), ossia l'indice dei prezzi al consumo che misura la variazione nel tempo dei prezzi per le famiglie che fanno capo a un lavoratore dipendente. Misurato dall’Istat, tale indice viene usato per adeguare periodicamente valori monetari, tra cui gli affitti o gli assegni di mantenimento.

 

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La rivalutazione delle pensioni

Come noto, la rivalutazione delle pensioni (o perequazione) è un meccanismo annuale automatico che adegua gli importi pensionistici all'inflazione, cioè all'aumento del costo della vita, per preservarne il potere d'acquisto. Questo aggiornamento avviene sulla base dei dati forniti dall'Istat in merito all'andamento dei prezzi e viene applicato attraverso percentuali e fasce di reddito, garantendo un adeguamento maggiore per le pensioni più basse.

 

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Gli aumenti per il 2026

L’aumento delle pensioni si applica, come detto, in base alla fascia di reddito. Dato che il trattamento minimo dell’Inps è pari a 603,40 euro, la rivalutazione sarà del 100% (quindi piena) per gli assegni fino a 2.413 euro (quattro volte la pensione base). Sarà invece del 90% per gli assegni tra le quattro e le cinque volte il trattamento minimo (fino, dunque, 3.017 euro). In ultimo, sarà del 75% per gli assegni superiori a cinque volte il trattamento minimo (oltre, quindi, i 3.017 euro). 

 

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Le simulazioni dell'Inps

Come scrive Il Sole 24 Ore, le simulazioni attuali - che si attestano, come detto, sull'1,4% di perequazione - vedono un incremento per le pensioni di 603 euro a 611,44 euro (+8,44 euro). Una pensione di 1.000 euro salirà a 1.014 euro (+14 euro), mentre una da 1.500 euro passerà a 1.521 euro (+21 euro). Un assegno pensionistico da 2.000 euro aumenterà a 2.028 euro (+28 euro), uno da 2.500 euro a 2.534,88 euro (+34,88 euro) e uno da 3.000 euro diventerà di 3.041,18 euro (+41,18 euro). Una pensione da 3.500 euro salirà a 3.546,46 euro (+46,46 euro) e una 4.000 euro passerà a 4.051,71 euro (+51,71 euro).

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L'incremento aggiuntivo

Come ricorda il quotidiano economico, per il 2025 la rivalutazione delle pensioni è stata dello 0,80% e per gli assegni con trattamenti pari o inferiori al minimo è stato riconosciuto un incremento aggiuntivo transitorio del 2,20%. Tale incremento terminerà a fine anno e si ridurrà nel 2026. Come scrive Il Sole 24 Ore, infatti, l’aumento aggiuntivo sarà dell'1,3%. Rifacciamo, dunque, i calcoli: una pensione di 603 euro che passerà a 611,44 euro per la perequazione dell'1,4% salirà ulteriormente a 619,79 (+7,95 euro agguntivi).

La posizione di Bankitalia

Sul tema è intervenuta anche Bankitalia, secondo cui "sarebbe meglio non tocccare troppo il meccanismo di adeguamento delle pensioni". In audizione di fronte alle commissioni Bilancio di Camera e Senato, il vicecapo del dipartimento Economia e statistica della Banca d'Italia Fabrizio Balassone ha osservato che "c’è un problema di equità generazionale. Abbiamo un aumento di spesa che può complicare e molto la gestione della finanza pubblica".

 

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Il recupero del potere d'acquisto

"I pensionati, che sono il vero ammortizzatore sociale del Paese, devono recuperare potere d'acquisto", è la sollecitazione del segretario generale nazionale Uilp, Carmelo Barbagallo. "In ogni famiglia c'è almeno un pensionato che partecipa fisicamente, perché svolge compiti e mansioni, o economicamente al sostentamento del nucleo familiare. Da dieci anni perdiamo potere d'acquisto e serve una legge per i pensionati attivi", evidenzia ancora Barbagallo. "Aver affidato lavori socialmente utili ai giovani è stato un errore. I giovani devono avere prospettive di un lavoro stabile e sicuro negli anni, in linea con la loro formazione. E i pensionati attivi possono fare tutti quei lavoretti che rappresentano comunque un contributo sociale rilevante", spiega Barbagallo.

 

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