Guerra in Israele, le possibili conseguenze sull'economia mondiale, dal gas al petrolio
Come tutti i conflitti, gli effetti negativi si riversano anche sul lato finanziario, in particolare a causa degli scambi tra materie prime e dei collegamenti con i diversi Paesi in tutto il mondo. Per esempio, l’Iran produce circa un terzo delle quantità di petrolio di Russia e Arabia Saudita, ma nell’ultimo paio di anni ha aggiunto circa un milione di barili al giorno
- Ogni conflitto porta inevitabili effetti sull’economia mondiale. Nel caso della guerra in Israele, gli occhi sono puntati al gas e al petrolio con molti Stati che giocano un ruolo fondamentale a partire da Iran, Russia, Algeria, Turchia e Azerbajan
- La produzione di petrolio dell’Iran a luglio scorso è tornata a 3,3 milioni di barili al giorno, settimo Paese al mondo nel 2023. L’Iran produce circa un terzo delle quantità di Russia e Arabia Saudita, ma nell’ultimo paio di anni ha aggiunto circa un milione di barili al giorno. È una grandezza da tenere a mente, perché anche i tagli decretati all’inizio dell’estate scorsa dall’Opec Plus sono esattamente di un milione di barili al giorno. Sono in vigore da oltre tre mesi e arriveranno almeno fino alla fine dell’anno
- I tagli di produzione dell’Opec Plus sono stati dettati da Mohammed bin Salman e da Putin. Il tiranno di Riad è interessato soprattutto alle ricadute finanziarie di un aumento del prezzo del barile, che finanzi il suo piano di diversificazione dell’economia saudita entro il 2030
- Lo zar, invece, ha l’obiettivo di tenere alto il prezzo del gallone di carburante negli Stati Uniti durante tutta la campagna presidenziale del 2024, in modo che la frustrazione degli elettori si scarichi contro Joe Biden
- Sia Iran che Russia potrebbero vedere i loro obiettivi più che soddisfatti dopo l’attacco di Hamas in Israele. La reazione nel mercato ha infatti datto salire il prezzo del petrolio e gli investitori temono che gli Stati Uniti inizino ad applicare con più rigore le sanzioni con l’Iran
- Gli occhi sono poi puntati alla reazione d’Israele anche contro chi sta potrebbe supportare l’azione di Hamas, per l’appunto l’Iran (che però smentisce coinvolgimenti). Se dovesse estendere l’azione militare a Teheran, salirebbe il costo dell’energia, l’inflazione e i tassi d’interesse in Occidente, con tutte le ramificazioni negative immaginabili per il debito pubblico e gli investimenti privati
- L’Iran, se minacciato, può decidere di togliere dal mercato quantità di petrolio che ne farebbero esplodere i prezzi. La stessa capacità inutilizzata dell’Opec Plus – circa 2,5 milioni di barili al giorno – è inferiore alla produzione iraniana e non potrebbe supplire in caso di guerra aperta
- Il prezzo del gas naturale in Europa ha smesso di scendere a maggio, ma a settembre è raddoppiato attorno ai 40 euro a megawattora. La realtà è che l’Europa non si è ancora del tutto sottratta al mercato russo. Dai dati riportati dal centro studi Bruegel, nella prima settimana di ottobre, è stato comprato l’80% di gas russo in più dalla Turchia, via Turkstream, di quanto ne comprassimo nel 2021, prima della guerra. Questo denaro va ovviamente a finanziare un aumento del 67% del budget militare di Mosca a cento miliardi di euro
- Per sostituire la dipendenza dal gas russo, l’Italia si è affidata principalmente all’Algeria, lo stesso Paese che, a seguito dell’attacco di Hamas, insieme all’Iran ha espresso “piena solidarietà al popolo palestinese. Il Paese nordafricano è quindi il più vicino a Hamas, oltre a essere legato a Mosca da una relazione storica
- Un’altra fonte vitale è il gas azero con il quale stiamo sostituendo le forniture in meno dalla Russia e che arriva in Italia attraverso il gasdotto Tap. Il mese scorso l’Azerbaijan ha aggredito il Nagorno-Karabach, avviando la pulizia etnica degli armeni. L’Europa non ha attualmente reagito, ma anche questa situazione di conflitto va ad aggravare le possibili ricadute sulla situazione economica globale