Controlli Inps sui pensionati all’estero, fari puntati su Portogallo, Grecia e Spagna
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L’Istituto di previdenza sta avviando migliaia di accertamenti sui trattamenti previdenziali di chi risiede fuori dall’Italia. L’obiettivo è ridurre il rischio di pagamenti di prestazioni dopo la morte del beneficiario
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- L'Inps ha avviato la campagna di accertamento dell'esistenza in vita per gli anni 2023 e 2024 dei pensionati che riscuotono in Europa, Africa e Oceania. Lo ha fatto sapere l'Istituto con una nota spiegando che, a partire dal 20 settembre 2023, Citibank N.A. invia le richieste - con esclusione dei Paesi scandinavi e dei Paesi dell'est Europa già interessati dalla prima fase - da restituire alla Banca entro il 18 gennaio 2024
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- In particolare gli occhi sono puntati su alcune destinazioni in cui si trovano un gran numero di pensionati italiani come Portogallo, Grecia, Spagna e Tunisia. Nel complesso l’Inps verificherà circa 317 mila trattamenti previdenziali, per un importo complessivo di circa 1.435 milioni di euro. Le pensioni pagate all’estero rappresentano il 2,4% del totale di quelle erogate dall’istituto di previdenza
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- Lo scopo delle verifiche dell’Inps è ridurre il rischio di pagamenti di prestazioni dopo la morte del beneficiario
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- In caso di mancata riscossione personale o produzione dell'attestazione di esistenza in vita entro il 19 febbraio 2024, il pagamento delle pensioni sarà sospeso a partire dalla rata di marzo 2024. Al fine di ridurre il rischio di pagamenti di prestazioni dopo la morte del beneficiario, alcuni pensionati potranno essere interessati dalla verifica generalizzata dell'esistenza in vita, indipendentemente dalla propria area geografica di residenza o domicilio
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- I pensionati possono fornire la prova di esistenza in vita inviando il relativo modulo alla casella postale PO Box 4873, Worthing BN99 3BG, United Kingdom, attraverso operatori di Patronato aventi la qualifica di "testimoni accettabili" o riscuotendo personalmente la pensione presso gli sportelli Western Union
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- Intanto l’Inps ha condotto un’analisi sulla speranza di vita di alcune singole categorie lavorative. Dal Rapporto annuale emergerebbe che non sarebbe corretto assegnare a professioni e gruppi socio-economici con prospettive di sopravvivenza diversa gli stessi coefficienti di trasformazione ai fini del calcolo dell’importo della pensione
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- Dai dati Inps la mortalità dei pensionati da lavoro sarebbe invece differenziata per reddito, per gestione previdenziale e per Regione di residenza. A profili diversi corrispondono situazioni diverse, anche in maniera significativa
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- Considerando il reddito, tra i lavoratori uomini con reddito più basso e quelli con reddito più alto, per esempio, ci sarebbe una differenza di aspettativa di vita di ben 2,6 anni, a vantaggio di questi ultimi. Ma tutti ricevono, in proporzione ai contributi versati, la stessa pensione
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- Un’altra visibile differenza, al di là del reddito e delle professioni, sarebbe quella tra uomini e donne. Considerando la popolazione complessiva, queste ultime a 67 anni hanno una speranza di vita di 20,2 anni, contro i 17,3 degli uomini: i tre anni in più dovrebbero trasformarsi a parità di altre condizioni in pensioni più basse per le donne. Un’ipotesi che non sembra nemmeno immaginabile
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- L’Inps ha precisato, a seguito delle polemiche riguardo all’analisi sulla speranza di vita delle singole categorie, che “non è nei compiti dell’Istituto fare proposte al legislatore in materia di welfare”. Al momento comunque sul tavolo dell’esecutivo non è considerata un’operazione di ricalcolo degli assegni