Riforma pensioni 2024, assegni più bassi per chi vive più a lungo: lo studio dell’Inps
Alla base della proposta il fatto che le persone meno abbienti spesso hanno un’aspettativa di vita più breve e, quindi, pagare loro gli assegni con lo stesso coefficiente di trasformazione usato per cittadini più ricchi va solo a vantaggio di questi ultimi. Il valore utilizzato per il calcolo con metodo contributivo, infatti, è uguale per tutti, ma le differenze territoriali e di mansioni svolte hanno un impatto significativo sulla longevità delle persone
- Adeguare le pensioni all’aspettativa di vita dei lavoratori, ovvero corrispondere assegni più bassi a chi vive più a lungo. È questo uno dei meccanismi allo studio dell’Inps, riportato oggi da Il Messaggero, che non è escluso sia tra le opzioni prese in considerazione per la tanto attesa riforma previdenziale
- Alla base di questa proposta c’è un concetto semplice: va tenuto conto che le persone meno abbienti spesso hanno un’aspettativa di vita più breve e che, quindi, pagare loro gli assegni con lo stesso coefficiente di trasformazione usato per cittadini più ricchi va solo a vantaggio di questi ultimi
- Il coefficiente di trasformazione, ovvero il valore che concorre al calcolo della pensione con metodo contributivo, è uguale per tutti: non tiene conto quindi conto di fattori come il lavoro svolto - più o meno logorante - e la Regione in cui si vive con la sua relativa efficienza sanitaria
- Inoltre, i coefficienti di trasformazione variano in base all'età anagrafica del lavoratore nel momento in cui consegue la prestazione previdenziale, a partire dall'età di 57 anni (ad esempio nel caso di lavoro molto precoce) fino ai 71 anni (nel caso non si abbiano gli anni di contribuzione sufficienti ad uscire a 67 anni). Maggiore è l’età del lavoratore, più elevati risulteranno anche i coefficienti di trasformazione
- Secondo Il Corriere della Sera, che ha analizzato la banca dati dell’Inps, “un pensionato iscritto al fondo dei lavoratori dipendenti, quello che raccoglie anche operai e impiegati, ha un’aspettativa di media di ricevere l’assegno pensionistico per 17,6 anni”. Un ex dirigente, invece, percepirà la pensione in media per 19,7 anni
- Per quanto riguarda le Regioni, si osservano alcune differenze fra Nord, Centro e Sud. Dai dati analizzati dal quotidiano di via Solferino emerge, ad esempio, come le donne che vivono in Trentino Alto Adige percepiscano la pensione in media per oltre 4,5 anni in più delle pensionate di Campania e Sicilia (21,6 anni contro 17,1)
- Per quanto riguarda gli uomini si fa l’esempio di Marche e Umbria, dove i pensionati vivono in media altri 18,3 anni dopo aver smesso di lavorare a 67 anni. In Campania e Sicilia il dato scende a 17 anni
- Un fattore, quello territoriale, che si intreccia anche al reddito. Il dato della donna che vive in Trentino Alto Adige sale fino a 22,5 anni se l’ex lavoratrice appartiene a una fascia alta di reddito, quello degli uomini di Marche e Umbria arriva a 19,4 anni
- A livello nazionale - spiega Il Corriere della Sera - un pensionato che si colloca nella fascia più bassa di reddito percepisce l’assegno per circa 16 anni, mentre uno che si trova economicamente al polo opposto lo riceve in media per 20,9 anni
- Le pensioni liquidate nel 2023 e nel 2024 saranno per la parte contributiva più alte a parità di contributi versati rispetto a quelle del biennio precedente, grazie all'aggiornamento dei coefficienti di trasformazione del montante contributivo. Infatti, a causa della riduzione della speranza di vita dovuta all'aumento di mortalità legato al Covid, i coefficienti saranno più alti di circa il 2-3% rispetto a quelli del biennio 2021-2022 e questo si rifletterà sulla parte contributiva dell'assegno