
Lavoro, boom di dimissioni: quali professionisti lasciano l'impiego e per quali motivi
Il Ministero del Lavoro ha comunicato che nei primi nove mesi del 2022 si sono registrate 1,66 milioni di dimissioni, un aumento del 22% rispetto allo stesso periodo del 2021. La fuga dal proprio impiego è motivata soprattutto dalla ricerca di un’altra occupazione migliore in termini salariali e di benessere personale. Ecco quali categorie sono più interessate e perché

Le tabelle dell'ultima nota trimestrale sulle comunicazioni obbligatorie del Ministero del Lavoro hanno rilevato che nei primi nove mesi del 2022 si sono registrate 1,66 milioni di dimissioni dal lavoro, un aumento del 22% rispetto allo stesso periodo del 2021 quando erano state 1,36 milioni
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Nel solo terzo trimestre dell'anno scorso, le dimissioni sono state pari a 562mila, in crescita del 6,6% (pari a +35mila) sul terzo trimestre 2021. Si tratta di una vera e propria ondata di un fenomeno che riguarda anche altri Paesi nel mondo
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Il Corriere della Sera ha analizzato i profili di chi sta lasciando il posto di lavoro, partendo dai dati dell’indagine della Fondazione studi dei consulenti del lavoro riferiti al periodo 2019-2021
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Le cose da allora sono ulteriormente cambiate per via della pandemia ma già all’epoca era evidente una crescita di professionisti qualificati in fuga dal proprio lavoro per cercare un’altra occupazione migliore in termini salariali e di benessere vita-lavoro
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Le dimissioni hanno riguardato ingegneri, medici, infermieri, geometri, operai specializzati. Tra le fasce che hanno fatto segnare il maggior incremento venivano segnalate soprattutto quelle dei laureati e dei lavori qualificati. Tante dimissioni anche nel settore edilizio, mentre nella sanità e nell’assistenza sociale la crescita è stata del 33%
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Le dimissioni del terzo trimestre 2022 hanno riguardato 317mila uomini e 244mila donne, ma queste ultime hanno fatto registrare un aumento più consistente rispetto allo stesso trimestre del 2021 (+22.717 donne contro +12.257 uomini). Il fenomeno sembra quindi impattare di più sulle lavoratrici
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Età e livello di istruzione sono parametri che variano molto per i lavoratori che si dimettono. Viene rilevato che nelle fasce d’età tra i 35 e 54 anni, più del 60% dei dimessi ha una nuova altra occupazione. La quota scende al crescere dell’età, arrivando al 33,7% tra chi ha più di 55 anni. Tra i laureati la quota di “rioccupati” dopo le dimissioni è più alta, raggiungendo il 69,2% contro il 55,8% dei diplomati e il 51,3% di chi ha un titolo di studio inferiore

Inoltre mentre nel Nord Italia il fenomeno è legato alla fluidità del mercato lavorativo, al Sud la metà dei dimissionari rimane senza lavoro e solo il 49,5% risulta ricollocato. L’ondata di dimissioni, secondo l’Associazione italiana direzione del personale, è un fenomeno molto diffuso tra le fasce più giovani dei lavoratori

Secondo l’indagine della Fondazione studi consulenti del lavoro, il 55% dei lavoratori in Italia vuole cambiare impiego, perché insoddisfatto dell’occupazione attuale. C’è un 15% che sarebbe sempre alla ricerca di una nuova occupazione. Tra i motivi più citati per dimettersi ci sono la ricerca di un salario migliore, l’insoddisfazione per le poche prospettive di crescita professionale e la ricerca di un maggiore benessere personale nella bilancia lavoro-vita personale
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