Cecilia Sala: "In Iran interrogatori incappucciata con faccia al muro"

Cronaca
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La giornalista racconta i suoi 21 giorni di prigionia nel carcere di Evin a "Che tempo che fa": dalla cella sentiva "rumori strazianti, erano tentativi di farsi del male di detenute in isolamento". Sul giorno dell'arresto: "Mi hanno portata via dall'albergo e mi hanno bendata". E spiega di non voler più tornare in Iran, almeno finché sarà una Repubblica Islamica

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"Venivo interrogata incappucciata con la faccia al muro. Finché c'è la Repubblica islamica non tornerò in Iran". Cecilia Sala racconta i suoi 21 giorni nel carcere di Evin, alla periferia della capitale iraniana Teheran, intervistata da Fabio Fazio a Che tempo che fa. Arrestata il 19 dicembre mentre si trovava nel Paese per lavoro, la giornalista romana è arrivata in Italia lo scorso 8 gennaio. Spiega di essere stata interrogata sempre dalla “stessa persona” e in lingua inglese. “Capivo che conosceva molto bene l'Italia. Il giorno prima della mia liberazione sono stata interrogata per dieci ore di seguito. In un interrogatorio sono crollata, mi hanno dato una pasticca per calmarmi". Poi scende nei dettagli di quanto succede nella temuta prigione: "Quando si aprivano le porte sentivo una ragazza di una cella vicina che prendeva la rincorsa per sbattere la testa il più forte possibile contro la porta. I rumori che arrivavano dal corridoio erano strazianti, erano tentativi di farsi del male di detenute in isolamento". Temendo "per i suoi nervi", per sopravvivere, Sala pensava "alle cose belle della mia vita e al fatto che prima o poi le avrei riavute". 

"Hanno bussato e mi hanno portata via bendata"

La giornalista, classe 1995, ha raccontato di essere stata "presa nella mia camera d'albergo mentre stavo lavorando: hanno bussato e mi hanno portata via. In macchina ero incappucciata con la testa abbassata verso il sedile. Ho capito dove mi stavano portando perché conosco il carcere che è dentro la città". Bendata, è comunque riuscita a capire "dal traffico e dalla strada" che si stavano dirigendo ad Evin. Oltre a un periodo di isolamento, Sala ha condiviso per qualche tempo la cella con un'altra detenuta. "La prima cosa di cui abbiamo parlato è stato di come capire che ora fosse. C'era una piccola finestrella sbarrata in alto e da lì abbiamo giocato a capire dal riflesso che ora fosse".

Le telefonate con il compagno

Nell’isolamento del carcere – dove “viene costruita una condizione psicologica per farti crollare” – Sala ricorda di aver perso qualsiasi contatto con l’esterno: “Non sapevo nulla di ciò che accadeva fuori”. Con la memoria torna indietro alle chiamate che ha potuto effettuare. “Nella prima telefonata potevo dire di essere stata arrestata e di non essere stata ferita. Poi le telefonate sono diventate un po' più lunghe, riuscivo a passare delle informazioni a Daniele nonostante la regola che non si può parlare del tuo caso e della prigione. Gli ho detto di avere paura per la mia testa, avevo paura di perdere il controllo. Abbiamo un linguaggio in codice per cui riuscivo a passare delle informazioni nonostante i controlli, come per esempio che non avevo un materasso e un cuscino", ha detto. 

La consapevolezza di essere “un ostaggio”

Le preoccupazioni più grandi, ricorda ancora Sala, erano legate alla crisi mediorientale e all'imminente insediamento di Donald Trump: "Era un conto alla rovescia che mi spaventava tantissimo. Se avesse detto pubblicamente che voleva ritorsioni contro qualche iraniano la mia situazione poteva complicarmi moltissimo". Il momento in cui ha capito “di essere un ostaggio” è stato “quando mi hanno informato della morte di Jimmy Carter, il presidente americano della crisi degli ostaggi. È stata l'unica notizia che mi hanno dato durante la detenzione. In quel momento ho capito quale fosse la mia condizione". 

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"Sono fortunatissima a essere rimasta in carcere solo 21 giorni"

Sala si ritiene “fortunatissima” a essere rimasta in carcere “solo” per tre settimane, perché “il recupero è più rapido rispetto a tante altre persone che sono rimaste lì centinaia di giorni". E sottolinea come quella per liberarla sia stata l'operazione "più rapida" dagli anni Ottanta: "Seguo l'Iran da giornalista e quindi conoscevo gli altri casi". Pian piano la sua situazione sta migliorando: “Adesso, aiutata, riesco a dormire”.

"Mi hanno negato il Corano, passavo il tempo a contarmi le dita"

La giornalista ricorda di aver chiesto il Corano, in testo inglese, per potere ingannare il tempo leggendo: "Pensavo che fosse un libro che in un carcere di massima sicurezza dell'Iran non mi potessero negare". Invece non le fu mai consegnato. Così, aggiunge, "ho passato il tempo a contarmi le dita, a leggere gli ingredienti sulle buste". 

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La liberazione

Del giorno della liberazione, Sala ricorda di aver pensato che "le persone che mi erano venute a prendere fossero i pasdaran e non l'intelligence iraniana". La sensazione era che "mi stessero portando in una delle loro basi militari". Poi, quando all'aeroporto militare è stata sbendata,  "ho visto una faccia italianissima con un abito grigio ho fatto il sorriso più grande della mia vita".

"La mia famiglia non ha mai parlato con Elon Musk"

Durante l'intervista si è parlato anche del presunto coinvolgimento di Elon Musk nel rilascio. "Nessuno della mia famiglia ha mai parlato con lui. Il mio compagno ha contattato il referente, Andrea Stroppa, chiedendogli se potesse far arrivare la notizia a Musk, che qualche mese prima aveva incontrato l'ambasciatore iraniano alle Nazioni Unite, un evento storico dopo la crisi del '79. Gli ha chiesto se potesse fare arrivare la notizia e l'unica risposta ricevuta è stata informato", ha spiegato Sala.

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