È iniziato oggi il processo di secondo grado a Massimo Bossetti, condannato nel 2016 all'ergastolo per l'omicidio della ginnasta di Brembate. La difesa: il corpo della ragazza non è stato nel campo per tre mesi. Richiesta maxi perizia con anche verifiche su Dna
Una fotografia satellitare datata 24 gennaio 2011, cioè un mese e due giorni prima che venisse ritrovato il corpo di Yara Gambirasio in un campo di Chignolo d’Isola. È questo uno degli elementi su cui verte la linea difensiva di Massimo Bossetti nel processo d’appello iniziato il 30 giugno (FOTO). Ma per il pg di Brescia, Marco Martani, la sentenza di primo grado "è ineccepibile" e le immagini satellitari "non provano nulla". Dura la reazione del carpentiere di Mapello, condannato all’ergastolo in primo grado, nel luglio del 2016, per la morte della ragazza sparita il 26 novembre del 2010 e ritrovata tre mesi dopo: "Viene qua a dire idiozie", ha detto durante il discorso del pg.
La fotografia e il ritrovamento del cadavere
La fotografia satellitare, per i legali di Bossetti, "mostra l'esatto punto del ritrovamento del corpo della vittima che, tuttavia, parrebbe non essere identificabile". L’obiettivo dei difensori, quindi, è quello di dimostrare che il corpo di Yara non sarebbe stato sempre nello stesso punto, ma che sarebbe stato portato nel campo in un secondo momento. Il nuovo elemento è stato depositato lo scorso 15 giugno alla corte d'Assise d'appello di Brescia. La foto accompagna la richiesta della difesa di una maxi perizia su più elementi, tra cui anche il Dna. Come consulente i difensori avrebbero ingaggiato Peter Gill che è ritenuto uno dei padri della genetica forense.
Le tracce di Dna su leggins e slip
Ma sono ancora molti i punti da chiarire e che coinvolgono Massimo Bossetti nella vicenda. Per i giudici della corte d’Assise di Bergamo che l’hanno condannato all’ergastolo, un elemento centrale è stato il Dna trovato sugli slip e sui leggins di Yara che collegherebbe il carpentiere alla vittima (IL CASO YARA: FOTOSTORIA). La traccia trovata è stata attribuita a “Ignoto 1” e ha poi portato al fermo del presunto assassino, dopo tre anni e mezzo di indagini. La ricerca del codice genetico aveva condotto gli investigatori sulle tracce di un uomo nato da una relazione extraconiugale tra Ester Arzuffi, 67 anni e madre del carpentiere, e Giuseppe Guerinoni, autista morto nel 1999 e originario di Gorno. E, proprio la prova del Dna era stata definita "granitica" dalla corte d’Assise di Bergamo quando un anno fa aveva condannato Bossetti.
Dna nucleare e Dna mitocondriale
Da una consulenza tecnica emerge però un problema: il Dna nucleare combacerebbe con quello del muratore, ma quello mitocondriale, che indica la linea materna, non corrisponderebbe. Mentre per il pm Letizia Ruggeri basta quello nucleare, i legali di Bossetti contestano di essere in presenza di "un mezzo Dna contaminato la cui custodia e conservazione sono il tallone d'Achille di un processo indiziario". I giudici bresciani ora sono chiamati a riconsiderare i pilastri dopo le critiche mosse dai legali di Bossetti - Claudio Salvagni e Paolo Camporini - secondo i quali "è palese l'errore giuridico della sentenza di primo grado che, ritenendo di attribuire la traccia genetica a Bossetti, ne ha fatto derivare in automatico la prova dell'omicidio".
Le celle telefoniche
Ad inchiodare Bossetti, però, ci sarebbero anche le celle telefoniche. Il pomeriggio del 26 novembre 2010 Yara scompare dopo avere consegnato uno stereo nella palestra di via Locatelli, a Brembate di Sopra. Quel giorno, l’ultima telefonata del carpentiere di Mapello è delle 17,45, poi il telefono resta muto sino alle 7,34 del mattino dopo. L'ultima cella che aggancia il suo telefono è quella di via Natta a Mapello, circostanza che inchioderebbe Bossetti perché l'imputato aggancia la stessa cella della vittima. La difesa sottolinea però che il traffico telefonico è identico a quello di tutti gli altri giorni.
Il furgone, le fibre tessili e le sferette metalliche
Il furgone, le fibre tessili e le sferette metalliche trovate sul corpo della vittima sono gli altri elementi su cui si è basata l’accusa. Yara, come ha stabilito l'autopsia, non è morta subito, ma dopo una lunga agonia e stremata dal freddo, a Chignolo d'Isola, non lontano - come ha precisato l’accusa - da un negozio dove Bossetti si riforniva di materiale per il suo lavoro. Sul corpo di Yara, a questo proposito, sono state trovate fibre tessili "compatibili" con la tappezzeria dei sedili del furgone di Bossetti e delle "sferette metalliche" che ricondurrebbero a una persona che lavora "nel mondo dell'edilizia". Ma, per la difesa, questi sono elementi che non proverebbero nulla anche perché nel furgone non ci sarebbero tracce della vittima.
Bossetti: "Convito che in appello avrò finalmente giustizia"
Bossetti si è sempre dichiarato innocente e ha sempre sostenuto di non aver mai conosciuto Yara. Secondo l’accusa, l’uomo "non sa spiegare perché il suo Dna si trovi sugli indumenti della vittima". Mentre secondo la difesa durante le indagini non sarebbe emerso un possibile movente. E sarebbe da escludere anche una connessione tra l’omicidio e le ricerche pornografiche effettuate dal computer di casa Bossetti, perché queste risalirebbero a tre anni dopo la morte di Yara. Per i suoi legali, il muratore è "convinto" che in appello potrà avere "finalmente giustizia".
Dopo il 30 giugno, sono previste altre due udienze, il 6 e il 10 luglio. La decisione dei giudici è attesa tra il 14 e il 17 dello stesso mese.