Il ricordo della direttrice del programma Terapie Cellulari Avanzate dell'Irccs Policlinico di Sant'Orsola di Bologna: "Il suo male era cattivo, resistente a tutte le terapie, ai trapianti, però ha avuto attorno una serie di relazioni di affetto per cui non è mai stato solo"
“Sinisa Mihajlovic è stato un esempio”. Così Francesca Bonifazi, medico dell'ex allenatore scomparso all'età di 53 anni a causa di una leucemia, ha voluto ricordare il suo paziente. La direttrice del programma Terapie Cellulari Avanzate dell'Irccs Policlinico di Sant'Orsola di Bologna ha spiegato anche come il campione serbo abbia dato "molto coraggio” anche agli altri malati, che “hanno provato un senso di comunanza nel vedere come ha affrontato la malattia e anche la recidiva". Sinisa, ha proseguito Bonifazi, "era una persona con valori molto profondi. Non ha amato solo il calcio, che è stato il suo brodo primordiale, ma anche la sua famiglia che lo ha sempre sostenuto in modo coerente e costante" (LO SPECIALE SU MIHAJLOVIC).
"Ha sofferto molto, ma lo ha fatto con grande dignità"
"L’ho seguito fino alla fine – ha spiegato la dottoressa -, per me è stato un paziente perfetto, con una grande personalità e al tempo stesso con la capacità di affidarsi totalmente. Aveva una malattia molto brutta, tra le più aggressive che io abbia mai visto. Il messaggio che ha dato a tutti noi, il suo grande insegnamento, è il coraggio di andare avanti. Il coraggio di non aver paura di affrontare qualcosa che non si conosce, di sapersi affidare, di lottare senza temere il dolore. Ha sofferto molto, ma lo ha fatto con grande dignità. E il coraggio lo prendevamo insieme, ce lo davamo reciprocamente".
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"La sua famiglia era il suo ossigeno"
Bonifazi ha seguito il decorso di quel male che lo ha colpito nel 2019 e che, alla fine, ha avuto la meglio sulla "voglia di vivere di Sinisa". Per superare la malattia, ha raccontato il medico, "avrebbe affrontato qualsiasi dolore, qualsiasi sofferenza. Non voleva lasciare la sua famiglia, che amava sopra ogni altra cosa". Per Bonifazi "il calcio era il suo mondo, ma la sua famiglia era il suo ossigeno". Dalle parole della dottoressa si percepisce quello che poi sottolinea lei stessa: "Per me oggi è morto non solo un paziente, ma anche un amico". E nonostante tutto, "io dico sempre che la malattia più brutta è quella che si affronta da soli", riflette. "Il suo male era cattivo, resistente a tutte le terapie, ai trapianti, però ha avuto attorno una serie di relazioni di affetto per cui non è mai stato solo". "In ospedale si è fatto ben volere da tutti, non c'è una sola persona dai medici agli infermieri agli ausiliari al personale tecnico.. gli hanno voluto tutti molto bene".