Messi resta al Barcellona? Il padre Jorge: "Ci stiamo lavorando"

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Gabriele Lippi

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L'addio, che sembrava vicinissimo, potrebbe invece sfumare all'improvviso. A risultare decisivo l'incontro tra il padre e agente della Pulce e il presidente del Barcellona Bartomeu, fermissimo nella sua intenzione di non lasciar partire il campione argentino. Ancora un anno in blaugrana, poi Messi sarà libero di decidere del suo destino

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Tanto rumore per nulla. O quasi. Il giallo del calciomercato estivo, quello sul destino di Lionel Messi, sembra pronto a risolversi in un nulla di fatto, col campione argentino sempre più vicino alla permanenza al Barcellona. Quello che fino al 2 settembre sembrava impossibile, ora assume i contorni della concretezza più nitida. Una tregua, di un anno, in cui la Pulce vestirà ancora la maglia blaugrana, poi sarà libero di scegliere il suo futuro, dal momento che il suo contratto scade a giugno 2021.

La conferma di papà Jorge

A dare conferma delle voci arrivate dall’Argentina nella mattinata del 3 settembre, clamorose a questo punto forse anche più di quelle del suo addio diffuse a fine agosto, è stato Jorge Messi, padre dell’attaccante argentino, che intercettato dai microfoni di Deportes Cuatro ha ammesso: "Sì, stiamo studiando una possibilità per restare in blaugrana" e l'incontro con la società "è andato molto bene". Niente di definito e ufficiale, ancora, ma già una svolta radicale rispetto alle dichiarazioni rilasciate dallo stesso Jorge Messi appena un giorno prima, quando al suo arrivo a Barcellona aveva risposto ai giornalisti che gli chiedevano delle possibilità di una permanenza in Catalogna con un secco: "È molto difficile".

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Ieri l'incontro con il club

Nella serata del 2 settembre, Messi padre si è seduto al tavolo con Josep Maria Bartomeu, il contestatissimo presidente del Barcellona, col mandato in scadenza a marzo 2021, quando si terranno nuove elezioni alle quali lui non sarà candidato. Entrambe le parti sarebbero rimaste distanti, con il padre del giocatore che avrebbe ribadito la ferma volontà di andare via già annunciata al club via burofax e il presidente che ha posto un secco rifiuto all’ipotesi di liberare il numero 10 a costo zero o anche solo di poterne trattare la cessione. 

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Una guerra di posizione a colpi di clausole

Il messaggio di Bartomeu è chiaro fin dall’inizio: chi vuole Messi deve pagare la clausola di 700 milioni di euro prevista dal suo contratto, una cifra irraggiungibile per chiunque, persino per il Manchester City degli sceicchi e di Pep Guardiola, che sarebbe felicissimo di riabbracciare il campione già allenato in quattro stagioni consecutive a Barcellona. Difficile, evidentemente, anche far leva sull’altra clausola sul contratto di Messi, quella che gli permetterebbe di svincolarsi a costo zero al termine di ogni stagione. L’ipotesi, infatti, ha una data di scadenza, il 10 di giugno, abbondantemente superata. La tesi dell’entourage del giocatore è che quella data debba slittare in avanti esattamente come è successo, causa pandemia di Covid-19, per tutta la stagione; quella del Barcellona è che invece il 10 giugno resti una scadenza vincolante a prescindere da ogni altra contingenza. 

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Messi rischiava di restare bloccato

Il rischio, per Messi e il Barcellona, era dunque quello di infilarsi in un vicolo cieco in cui nessuno dei due avrebbe ottenuto ciò che voleva. Dopo il rifiuto di presentarsi agli allenamenti, il giocatore avrebbe rischiato di restare bloccato dal contratto senza giocare; la squadra di dover comunque pagare un ingaggio altissimo per un fuoriclasse scontento e sul piede di guerra. La tregua, che pace non è, pare dunque la soluzione migliore per entrambi. Ma è evidente come, se Messi dovesse definitivamente rinunciare al trasferimento immediato, a vincere sarebbe Bartomeu. L’eventuale rinnovo della Pulce, complicatissimo e apparentemente impossibile allo stato attuale, sarebbe una patata bollente che il presidente passerebbe nelle mani del suo successore. Ammesso che alla Pulce non torni davvero la voglia di restare nella città che lo ha accolto quando aveva appena tredici anni e una disfunzione ormonale che gli impediva di crescere.

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