Succession 4 , tra mostri e karaoke. La recensione dell’episodio 1 e 2 della serie tv

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Paolo Nizza

Paolo Nizza

In esclusiva su Sky e in streaming solo su Now, le prime due puntate dell’ultima stagione della pluripremiata serie HBO creata da Jesse Armstrong sono il feroce e sorprendente preludio alla battaglia finale per il potere. Il ritratto di un gruppo di famiglia in un inferno in un’ America alla vigilia delle elezioni presidenziali

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Quarantotto nomination agli Emmy® e 13 premi vinti, tra cui Miglior serie drammatica, per la seconda e la terza stagione. La bacheca dei trionfi ottenuti dalle tre precedenti stagioni di Succession è impressionante. Ed  è ancora più straordinario e ammirevole che HBO abbia deciso di concludere la saga dal sapore shakespeariano della famiglia Roy quest’ anno con dieci, straordinari, episodi. A Jesse Armstrong, il creatore di Succession, non piacciono i cocktail annacquati, le minestre riscaldate, tanto meno “il salto dello squalo”. La quarta stagione segna la resa dei conti tra Logan e la sua progenie, la sfida all’ O .K. Corral tra il  Re Lear dei media americani e i suoi figli. Le tragedie hanno una fine precisa, un  destino segnato. Prolungare oltremodo Succession, l’epopea dei Roy, sarebbe stato più risibile di un sequel dell’Otello di Shakespeare. Perché nel suo entomologico sezionare le turbe, le pulsioni, le nevrosi, le psicosi  di un milionaria famiglia disfunzionale, Succession, squarcia il velo di Maya e ci mostra come siamo e non come vorremmo essere. E riesce a trasfigurare questo svelamento, questo compendio di decomposizione (per citare Cioran) in un serie geniale , beffarda, dolente, in grado di arrivare a tutti, e non solo di rappresentare i viziati e viziosi rampolli Wasp d’oltreoceano. Sicché in questi primi due episodi (disponibili su Sky scopriamo come stanno, economicamente e psicologicamente, i pretendenti al titolo in questa sorta di contemporaneo Trono di spade, senza, draghi ma pieno di mostri molto più letali e terrificanti. Non a caso la prima puntata di questa ultima stagione è stara diretta dal britannico Mark Mylod, regista di sei episodi di Game of Thrones, nonché dell’horror The Menù, gioiello stellato di ferocia, ironia e critica sociale.

Succession 4, ecco i mostri. La recensione dell'episodio 1

La  fine è l’inizio. Il primo episodio della quarta della stagione di Succession inizia con il genetliaco del patriarca Logan Roy (l’immenso Brian Cox). Esattamente come accadeva nella prima puntata della serie andata nel 2018. Tuttavia,  il tempo che passa cambia le carte in tavola, parimenti a una perpetua partita di poker. Infatti, il titolo della puntata non è “Compleanno” ma "I Mostri", in lingua originale The Munsters, e per i cultori del camp in salsa dark la mente vola alla situation comedy anni Sessanta con protagonista un pater familias modellato su Frankenstein, una moglie tipo Elsa Lanchester con mèche bianche, un nonnino vampiro con il look alla Bela Lugosi, un pargoletto lupo mannaro e una figlia bionda di nome Marilyn. Una specie di famiglia Addams meno nota ai più e per certi versi più tenera. Solo che sono più le divergenze che le affinità tra i Roy e questo bizzarro nucleo famigliare. Logan è un autentico vampiro, un Saturno capace di divorare i suoi figli che peraltro gli volevano fare le scarpe. Comunque, "la festa è mesta", come cantavano i Marlene Kuntz. A papà Logan girano. Il re non è nudo ma molto solo. Manca un niente per vendere la Waystar allo scapigliato e riottoso tycoon svedese Lukas Matsson (Alexander Skarsgård, che in questa stagione vedremo spesso e volentieri). A fianco del tycoon c’è Kerry (Zoe Winters), in giacca e pantaloni azzurri, amica, assistente e magari amante. L’unico tra i figli presente è Connor (Alan Ruck). La paura di andare sotto l’un per cento alle presidenziali e quindi non contare alcunché, fa più che novanta. Però sborsare 100 milioni di dollari, brucia le tasche e non solo. Per risparmiare, l’idea del candidato è quella di organizzare un matrimonio instagrammabile e molto virale, con fanfare, ottoni, fucili sparacoriandoli, rapper e la statua della libertà a guisa di splendida cornice. Solo che Willa Ferreyra si strugge per la cerimonia. Anche le escort piangono e sognano due cuori, una capanna, un battello, tanto amore e molti dollari.

O LA BORSA ALLA VITA

"Fermati attimo sei bello" diceva Goethe. Aforisma molto condivisile che dimostra ancora una volta la sua efficacia in quello speziato appuntamento online, orchestrato da Gregg (il tonto nipote di Toy), grazia alla versione deluxe di Tinder, perché Succession è una serie che vive di dettagli

La pulzella conosciuta dal diversamente  intelligente del Team Roy su chiama Bridget. Invitarla al compleanno del capo si rivela un errore marchiano,  l’equivalente di una spruzzata di parmigiano reggiano  su un cappuccino fumante Ma il problema serio è che ormai i social gradiscono il formaggio nel caffè, basta vada in trend. Tant’è che nella realtà  la gargantuesca borsa griffata Barbour, sfoggiata dalla ganza  e financo  sbertucciata daTom (“Cosa c'è li dentro, eh? Scarpe basse per la metropolitana? Il Tupper per pranzo, la porti in campeggio”. è diventata già un must. Insomma, non è esiste la cattiva pubblicità.

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Tre figli e un'azienda

Dalle umbratili e cupe atmosfere del party newyorchese al solare brainstorming losangelino organizzato dalla genia del boss, il passo è tutt’altro che breve. Un meeting all’insegna della coazione a ripetere. Invertendo l’ordine dei figli, il livore non cambia.  Siobhan "Shiv" non ha idee originali e ha sempre in tasca un piano B. Kendall è un buddista per tutte le stagioni con cappellino da baseball e slogan d’accatto e Roman sputa cattiverie ma è ancora succube di papà. Tre dissociati pronti ad abbracciare il nuovo progetto mediatico chiamato The Hundred, ovvero Substack che incontra MasterClass che incontra The Economist che  incontra The New Yorker. Però forse si gode di più se rubi il sogno all’odiato padre  e lo fotti comprando al posto suo Pierce Global Media e manco ti dispiace per gli altri. Lascia perdere quei rozzi dei Klingon, la vendetta va consumata subito, non c’è nessun aldilà e nessuno racconta più barzellette. Perché non c’è  niente da ridere. Siamo solo elementi economici. L’amore muore all’alba, pure se c’hai provato e ti sei impegnato per far sopravvivere una  passione stritolata dall’ambizione e dalla carriera. Infine il Titano smagato guarda, a notte fonda, la sua rete televisva, il suo notiziario e  storce il naso. L’anchorman sembra uno scroto con un tupè. L’ATN  perde colpi, invece, Succession non ne sbaglia uno.

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Succession 4, la recensione dell'episodio 2

Nel mondo dell’infotainment, dove il saluto più diffuso è “ciao, come sto?”, a Logan salta la mosca al naso quando gli chiede come si sente. Pure se a domandarli è la sodale dalla simmetrica frangetta. Impeccabile, irreprensibile, impermeabile assistente Karen. Ma pure la devota chief's assistant conserva un sogno del cassetto, magari sommerso da agende, contratti e fatture. E manco troppo originale, ovvero conduttrice in televisione, mezzo che ha sempre la forza del leone, nonostante, Instagram, TikTok e chi più ne ha più ne metta. E ancora una volta Succession dimostra quanto i personaggi raccontati dalla serie abbiano una profondità inusitata per la fiction contemporanea. Le figurine (paterne e non) da incollare all’albo del campionato dei cliché non si manifestano qui. Anzi è sempre il “mi manca”  e non il “ce l’ho” a segnare le vite, gli, amori, le delusioni di questa disfunzionale famiglia gonfia di dollari e traumi... Tant'è che spesso le trattative raccontate nell serie non vanno mai a buon fine.

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Sono un pirata, sono un signore

E anche in Rehearsal, il secondo episodio di Succession 4. La  musica non cambia. Certo,  sull’incedere delle note incalzanti di Nicholas Brittell, agli spettatori più nerd e attendi non sarà sfuggita qualche variazione nella immagini della sigla iniziale: dalla disatrosa app Stargo impossibile da cairicare. ai VideoWall dell’ ATN News che annuncia le presidenziali con un perentorio “America Decides”. Solo che i desideri non invecchiano quasi mai con l’età. In fondo i Roy sono bambini travestiti da adulti in quei fotogrammi sgranati che introducono ogni puntata della serie. Tant’è che Logan, parimenti a un magnate d’altri tempi, arringa la redazione delle news con un discorso motivazionale in cui di politicamente corretto non c’è alcunché. È come se nel film Lo Squalo tutti lavorassero per lo Squalo. Il patriarca si immagina come un pirata, un Captain Blood dell’informazione, un Sir Francis Drake, ma forse dei mitici filibustieri gli è rimasta solo la barba. E poi c’è poco da giocare ai corsari, Stewie e Sandy vorrebbero che lo svalvolato re Mida svedese aumentasse l’offerta per accaparrarsi la Waystar. Ma il proprietario di Gojo ha chiusa la borsa per cui prendere o lasciare.

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Karaoke e giochi di potere

Amici miei insegna: “Che cosa è il genio? È fantasia, intuizione, colpo d'occhio e velocità d'esecuzione”. E Jesse Armstrong vive in una lampada e il suo secondo nome è Jinn. Il demiurgo di Succession ambienta, infatti, in una sala karaoke privata nella Koreatown di Manhattan l’attesissimo faccia a  faccia  fra Logan e i sui figli. Connor, che forse non si sposerà più, deturpa con la sua voce Famous Blue Raincoat di Leonard Coen. La musica finisce e i nemici se ne vanno, Papà Roy vuole bene ai suoi figli, ma , a suo giudizio, non sono persone serie. Quindi niente ricongiungimento, nessun nuovo inizio, nessuna nuova speranza. Mica siamo in Star Wars, questa non è Tattoine. È New York, le persone raccolgono lattine per sfamarsi. I topi sono grossi come puzzole. The Party is over. Arriva la notte dei lunghi coltelli. Di padre in figlio e viceversa. La battaglia finale è sola all’inizio. I soldi e il sangue scorreranno a fiumi, mentre aspettiamo con trepidazione il prossimo episodio di una delle serie più straordinarie del globo terracqueo.

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