Joker: Folie à Deux è in prima tv questa sera su Sky Cinema. La recensione del film

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Paolo Nizza

Paolo Nizza

Joaquin Phoenix e Lady Gaga si immergono in un valzer dark tra le crepe dell’anima di Arthur Fleck e del suo alter ego. Tra animazione vintage, drammi carcerari, thriller da aula di tribunale e lampi di mélo, Todd Phillips firma un sequel  coraggioso dove musica e danza diventano protagoniste di un carnevale folle. Joker: Folie à Deux va in scena lunedì 7 luglio alle 21:15 su Sky Cinema e alle 21:45 su Sky Cinema Collection (preceduto da Joker), pronto a trascinarvi in un abisso in 4K, on demand

Il villain più famoso della DC Comics torna a folleggiare, questa volta sul piccolo schermo: lunedì 7 luglio alle 21:15 su Sky Cinema Uno debutta in prima TV Joker: Folie à Deux.

Il principe pagliaccio febbricita per il rischio, smania per le missioni impossibili, insomma that’s entertainment perché, come nel celebre noir con Bogart e Lizabeth Scott, “solo chi cade può risorgere”. Quando la follia si fa dura, i folli iniziano a folleggiare.

Con il primo lungometraggio, Joaquin Phoenix si portò a casa uno strameritato Oscar, ricordandoci che ridere mentre si piange è un’arte che pochi maneggiano senza farsi male. In questo secondo capitolo, Phoenix torna a incarnare Arthur Fleck in un mondo in cui Batman non esiste e non c’è spazio per i cavalieri oscuri: resta solo tempo per un’ultima barzelletta, per l’ultimo Spettacolo di Varietà – in omaggio a Vincente Minnelli e Fred Astaire, ma con meno piume e più sangue.

E se in sottofondo risuonano le note di What the World Needs Now Is Love di Burt Bacharach, è giusto ricordare che, forse, nemmeno Mefistofele anela all’anima di Arthur Fleck, così irrimediabilmente incrinata da far paura perfino al Diavolo in persona.

Joker: Folie à Deux non è un film furbo, ma un tuffo nell’abisso tra le risate che graffiano e il pianto che rimbomba, un musical di dissonanze e anarchia che trasforma il caos in un palcoscenico, perché Arthur Fleck, tra un sorriso sbavato e un passo di danza, non ha mai smesso di sussurrare: “Il mondo vuole ridere… ma a modo mio”.

Tra sogno e realtà, la trama del film

Guardare Joker: Folie à Deux è come prenotare una vacanza alle Seychelles e risvegliarsi, senza preavviso, tra le vette innevate di Aspen. Un cortocircuito. Un elettroshock che ti ridesta dal torpore.

L’incipit è un piccolo capolavoro: un delizioso cartone animato vintage in stile Looney Tunes dove Arthur Fleck, già Joker, lotta con la propria ombra malvagia per decidere chi salirà sul palco. Sullo sfondo, in camerino, campeggia la foto sbiadita del defunto Murray Franklin (Robert De Niro), come un monito o un fantasma che non smette di vegliare.

È un Killing Joke che apre le porte dell’Arkham Hospital, dove Arthur è rinchiuso, in attesa di processo per l’omicidio di cinque persone (nessuno sa che tra le vittime c’è anche sua madre, soffocata con un cuscino). Fuori, piove con la furia di un dio stanco di perdonare, mentre dentro, tra le mura umide e spesse del manicomio, l’aria sa di disinfettante e di sigarette accese con mani tremanti. “Posso avere una sigaretta?”, chiede Arthur. E in questo film si fuma come se il domani non fosse contemplato, perché molti, quel domani, non lo vedranno mai.

Obnubilato dai farmaci, Arthur è un dead man walking, e la sedia elettrica è una minaccia che respira sul suo collo. La sua storia è diventata un tv movie, ma lui non l’ha mai visto, non gli è stato permesso.

Poi, accade. Lee Quinzell – per il mondo Harley Quinn – entra nella sua vita come un fulmine. A volte basta un attimo, un incrocio di sguardi, e la realtà si sgretola. Per la prima volta, Arthur si sente visto. Perché esse est percipi: essere è essere percepiti. Compreso, perfino amato.

Mentre la sua avvocatessa (Catherine Keener) tenta disperatamente di salvarlo puntando tutto sull’infermità mentale, Arthur scivola in un mondo di fantasia, danza e musica, mentre fuori dal tribunale e dal manicomio la folla lo acclama come un profeta della rivolta, un reietto che diventa simbolo.

Ma Gotham non concede salvezza a cuor leggero. Il pubblico ministero Harvey Dent (destinato a diventare Due Facce) è deciso a inchiodare Arthur alla pena capitale. Sarà una giuria a emettere il verdetto, ma a volte il futuro si manifesta oltre l’aula di un tribunale, nelle pieghe della follia.

Un ospedale psichiatrico può trasfigurarsi in un hotel da incubo, un corridoio in un palcoscenico, una guardia carceraria (Brendan Gleeson) in un possibile concorrente di X Factor.

Perché in Joker: Folie à Deux sogno e realtà danzano insieme su un filo sottile, tra il clangore delle chiavi delle celle e il silenzio pesante dei corridoi, dove ogni passo di Arthur Fleck risuona come una nota stonata di un carillon rotto.

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La musica come personaggio segreto

Già nel 2019, Arthur aveva una musica in testa, una confusa e (in)felice compilation che gli colava nelle vene, esplodendo in quei suoi balletti solitari, malinconici come un carillon rotto in una stanza vuota. Ma in Joker: Folie à Deux le note non sono più soltanto un sottofondo: si trasfigurano in sinfonia, in coreografia, in autentico show.

La colonna sonora diventa un coro greco che commenta, giudica, consola, incalza. Un personaggio segreto che cammina accanto al protagonista. E quelle canzoni – che forse Arthur ascoltava con sua madre, tra un pasto scaldato e un silenzio che faceva più rumore di mille urla – adesso si accendono in scena, reinterpretate in modo divino da Joaquin Phoenix e Lady Gaga, in un duetto che è preghiera e sfida insieme.

That’s Entertainment, Gonna Build a Mountain, le hit leggere di Judy Garland, di Sammy Davis Jr., di Frank Sinatra: melodie che aprono gabbie, abbattono mura, spalancano finestre sull’abisso. Ma non si può evadere da se stessi. Siamo le nostre prigioni, siamo i nostri demoni. E alla fine sarà una risata a seppellirci, una risata che stride come un vecchio disco graffiato mentre risuonano gli echi sinistri delle rivolte, delle urla, dei fan infervorati e pericolosi.

Un paio di anni fa, il nome Arthur Fleck piombò su Gotham come un uragano. Ma ora Joker non è più solo. E forse, in questo suo cabaret di follia, darà al pubblico quello che il pubblico vuole. Sempre che il pubblico sappia davvero cosa desidera, nel profondo, quando le luci si spengono e rimane solo il rumore del proprio respiro.

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Danza Macabra a Gotham

Il corpo scheletrico di Joaquin Phoenixclavicole affilate come lame, spina dorsale che pare voler squarciare la pelle per urlare al mondo la propria fame di senso – ferisce lo schermo a ogni inquadratura. Gotham piove sempre, tranne nei sogni. E quando piove, piove ruggine.

La cella sfuma in un club fumoso, il mondo diventa un palcoscenico, e biacca e rossetto ricuciono le crepe della psicosi come cerotti sgualciti. Tra smoking sdruciti e abiti in lungo, Joker e Harley ballano il loro valzer appassionato: sarà l’ultimo? Incombe sempre un requiem, una marcia funebre suonata da un pianista ubriaco in un cabaret di periferia.

Vai con il trucco e il parrucco: si va in scena. Perché abbiamo bisogno di maschere per dimenticare chi siamo, e a furia di indossarle, non sappiamo più cosa sia reale.

L’Harley Quinn di Lady Gaga ha la grazia tragica di un’eroina di Tennessee Williams più che l’aria da Suicide Squad, e Joker: Folie à Deux attraversa tutti i generi, tranne il cinecomic. Che sia una benedizione. Todd Phillips rischia, demitizza, disossa l’icona. Magari, dopo questo sequel, nessuno avrà più voglia di mascherarsi da Joker ad Halloween. Sarebbe un atto rivoluzionario.

Perché Joker: Folie à Deux non è il film del villain più pericoloso di Gotham, ma la storia di Arthur Fleck e del suo riso che si spezza in pianto per un amore che implode. Come diceva Fassbinder, i film liberano la testa. E la speranza è che questo film ci liberi per sempre dai sequel fotocopia, quelli senza coraggio e senza ombre.

Anche il Joker delle graphic novel sarebbe d’accordo. Tra i collant a rombi di Miss Germanotta in tribunale e i calzini bianchi del clown omicida che sfoggia con lo smoking, Folie à Deux orchestra una lugubre, indimenticabile sfilata di anime inquiete, prigioniere delle proprie ossessioni.

E in questo defilé, nessuno uscirà vivo, ma tutti, almeno per un istante, balleranno.

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Il Joker che conquista i maestri

A Joker: Folie à Deux non hanno resistito nemmeno i giganti. Francis Ford Coppola, che di tragedie e di padri corrosi dalla colpa se ne intende, ha confessato di aver amato il coraggio con cui Todd Phillips ha strappato il cinecomic dalle sue gabbie di plastica, restituendogli un’anima sporca, scomposta, vibrante. Quentin Tarantino, che del cinema ama la carne viva e il sangue che pulsa, ha sorriso di fronte a questo musical malato, con un Joker che ride per non piangere e balla sul filo tagliente della follia. E anche Martin Scorsese, che aveva benedetto il primo Joker definendolo “un’opera necessaria”, non ha potuto che riconoscere in questo sequel un’eco, un riflesso, un passo di danza nell’oscurità degno di Arthur Fleck.

Perché quando un film sa ancora perturbare, dividere e accendere discussioni tra i giganti, allora significa che la risata del clown, per quanto stridula, ha colpito nel segno.

Ballata per un Clown Stanco

Basta un gesto per comprendere quanto Joker: Folie à Deux sia un dolente, danzante viaggio musicale al termine di una notte che pare non finire mai. Alla sua prima apparizione, Lady Gaga – con quel maglione grunge, infeltrito, extra large – si punta l’indice alla tempia, una pistola finta, come Travis Bickle in Taxi Driver. Ma nessuna pioggia, mai, ripulirà le strade di Gotham.

Resta solo la fantasia, ma è una fantasia esausta, che arranca tra le scale sbrecciate di un sogno infranto, perché alla fine nessuno va da nessuna parte, nemmeno l’immaginazione. I sogni, qui, non hanno potere. Persino le Joker Stairs non conducono più al Paradiso: sono un trono di macerie, e verrà la morte con gli occhi bistrati e stanchi.

Puoi pure cantare Get Happy, come Judy Garland, ma l’Hallelujah non abita qui. Il trucco c’è, e si vede, tra un rossetto sbavato e un sorriso forzato che non sai più ricreare. Carissimo Joker, Majakovskij insegna: “Per allegria, il pianeta nostro è poco attrezzato.”

Tocca fare i conti con lo spettro di Murray Franklin, che aleggia nell’aria più del fantasma di Banquo, e non solo nella stupenda sequenza animata che apre il film. Perché, come sapeva bene Thomas Eliot, “Tra il movimento e l’atto cade l’Ombra.” E la speranza, fragile, accesa dalle note di For Once in My Life di Stevie Wonder, naufraga nella malinconia struggente di Ne me quitte pas di Jacques Brel.

Sarebbe stato bello costruire una montagna, anche solo partendo da una collina, ma le illusioni muoiono all’alba, sul primo piano di un Joaquin Phoenix immenso, ancora una volta, con il suo sguardo che ride e piange, insieme, nell’ultimo fotogramma di questo scherzo che uccide, ancora e ancora.

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