Attitudini: Nessuna; Aldo, Giovanni e Giacomo come non li avevamo mai visti. La recensione

Cinema
Paolo Nizza

Paolo Nizza

Attitudini: Nessuna, dal 4 dicembre al cinema, mostra Aldo Giovanni e Giacomo come non li avevamo mai visti. Sophie Chiarello entra nelle loro vite tra ricordi, inciampi, successi e ferite mai raccontate così. Un documentario intimo e potente che ribalta l’immagine pubblica del trio e trasforma “attitudini: nessuna” in una dichiarazione di libertà, amicizia e verità

Attitudini: Nessuna – Recensione

C’è una pagella, in Attitudini: Nessuna, che pesa come una sentenza e brilla come un presagio. Accanto al nome di un ragazzo, una riga secca: “attitudini: nessuna”. È da quella ferita burocratica che nasce il titolo del documentario diretto da Sophie Chiarello. Ed è da lì che prende forma uno dei ritratti più intimi, poetici e politicamente delicati mai realizzati su Aldo Baglio, Giovanni Storti e Giacomo Poretti.

Non è un’operazione celebrativa. Non è un collage nostalgico. È un film che scava sotto la maschera, che interroga il tempo, che espone la vulnerabilità come valore. Un racconto che non parla soltanto di tre comici, ma di un’idea di Paese, di possibilità, di riscatto gentile.

Prodotto da Agidi Due, Indigo Film e Driadi e distribuito da Medusa Film, il documentario arriva nelle sale il 4 dicembre 2025 come un atto controcorrente: una difesa della fragilità in un tempo che pretende solo prestazione.

Tre clown, un solo clown

A un certo punto Giovanni, il “Pignolo” come lo aveva soprannominato Carlo Croccolo in Tre uomini e una gamba, lo dice chiaramente:
«Siamo tre clown, ma insieme diventiamo un solo clown.»

Non una somma, ma una metamorfosi. Non tre percorsi paralleli, ma un unico corpo che prende vita quando i tre sono nello stesso spazio scenico, emotivo, umano.

La regia li osserva senza invaderli. Li filma mentre parlano, mentre tacciono, mentre si ritrovano. Il film rinuncia all’intervista classica per diventare conversazione tra amici, relazione ripresa nel suo farsi. Lo spettatore non guarda da fuori: siede idealmente sul divano con loro e, per un istante, declina le proprie generalità come se fosse un Ajeje Brazorf qualsiasi.

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Milano, Jannacci e la città che cantava i perdenti

Milano non è un fondale. È una voce narrante. È la città dei cortili, degli oratori, delle notti nei locali fumosi. È la Milano che ha dato un linguaggio a chi non ce l’aveva. E dentro questa geografia emotiva risuona l’eco di Enzo Jannacci, il cantore supremo degli ultimi, degli storti, degli sconfitti magnifici.

Non a caso nella colonna sonora affiorano anche sue canzoni, come Ho visto un re, che qui suona come una dichiarazione d’appartenenza culturale: la stessa ironia malinconica, la stessa pietà per l’umano, la stessa capacità di trasformare la marginalità in poesia.

Il film attraversa l’ombra mitica dell’Ex Derby Club, ventre notturno della comicità, e poi lo Studio Zelig, passaggio decisivo dalla cantina al rito televisivo collettivo. Infine arriva lo Stadio San Siro, con le sue torri e la sua liturgia popolare.

Ed è impossibile non provare la stessa vibrazione di “Luci a San Siro” guardando quelle immagini. Anche perché il film regala un frammento di pura memoria: Francesco Moriero che lucida lo scarpino ad Aldo durante la partita d’addio di Walter Zenga del 12 maggio 1998. E sopra tutto riecheggia il coro:
«Puoi girare il mondo quando vuoi, ma Moriero ce l’abbiamo noi.»
Qui il cinema diventa stadio. E lo stadio diventa memoria collettiva.

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Attitudini: Nessuna, il trailer del documentario

La pagella, il tarocco, il sogno

Dal cuore del film affiora una poesia, un flusso lirico che accompagna le immagini come un sortilegio laico:

«Ho girato i tarocchi e mi hanno letto la vita,
l’ho guardata negli occhi ma non l’ho capita.
Soffia tra i neuroni che archiviano i ricordi,
attitudini nessuna è la risposta dei sogni…
La vita è una mela che mordi,
e attitudini nessuna è la risposta dei sogni.»

Qui Attitudini: Nessuna smette di essere solo biografia e diventa favola civile, mitologia domestica, racconto di confini tracciati senza sapere per chi piangere e per chi morire. La poesia trasforma l’errore in orizzonte.

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Attitudini: Nessuna, le immagini del film con Aldo Giovanni e Giacomo

Cinema muto: la radice segreta della loro fisicità

Tra le scelte più raffinate del documentario c’è il dialogo con il cinema delle origini. I frammenti di Sogni a occhi aperti  e Io e il ciclone interpretati da Buster Keaton,   e soprattutto il capolavoro di Charlie Chaplin, Tempi Moderni, diventano specchi archeologici della loro comicità.

Il corpo che inciampa, l’uomo schiacciato dal meccanismo, l’antieroe che non vince ma resiste: Aldo, Giovanni e Giacomo appartengono a quella stirpe invisibile in cui il riso nasce sempre dalla vulnerabilità, mai dalla sopraffazione.

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La musica che ritorna: dal film alla vita

La colonna sonora non accompagna soltanto le immagini: nasce con il film. Il brano Attitudini: Nessuna, scritto e composto appositamente per il documentario da Brunori Sas ed elaborato dai Fratelli Trabace, è una vera dichiarazione poetica di intenti: ballata dolente e luminosa che cuce infanzia, ricordi, cadute e desiderio.

Il film costruisce poi un meraviglioso gioco di rimandi tra le canzoni e la loro storia cinematografica. Quando risuona Giudizi Universali, già legata a Chiedimi se sono felice, la memoria dello spettatore viene attraversata dal medesimo tremore: la dolcezza malinconica, la ferita trattenuta, il sorriso che nasconde una crepa.

E quando riaffiora Che cos’è l’amor, per sempre associata a Tre uomini e una gamba, il documentario riattiva l’ingenuità degli esordi: il valzer sghembo della speranza, l’incanto di quando tutto sembrava possibile. Accanto a queste scorrono Maledetta primavera, canti popolari come Porta Romana bella, fino allo straniamento elettronico di Paranoimia. La musica non decorre: incide.

Tafazzi, Su la testa!, Cielito lindo, Mai dire Gol e la fucina delle maschere

Ritornano i volti e i personaggi che hanno costruito un alfabeto intero: i “bulgari”, il Dracula terùn, il Bimbo Gigi, Nico e i suoi cugini sardi persi tra i nuraghi. Ma soprattutto ritorna Tafazzi, la maschera della sconfitta ostinata, della testardaggine che si auto-percuote pur di andare avanti, con la partecipazione straordinaria di Walter Veltroni: una delle invenzioni più feroci, grottesche e ancora oggi insuperate della televisione italiana. Il film rivela anche la nascita casuale del personaggio, creato quasi per gioco, senza che nessuno immaginasse il suo destino: eppure, l’indomani, Tafazzi diventa protagonista di un articolo su l’Unità, il quotidiano fondato da Antonio Gramsci. Il paradosso è completo: una maschera comica nata per errore entra nel discorso pubblico del Paese.

Prima ancora dell’esplosione con Mai dire Gol, il documentario ricorda però anche i primi passaggi televisivi fondamentali: Su la testa! (1992), laboratorio di sperimentazione guidato da Paolo Rossi, e Cielito lindo (1993), dove il trio comincia a prendere confidenza con il linguaggio del piccolo schermo. È in questa trafila di passaggi successivi – dalla gavetta al culto – che nasce davvero la loro grammatica popolare.

Dietro quella stagione irripetibile c’è il sodalizio con la Gialappa’s Band: la mente collettiva di Marco Santin, Giorgio Gherarducci e Carlo Taranto. È lì, dentro quel laboratorio di cattiveria affettuosa e intelligenza popolare, che la comicità di Aldo, Giovanni e Giacomo conosce una delle sue accelerazioni decisive, trasformando l’improvvisazione in macchina comica e l’intuizione in linguaggio condiviso.

Qui la comicità televisiva diventa documento antropologico: una risata che racconta molto più di quanto sembri, un riflesso deformante ma fedelissimo dell’Italia che cambiava.

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Il circo degli incontri: amici, maestri, complici

Il documentario è anche una costellazione d’incontri decisivi: Paolo Rossi con il suo Circo, la sapienza popolare di Gino e Michele, la visione produttiva di Paolo Guerra, la regia complice di Massimo Venier, il rigore teatrale di Arturo Brachetti.

E poi Gianni Canova che ricorda l’esordio clamoroso al botteghino del primo film, il confronto intimo con Marina Massironi, e il coraggio di raccontare anche l’insuccesso di Fuga da Reuma Park, senza retorica né rimozione.

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Cadute e resurrezioni, con leggerezza “transalpina”

Qui la regia di Sophie Chiarello mostra tutta la sua finezza: racconta il ciclo di caduta e rinascita con una leggerezza che guarda alla patria di François Truffaut. Nessuna enfasi, nessuna glorificazione. Solo rispetto per il tempo, per i silenzi, per le ferite che non fanno rumore.

Fallire meglio, oggi

In un’epoca in cui tutto deve essere ottimizzato, monetizzato, performato, Attitudini: Nessuna arriva come una panacea gentile. Difende il diritto di sbagliare. E qui riecheggia l’idea di “fallire meglio” di Samuel Beckett: cadere, sì, ma continuare a cercare.

In un tempo di “tutto e subito”, magari anche senza fatica, questo film restituisce dignità alla lentezza, all’imperfezione, all’artigianato dell’umano. Alla fine restiamo con la gamba in mano, scolpita dall'artista Garpez a chiederci se siamo felici, se conosciamo davvero Claudia, se sappiamo ancora ridere senza dover vincere per forza.

Attitudini: Nessuna non è solo la storia di tre comici. È una meditazione sul tempo che passa, sull’amicizia come atto politico, sulla fragilità come talento segreto. È la storia di tre ragazzi di una Milano popolare che avevano un sogno nel cuore. È anche la nostra.

Non ti applaude addosso:
ti resta dentro.

Il cocktail del film: Negroni Sbagliato, Milano in un bicchiere

Se Attitudini: Nessuna fosse un cocktail, sarebbe senza esitazioni un Negroni Sbagliato: nato per errore ma diventato destino. Creato nel 1972 al Bar Basso di Milano dal bartender Mirko Stocchetto, lo “sbagliato” sostituisce il gin con lo spumante: meno aspro, più luminoso, più popolare. Un errore che diventa stile, proprio come la traiettoria di Aldo, Giovanni e Giacomo.

Rosso come i velluti del cabaret, amaro come le sconfitte, frizzante come una risata che esplode quando meno te l’aspetti, il Negroni Sbagliato è Milano in forma liquida: una città che inciampa, si rialza, e brinda comunque. Si beve così questo film: con un sorso che punge e un retrogusto dolceamaro che resta addosso. E quando il bicchiere è vuoto, ti accorgi che non sei ubriaco di alcol, ma di memoria.

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