Dal Mostro di Firenze ai serial killer, il libro di Massimo Moscati tra cinema e serie tv

Spettacolo
Paolo Nizza

Paolo Nizza

In Firenze. Ciak, si uccide. Il mostro sul grande e piccolo schermo, pubblicato da Shatter Edizioni, Massimo Moscati prende avvio dal caso irrisolto del Mostro di Firenze per attraversare un secolo di cinema e serialità dedicati agli assassini seriali. Il saggio analizza anche i film e le serie tv ispirati direttamente al Mostro, dal cinema degli anni Ottanta fino alla miniserie di Stefano Sollima, interrogando il mito del “mostro” e il nostro bisogno di dargli un volt

C’è un’immagine che ritorna spesso nel cinema e nelle serie crime: una parete coperta di fotografie, ritagli di giornale, mappe, date, frecce, fili rossi che collegano volti e luoghi. È la lavagna dell’investigatore, lo spazio mentale dove il caos prende una forma provvisoria e dove ogni indizio sembra poter condurre, finalmente, all’identità dell’assassino.

Firenze. Ciak, si uccide. Il mostro sul grande e piccolo schermo è l’equivalente di quella lavagna.

Non promette una soluzione, non offre un colpevole definitivo. Piuttosto, ricostruisce il campo, dispone i segni, mette in relazione immagini, storie, ossessioni. Dopo aver attraversato la cronaca del Mostro di Firenze – il contesto, i delitti, gli sviluppi di un caso rimasto irrisolto – Moscati guida il lettore con eleganza e precisione in un territorio più vasto: quello degli assassini seriali così come il cinema li ha immaginati, trasformati, mitizzati.

Il Mostro di Firenze come punto di origine

Tra il 1968 e il 1985, nelle campagne intorno a Firenze, almeno sedici persone vengono assassinate secondo modalità sempre più efferate. Le indagini, i processi, le piste – dal marito di una delle prime vittime a Pietro Pacciani e ai cosiddetti “compagni di merende” – non approdano mai a una verità definitiva. Nessun finale, nessuna confessione, nessuna certezza condivisa.

È proprio questa irresolutezza a rendere il Mostro di Firenze una figura unica: un serial killer senza volto certo, senza chiusura narrativa. Un caso che somiglia a un romanzo poliziesco privato però della sua ultima pagina.

Moscati parte da qui, consapevole che anche la trasposizione cinematografica del Mostro è sorprendentemente scarna: appena cinque film e due serie televisive. Un vuoto che non è casuale, ma sintomatico della difficoltà – soprattutto italiana – di trasformare una ferita ancora aperta in racconto

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La nascita del “serial killer” sullo schermo

Il cuore del libro, però, si colloca più indietro e più lontano. Moscati ricostruisce una storia ampia e articolata del serial killer al cinema, interrogandone la genesi culturale prima ancora che narrativa. Un’analisi efficace anche sull’origine del termine “serial killer” e sul perché questa figura eserciti da sempre una duplice attrazione e repulsione sul pubblico.

Dopo un capitolo dedicato a Jack lo Squartatore – accompagnato dalla celebre citazione attribuita all’assassino, resa popolare da From Hell di Alan Moore («Un giorno gli uomini si guarderanno indietro e diranno che sono stato il più grande precursore del ventesimo secolo») – il percorso prende forma sul grande schermo.

Si parte da Il pensionante di Alfred Hitchcock e si attraversa un secolo di cinema, fino ad arrivare a The Trap scritto, diretto e co-prodotto da M. Night Shyamala. Un viaggio che mostra come il serial killer diventi progressivamente una figura centrale della modernità: non solo criminale, ma sintomo, specchio, incarnazione di paure collettive.

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Una mappa, non un catalogo

La forza del libro sta anche nelle sue esclusioni. Moscati sceglie consapevolmente di tenere fuori le saghe horror diventate franchise – Nightmare on Elm Street, Michael Myers, Non aprite quella porta, Halloween – per concentrarsi su assassini che non funzionano come icone ripetibili, ma come figure perturbanti e irriducibili.

I “mostri” ci sono tutti: Hannibal Lecter,  Jame"Buffalo Bill" Gumb,, Patrick Bateman, John Doe. Ma non sono mai ridotti a maschere. Ogni capitolo li colloca in un contesto storico, culturale e cinematografico preciso, mostrando come il cinema abbia progressivamente spostato lo sguardo dal gesto criminale alla mente, dall’atto alla motivazione, dall’orrore esplicito alla sua risonanza morale.

Dal Novecento al nuovo secolo

Il percorso attraversa i grandi snodi del cinema del Novecento – da M di Fritz Lang a Hitchcock, da Richard Fleischer al cinema britannico – fino a toccare il contributo fondamentale del cinema italiano, con Mario Bava come vertice, Dario Argento come codificatore del giallo e Lucio Fulci come “terrorista” del genere. Senza dimenticare un gioiello da riscoprire come il film del 1966 diretto da Mino Guerrini e interpretato da Franco Nero.

Ma è nella sezione dedicata ai “must del Nuovo Secolo” che il discorso si fa più inquieto e contemporaneo. Moscati analizza titoli come American Psycho, Memorie di un assassino, Monster con Charlize Theron, Zodiac, La casa di Jack costruita, fino a Longlegs e Woman of the Hour. Il riferimento alla serie tv Dostoevskij, firmata dai fratelli D’Innocenzo e interpretata magistralmente da Filippo Timi, allarga ulteriormente il campo, suggerendo come il serial killer moderno sia ormai una figura filosofica oltre che narrativa.

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Gli anni Ottanta: quando il Mostro irrompe al cinema

Il primo impatto del Mostro di Firenze sul grande schermo avviene a metà degli anni Ottanta, quando i delitti sono ancora una ferita aperta. Nel 1986 esce L’assassino è ancora tra noi di Camillo Teti, un film girato in tempi rapidi e con mezzi limitati, che cavalca l’attualità trasformando la cronaca in materia exploitation. La critica lo accoglie con freddezza, ma resta una testimonianza di come l’urgenza del presente possa spingere il cinema verso scorciatoie sensazionalistiche.

Nello stesso anno arriva però il titolo destinato a rimanere centrale: Il mostro di Firenze (1986) di Cesare Ferrario, liberamente tratto dal libro di Mario Spezi. È un’opera più ambiziosa, che tenta di entrare nel cuore dell’enigma senza limitarsi alla superficie del thriller. Distribuito da Titanus, il film ottiene un buon successo di pubblico, ma va incontro a pesanti problemi giudiziari: sequestrato pochi giorni dopo l’uscita e successivamente dissequestrato, subisce comunque il divieto di programmazione nelle sale della Toscana, per non ferire ulteriormente le famiglie delle vittime. Nell’intervista ripresa da Massimo Moscati, Ferrario racconta un percorso produttivo segnato da ostacoli, tensioni e responsabilità etiche, ribadendo come il cinema non potesse né risolvere il caso né sottrarsi al confronto con una realtà ancora irrisolta.

Sempre nel 1986 viene girato 28º minuto (noto anche come Tramonti fiorentini), un film dalla genesi travagliata, distribuito solo nel 1991 dopo lunghe dispute legali. Un’opera incompiuta e frammentaria, che finisce per riflettere involontariamente la confusione e l’instabilità della vicenda stessa.

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Tra serialità, riletture laterali e derive indipendenti

Negli anni Duemila il racconto del Mostro di Firenze trova nella serialità televisiva una forma più adatta alla complessità del caso. Nel 2009 Fox Crime trasmette la miniserie Il mostro di Firenze, diretta da Antonello Grimaldi: sei episodi che scelgono la dilatazione narrativa per seguire indagini, depistaggi e soprattutto il dolore delle famiglie, con particolare attenzione alla figura di Renzo Rontini. La serie tenta un equilibrio tra ricostruzione e drammatizzazione, mostrando come il formato seriale permetta di restituire il peso del tempo e dell’attesa meglio del cinema.

Più laterale e poco noto è il docu-film indipendente Nero Fiorentino di Gianpaolo Saccomano, che affronta il Mostro come fantasma culturale prima ancora che come fatto giudiziario, mescolando ricostruzione storica e atmosfera thriller.

Ancora più distante dalla cronaca è Lettera H di Dario Germani, indie horror che rielabora l’eco del Mostro in chiave simbolica e paranormale. Qui la cronaca nera diventa presenza latente, trauma che riaffiora attraverso l’horror, dimostrando come il Mostro continui a contaminare l’immaginario anche al di fuori della ricostruzione diretta dei fatti.

Il Mostro di Stefano Sollima: l’orrore come prodotto di un sistema

Nel capitolo che Massimo Moscati dedica a Il Mostro di Stefano Sollima (2025), emerge con chiarezza come la miniserie Netflix rappresenti un punto di arrivo più che una semplice rilettura. Sollima sottrae il racconto a ogni linearità illusoria, rifiutando l’idea di un true crime fondato sulla soluzione del caso, per costruire invece un dispositivo narrativo che interroga il rapporto tra una comunità e il suo lato oscuro.

La serie procede per accumulo e stratificazione: ogni episodio adotta un punto di vista diverso, ogni sospettato diventa per un momento il centro del racconto, senza mai cristallizzarsi in una verità definitiva. In questo modo il mostro perde i contorni dell’eccezione e diventa riflesso di un sistema culturale e sociale segnato da violenza, patriarcato, repressione sessuale e pregiudizi. Moscati coglie il nucleo più disturbante dell’operazione quando scrive che l’orrore raccontato da Sollima non proviene da fuori, ma germina all’interno del tessuto sociale.

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Una lavagna ancora aperta

Il libro di Massimo Moscati non è un’indagine giudiziaria né un semplice saggio di cinema. È una lavagna piena di segni, connessioni, immagini. Non ci dice chi sia il Mostro, ma ci mostra perché continuiamo a cercarlo.

Il Mostro di Firenze diventa così il punto cieco di un discorso più ampio: il luogo in cui cinema, società e bisogno di dare un volto al male si incontrano. Senza soluzione. Senza pace. Con quella sensazione, inquietante e familiare, di trovarci sempre davanti a un enigma che parla anche di noi.

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