Trap, un thriller tra pop star e serial killer. La recensione del film di Shyamalan

Cinema
Paolo Nizza

Paolo Nizza

È al cinema il nuovo lungometraggio diretto dal regista di Il Sesto Senso. Un’adrenalinica caccia all’uomo raccontata dal punto di vista dell’assassino. Nel cast uno straordinario Josh Hartnett e Saleka, figlia del cineasta e autrice delle musiche

“We all go a little mad sometimes", ovvero: “Siamo tutti un po’ pazzi a volte“. Lo sapeva bene Norman Bates, lo schizofrenico protagonista di Psycho. E lo sa pure benissimo M. Night Shyamalan. Con Trap, nelle sale cinematografiche italiane dal 7 agosto, il regista di Il Sesto Senso The Village, Split, Glass, Old e Bussano all porta, ci mostra che l’assassino, spesso e volentieri ci siede accanto. Il ritratto di un serial killer efferato e metodico, capace però al tempo stesso di essere un premuroso padre di famiglia, un genitore attento e amorevole. Basti pensare al killer clown John Wayne Gacy, impegnato nel sociale, papà di due bambine, che torturò e uccise 33 adolescenti. Come sosteneva il controverso Aleister Crowley: “La pia finzione secondo la quale il male non esiste lo rende soltanto vago, enorme e minaccioso.”

TRAP

Caccia Al serial killer detto "IL Macellaio"

Trap è una sfida ambiziosa, che M. Night Shyamalan vince grazie alla sua innegabile abilità nella Mise-en-scène. Il cineasta di origine indiane è un virtuoso architetto quando si tratta di costruire la suspense. Ça va sans dire, nei suoi film la sospensione dell’incredulità è obbligatoria, quanto la goccia di angostura in un cocktail Manhattan. Ma se si sta al gioco, è un piacere perdersi in questa vicenda girata in tempo reale. Il concerto di Lady Raven, pop star amatissima dalla generazione Zeta nella Tanaka arena di Philadelphia (ma il film è stato girato a Toronto) si trasfigura in una vibrante caccia all’uomo. Tra gli oltre ventimila spettatori, si nasconde, infatti “Il macellaio”, feroce assassino seriale, già autore di dodici omicidi. Uno psicopatico con la mania di fare a pezzi le proprie vittime. Guidati dalla profiler Josephine Grant, le unità speciali della polizia sono pronti a catturare il criminale. Tuttavia, la cattura sarà tutt’altro che semplice. Il pluriomicida è avvezzo all'inganno e alla bugia, almento quanto il Jospeph Cotten di L'ombra del dubbio.

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Empatia criminale, tra un pretzel e un milkshake

In Trap, come in Nodo alla gola di Alfred Hitchcock, dopo una schidionata di minuti, conosciamo già l’identità dell’omicida. E tutta la tensione si concentra sul come il serial killer tenterà di evitare le trappole ordite dalle forze dell’ordine. Con sapienza registica e sparigliando le carte, Shyamalan ci porta a empatizzare (almeno nella prima parte) con l’omicida. L’uomo cela in sé la tenerezza del lupo, narrata da Uli Lommel nella pellicola dedicata al macellaio di Hannover Ma il film è anche un ritratto di quell’America che abitualmente non finisce sulle cover dei giornali o in trend su Google. Un Paese al sapore di cheeseburger, french fries, pretzels e milkshake grandi come anfore. Una nazione vestita di camice di flanella e sneaker. Una middleclass mai seduta in tribuna d’onore e senza pass vip per il backstage. Famiglie che sembrano l’evoluzione di un quadro di Norman Rockwell, con il papà vigile del fuoco e la mamma che sforna torte seguendo le ricette di Martha Stewart.

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Trolls

Il talento di Josh Hartnett per il thriller

Trap gioca con lo spettatore come il gatto gioca con il topo. Un thriller simile a una partita a scacchi. Con la musica al centro di ogni mossa. E ancora una volta si palesa Sir Alfred e il colpo di piatti di L’uomo che sapeva troppo (quello del 1956). Nei candidi panni di Lady Raven, con stivale alto d’ordinanza Saleka Shyamalan funziona. "Il corvo bianco" non sarà Lady Gaga o Taylor Swift, ma risulta credibile e le sue canzoni sono il funzionale tappeto sonoro per un thriller in cui conta soprattuto il “come” accadono le cose., Eccellenta pure l'intepretazione dellla giovanissima Ariel Donoghue nei panni della fan delal pop star. Dopo l’ottima performance in Oppenheimer, Josh Hartnett rassicura e perturba al tempo stesso. D’altronde già nella non abbastanza celebrata serie tv Penny Dreadfull aveva dimostrato il suo talento nel mostrare l’oscurità. Un io diviso, un giano bifronte, che chiama i propri impulsi omicidi “urgenze”. Uno Psycho Killer divorato dalla necessità di frantumare tutto ciò che è integro, perché la follia divide e separa conscio e inconscio. E alla fine di questa battuta di caccia in cui il predatore si trasfigura in preda, sarà lo smartphone a salvare il mondo o ciò che ne rimane. Siamo tutti connessi in questo mondo di dirette Instagram e selfie. Ma questo non ci salverà dal pericolo di essere disconnessi da noi stessi. E le conseguenze di questa scissione possono risultare fatali per noi e per gli altri. Siamo tutti potenziali assassini e siamo tutti potenziali vittime.

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