Influenza aviaria, l'allarme della virologia Capua: "Salto di specie è già avvenuto"

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Il virus ha cambiato completamente faccia negli ultimi trent’anni e le scarse azioni preventive hanno favorito una serie di “spillover” (salti di specie) che oggi preoccupano anche gli esseri umani. L’evoluzione dei ceppi di influenza aviaria è favorita dalla natura del virus, che tende a subire frequenti mutazioni. Questi cambiamenti genetici possono aumentare la sua capacità di infettare nuovi ospiti, incluso l’uomo

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È stata la prima, quasi 20 anni fa, a caratterizzare il ceppo africano H5N1 dell’influenza aviaria e a renderlo “open source” nella GenBank. Ilaria Capua, virologa e ricercatrice, Senior Fellow of Global Health alla Johns Hopkins University – SAIS Europe e direttore emerito del One Health Center of Excellence dell’Università della Florida, dalle pagine del Corriere della Sera lancia l’appello affinché il “virus acrobata” venga preso sul serio. Il virus ha cambiato completamente faccia negli ultimi trent’anni e le scarse azioni preventive hanno favorito una serie di “spillover” (salti di specie) che oggi preoccupano anche gli esseri umani. L’evoluzione dei ceppi di influenza aviaria è favorita dalla natura del virus, che tende a subire frequenti mutazioni. Questi cambiamenti genetici possono aumentare la sua capacità di infettare nuovi ospiti, incluso l’uomo.

Infettati i bovini

Per i virologi che si occupano di virus emergenti – dice Ilaria Capua - la grande sorpresa del 2024 è stata che il virus dell'aviaria ha infettato i bovini. Questo ci ha lasciati di stucco, perché un virus, per infettare un certo animale o una persona ha bisogno di recettori 'giusti' dove attaccarsi. E noi credevamo che i bovini non avessero i recettori giusti”. “Se la specie non fosse stata bovina ma umana – continua la virologa - si tratterebbe di pandemia, perché nel giro di sei mesi si sono sviluppati centinaia e centinaia di focolai”. Adesso il virus si trova in una serie di mammiferi e più circola in questi mammiferi, più si avvicina all'uomo. E ogni volta che passa in un mammifero, acquisisce delle mutazioni che poi possono renderlo capace non solo di infettare più efficacemente l'uomo, ma di trasformarlo a sua volta in un vettore infettivo di altre persone”. E conclude: “Essere allarmisti non va mai bene. Ad oggi il rischio che una persona si infetti direttamente da una mucca, o raccattando un uccello selvatico, resta effettivamente basso. Ma H5N1 potrebbe o trasformarsi in un virus che si trasmette in maniera più efficace da uomo a uomo, oppure riassortirsi geneticamente, perché così fanno i virus influenzali”.

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Prepararsi al passaggio dell'infezione nell'uomo

“Il fatto che H5N1 sia circolato e si sia espanso in maniera così pervasiva nei bovini, non doveva succedere - dice ancora Ilaria Capua al Corriere della Sera -. Dopo i primi focolai bisognava mettere gli allevamenti sotto sequestro ed evitare che l'infezione si allargasse, così non ci troveremmo nella situazione attuale. Una volta che l'infezione passerà nell'uomo, i costi sanitari aumenteranno su scala logaritmica. Già da adesso, quindi, bisognerebbe cominciare a ragionare su quante dosi di vaccino sono disponibili, quale vaccino usare e anche quanto tempo occorre per creare eventualmente un vaccino per un virus variato di H5N1; capire come e contro quali ceppi possa funzionare un farmaco antivirale. Bisogna prepararsi, per non trovarsi poi a dovere agire, dando i colpi al buio”.

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