Cibi ultraprocessati, cosa sono e quali sono i rischi per la salute
Salute e BenessereCostituiscono in media il 17% della dieta degli adulti in Italia, e circa un quarto di quella di bambini e adolescenti. I cibi ultraprocessati non fanno esattamente parte della dieta mediterranea, ma nel tempo si sono fatti spazio negli scaffali dei supermercati e sulle nostre tavole. Ma cosa sono esattamente? E rappresentano un rischio per la salute?
Carne in scatola, cibi precotti, patatine in busta e molti altri snack non sono esattamente gli alimenti alla base della dieta mediterranea, ma da anni popolano le nostre dispense. Questi e molti altri cibi rientrano nella categoria degli “ultraprocessati”, alimenti che hanno subito molteplici lavorazioni industriali e che sono stati preparati con ingredienti non comuni in cucina, derivati da altro cibo o sintetizzati da altre sostanze organiche. Per esempio, le proteine idrolizzate o i grassi idrogenati. Gli ultraprocessati contengono poi additivi come coloranti, emulsionanti o aromi e tendono a essere ricchi di zuccheri aggiunti, grassi e/o sale, ma sono poveri di vitamine e fibre.
Come riconoscerli?
I cibi ultraprocessati presentano in genere tre caratteristiche. Prima di tutto, sono convenienti. Infatti possono essere già pronti da consumare e, nella maggioranza dei casi, scadono molto tempo dopo l’acquisto. Se poi sembrano squisiti, quasi irresistibili, è per via degli additivi cosmetici che ne migliorano sapore, odore e consistenza.
Infine, sono profittevoli per chi li produce dato l’impiego di materie prime a basso costo o di scarto.
Quando andate a fare la spesa li potete riconoscere perché presentano confezioni molto colorate, curate nel dettaglio. Infatti, le aziende investono moltissimo per fare apparire i prodotti belli da vedere e attraenti, soprattutto per i consumatori più giovani.
Gli ultraprocessati fanno male?
Non è stata ancora del tutto chiarita l’associazione tra ultra processati e rischi per la salute. Diversi studi hanno trovato associazioni più o meno certe tra un elevato consumo di questi cibi e l’aumento del rischio di malattie come patologie cardiovascolari, diabete di tipo 2, ansia e altri disturbi mentali, affanno, obesità e alcuni tipi di cancro. Uno studio americano pubblicato sul British Medical Journal, condotto su oltre 100mila partecipanti osservati per una media di 34 anni, ha trovato un rischio di morte più elevato del 4% nei soggetti che consumavano 7 porzioni al giorno di ultraprocessati.
Quello che è certo è che, essendo cibi ricchi di zuccheri e grassi, tendono ad avere una densità energetica elevata, cioè la quantità di calorie per 100 grammi di prodotto può essere molto alta rispetto ad altri prodotti (arrivando anche a 400-500 calorie per porzione nel caso di alcuni biscotti e patatine in busta).
Questo potrebbe aumentare il rischio di una dieta sbilanciata e di peggiorare patologie legate all’alimentazione. Pertanto possiamo sì mangiare ultraprocessati, tenendo però sotto controllo le quantità e la frequenza.
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Non tutti gli ultraprocessati sono uguali
C’è un problema nella definizione di ultraprocessato: è molto ampia. Stando alla classificazione NOVA, è ultraprocessato qualsiasi cibo che contenga almeno 5 ingredienti industriali addizionati.
Da una parte abbiamo i cibi pronti, le bevande energetiche, il cibo del fast food ma anche prodotti che non avremmo mai pensato come il pane integrale, i legumi in scatola, i biscotti, moltissimi cibi a base vegetale e persino lo yogurt.
Non possiamo dire che a livello nutrizionale siano tutti uguali, anche perché in alcuni di questi sono usati additivi che non fanno male alla salute.
Come spiega Carlo La Vecchia, professore di Statistica medica ed Epidemiologia all’università di Milano, “Ci sono conservanti come l’acido ascorbico, l’acido citrico, i tocoferoli, le pectine che in quanto tali non sono sfavorevoli per la salute. Ad esempio, le pectine hanno un ruolo simile alle fibre oppure il calcio, il magnesio che non sono non sono sfavorevoli per la dieta”.
E poi c’è la questione delle differenze tra i Paesi. Secondo la classificazione NOVA la pizza è un ultraprocessato e potrebbe non essere salutare in molti Paesi. “La pizza che mangiamo nel continente americano è spesso fatta con diversi strati di grassi, anche animali” spiega La Vecchia, “mentre la nostra potrebbe essere diversa”. La classica ricetta italiana, infatti, che prevede ingredienti freschi, olio d’oliva e verdure, non può essere considerata un prodotto sfavorevole per la dieta.
Secondo alcuni studiosi, quindi, dovremmo distinguere i cosiddetti “ultraprocessati sani” che restano prodotti nutrienti e non eccessivamente calorici. Anzi, alcune volte potrebbero essere ottimi per la dieta: per esempio i burger di soia hanno in genere valori nutrizionali comparabili o preferibili a quelli di origine animale, considerati invece cibi minimamente processati; contengono più fibre, meno acidi grassi saturi e una densità energetica più bassa. Ci sono studi che dimostrano come integrarli nella dieta contribuisca ad abbassare i livelli di colesterolo.
Un consumo consapevole
Davanti agli ultra-processati, la chiave è un consumo consapevole. A rappresentare un problema non è il consumo di questo tipo di alimenti una volta ogni tanto. Occorre seguire una dieta che preveda molta frutta e verdura ed in cui gli ultraprocessati possono essere presenti purché non diventino il centro della nostra dieta. E, dunque, facendo attenzione a quelli molto calorici, soprattutto in presenza di fattori di rischio come diabete, obesità o problemi cardiovascolari. Infine, bisognerebbe limitare il consumo di quegli ultraprocessati poco favorevoli per la salute. Come sottolinea La Vecchia, “Sono quelli che contengono grandi quantità di zuccheri raffinati, grassi saturi o sono fatti con carni di provenienza poco definita”, cioè quelli dove si trova scritto, per esempio, “carne suina” ma non è specificata la parte dell’animale né il Paese da cui proviene.