Giornata dell’Alzheimer: le nuove cure e i test per la diagnosi precoce in fase di studio

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La ricorrenza, istituita nel 1994 dall’Oms e dall'Alzheimer's Disease International, ha come obiettivo accrescere la consapevolezza su una patologia che rappresenta circa il 60% dei casi di demenza

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Ogni anno il 21 settembre si celebra in tutto il mondo la Giornata mondiale dell’Alzheimer, istituita nel 1994 dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e dall’Alzheimer’s Disease International (Adi) per diffondere iniziative dedicate alla conoscenza e alla diffusione delle informazioni sulla malattia. Tra le tante iniziative organizzate per la giornata in Italia, i Palazzi istituzionali saranno illuminati di viola, e a Palazzo Montecitorio si terrà una mostra fotografica intitolata “Mamma mia”, con scatti fotografici che osservano i comportamenti di una mamma malata attraverso gli occhi della figlia.

Demenza: i numeri in Italia

Le demenze rappresentano una delle più grandi sfide per la salute pubblica. In Italia ne soffrono circa un milione e 480mila persone, di cui il 50-60% affetti da Alzheimer, pari a circa 600mila anziani. "I numeri sono in aumento in modo vertiginoso con stime che raddoppieranno entro il 2050”, ha spiegato Raffaele Lodi, presidente della Rete Irccs delle Neuroscienze che riunisce 30 istituti di ricerca e cura a carattere scientifico.

Le terapie in via di sviluppo

“La ricerca sta sviluppando nuove terapie, ma qualsiasi trattamento funziona meglio se il paziente è in fase presintomatica. Per questo lavoriamo sui marcatori di malattia e sulla diagnosi precoce", ha spiegato Lodi. "Dobbiamo sostenere la ricerca e intercettare precocemente i pazienti. Per poter intervenire con quello che già abbiamo, ma anche per inserirli in programmi di sviluppo di nuove terapie.
Accanto a questo vanno aiutate le famiglie", ha ricordato la senatrice Beatrice Lorenzin (Pd), co-presidente dell'Integruppo. "Proprio sulle loro spalle infatti pesa un costo sociale elevatissimo e mancano punti di riferimento sul territorio, ad eccezione di quello costituito dalle associazioni di pazienti”, ha aggiunto.

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Le nuove armi contro l’Alzheimer

Una cura definitiva per l'Alzheimer non esiste ancora, ma ci sono farmaci che possono rallentare il declino cognitivo e migliorare la qualità della vita dei pazienti. Dopo anni di insuccessi, oggi si registra un progresso grazie agli anticorpi monoclonali. Questi farmaci, somministrati nelle fasi iniziali della malattia, possono rallentare significativamente il decorso dell'Alzheimer. Donanemab, un anticorpo diretto contro una porzione delle placche amiloidi, è stato approvato quest’anno dalla Food and Drug Administration (Fda) degli Stati Uniti, e ha dimostrato di rallentare in modo modesto il declino cognitivo nelle prime fasi della malattia. Questo farmaco si affianca a Lecanemab, un altro anticorpo monoclonale approvato in precedenza negli Usa. Entrambi i farmaci attaccano la proteina beta-amiloide, implicata nello sviluppo dell'Alzheimer, e possono rallentare il declino cognitivo per diversi mesi. Donanemab viene somministrato una volta al mese, mentre Lecanemab ogni due settimane. Tuttavia, entrambi i farmaci possono causare gravi effetti collaterali, in particolare l'insorgenza della condizione nota come Aria (Amyloid-Related Imaging Abnormalities), che comporta gonfiore o microemorragie in alcune aree del cervello. Al momento, nessuno dei due farmaci è stato approvato dall'Agenzia europea per i medicinali (Ema). Recentemente, l’Ema ha negato l'approvazione a Lecanemab, ritenendo che i rischi legati agli effetti collaterali superino i benefici del farmaco. È probabile che anche Donanemab seguirà un iter simile in Europa.

Verso la diagnosi precoce

La diagnosi precoce dell'Alzheimer è uno dei fronti più importanti della ricerca scientifica. Studi recenti suggeriscono che sarà presto possibile identificare le persone a rischio di sviluppare la malattia grazie a esami del sangue e analisi del liquido cerebrospinale. Secondo uno studio pubblicato sulla rivista Nature Aging, un semplice esame del sangue potrebbe rilevare precocemente l'Alzheimer e altre forme di demenza, anche prima della comparsa dei sintomi. Livelli elevati di quattro proteine nel sangue (GFAP, NEFL, GDF15 e LTBP2) sono stati associati allo sviluppo della demenza, con alcune di queste proteine riscontrabili nel sangue già dieci anni prima che i sintomi si manifestino. Un altro studio condotto in Cina e pubblicato sul New England Journal of Medicine ha analizzato il liquido cerebrospinale di oltre 600 pazienti affetti da Alzheimer, identificando biomarcatori che possono predire la malattia anni prima della diagnosi. Alcune molecole, come una specifica forma di amiloide-β, risultano alterate fino a 18 anni prima della diagnosi, mentre la proteina tau appare alterata circa 10 anni prima dell'inizio dei sintomi. Un’ulteriore ricerca, pubblicata su Jama Neurology e condotta dall’Università di Lund in Svezia, ha dimostrato che un innovativo esame del sangue, che misura il livello di plasma fosforilato tau 217 e di un altro biomarcatore, ha dimostrato un'accuratezza del 90% nel determinare se la perdita di memoria è causata dalla malattia di Alzheimer. Questi progressi aprono nuove speranze per una diagnosi precoce, che consentirebbe interventi più efficaci e mirati nel trattamento della malattia.

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