
Tra Covid-19 e guerra in Ucraina, l’impatto dell’”effetto metropoli” su disturbi affettivi
Nelle grandi città e nei loro sobborghi "l'eco dell'era dell'imprevedibilità", dominata da eventi come la pandemia e la guerra. A rendere lo scenario ancora più complesso sono la solitudine, lo stress quotidiano, la mancanza di sonno e lo smog

Nelle grandi città e nei loro sobborghi "l'eco dell'era dell'imprevedibilità", dominata da eventi come la pandemia e la guerra in corso in Ucraina, si avverte più forte. E questo pesa sui disturbi affettivi, complici anche la solitudine, lo stress quotidiano, la mancanza di sonno, lo smog. In particolare per le donne
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A spiegare questo ‘effetto metropoli’ all'Adnkronos è Claudio Mencacci, co-presidente della Società italiana di neuropsicofarmacologia (Sinpf) e direttore emerito di Psichiatria al Fatebenefratelli, struttura del capoluogo lombardo. Focalizzandosi su Milano e la Lombardia, regione colpita per prima e più duramente da Covid
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Nel capoluogo, guardando nel dettaglio all'universo femminile, si conta una popolazione di 600mila over 15: tra esse la prevalenza della depressione è del 15%. Numeri che per Milano equivalgono a "90mila donne e ragazze colpite”, ha spiegato lo specialista a margine di un corso dedicato proprio ai disturbi affettivi di genere nell'era dell'imprevedibilità
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Ogni anno a Milano si registrano 36mila nuovi casi di depressione, con un’incidenza del 6%. Ma in cosa consiste questo ‘effetto metropoli’? “Intanto si è sentita ancora più pesantemente la dissociazione sociale, l'isolamento" generato dalla pandemia. "Nelle aree urbane, poi, si sente di più anche il peso dell'inquinamento: ogni microgrammo di particolato è un 13% di depressione in più”, ha affermato Mencacci

Inoltre a pesare è anche il fatto che nel contesto metropolitano "si dorme molto di meno e il sonno è un fattore potenzialmente di rischio”, ha aggiunto l’esperto. “E poi ci sono tutte quelle situazioni, quelle condizioni ambientali che aumentano l'isolamento sociale, portano a una riduzione dal punto di vista del supporto sociale"

Secondo l’esperto infatti, sebbene possa sembrare un paradosso sentirsi soli in grandi città, "è così". Le relazioni sociali si sfilacciano, "le persone sono davvero più sole. E la solitudine pesa moltissimo, è un fattore di rischio vitale, veramente molto alto per i disturbi affettivi"

In metropoli come Milano, l'impatto sulla popolazione femminile si è avvertito. Sullo sfondo, per tutti, c'è l'inasprirsi delle conseguenze del conflitto in Ucraina, altro fattore di ansia e imprevedibilità. In generale poi, hanno osservato nei loro interventi gli specialisti, donne e adolescenti sono maggiormente sottoposte a stress quotidiano, con conseguenze spesso pesanti sui disturbi affettivi

Per Claudio Mencacci è importante "sensibilizzare" e far emergere il sommerso: "Solamente meno del 50% delle donne che sviluppano depressione accedono" al trattamento. A Milano dunque, si stima, 45mila su 90mila. Questi numeri sono soggetti a "un'ulteriore penalizzazione, proprio perché non ci sono adeguate informazioni. Assistiamo infatti a una ridotta aderenza ai trattamenti"

Si calcola che "meno della metà delle donne in cura sia aderente ai trattamenti", quindi circa 22.500 a Milano. "Ci sono per esempio persone che li interrompono in maniera inappropriata una volta raggiunta una situazione di benessere", o a causa di effetti collaterali, ha ricordato il co-presidente Sinpf. Questo li espone "a nuove ricorrenze e a una serie di sintomi che possono permanere anche nel tempo"

Ricorrenze che, secondo gli esperti, potrebbero essere contenute se si pensa "ai tassi di risposta che si possono ottenere al trattamento combinato, cioè non solo in modalità farmacologica ma anche psicoterapica”, ha ricordato Mencacci. Sono tassi di risposta "particolarmente alti, superiori al 70%. Ma purtroppo pochi vi accedono"

Se si dovesse calcolare sulla popolazione femminile milanese questa quota, la stima sarebbe di 15.750 persone che ottengono una risposta positiva alle cure. “È importante che le persone sappiano questo. Va fatto notare che tutti questi studi combinati di farmaco, psicoterapia, supporto ambientale e counselling possono dare delle buone risposte nella larga maggioranza dei casi”
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