Ictus, in Italia servono 300 “stroke unit” ma ne mancano oltre 100

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L’allarme è stato lanciato dagli esperti della Società Italiana di Cardiologia Interventistica (GISE) nel corso del recente congresso “Rome Peripheral Interventions”. L’ictus, in Italia, colpisce oltre 100mila persone ogni anno e, per questo, servirebbero 300 centri specializzati sparsi su tutto il territorio nazionale. Ma, al momento, ce ne sono 190 e per l'80% sono concentrati nelle Regioni del Nord, con solamente il 37% dei pazienti curato grazie a tecniche all'avanguardia

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Nel nostro Paese mancano più di 100 centri per l'ictus, danno cerebrale che si verifica a causa di un’interruzione dell’apporto di sangue ossigenato oppure di uno stravaso di sangue in un’area dell’encefalo, determinando la morte delle cellule nervose di quell’area. In Italia colpisce oltre 100mila persone ogni anno e, per questo motivo, servirebbero 300 centri specializzati sparsi su tutto il territorio nazionale. Ma, al momento, ce ne sono 190 e per l'80% sono concentrati nelle Regioni del Nord, con solamente il 37% dei pazienti curato grazie a tecniche all'avanguardia. È questo l'allarme lanciato dagli esperti della Società Italiana di Cardiologia Interventistica (GISE) nel corso del congresso “Rome Peripheral Interventions”, svoltosi proprio a Roma.

La trombectomia intracranica

Secondo gli specialisti, infatti, sono ancora poche le cosiddette “stroke unit” dove trovare tutte le terapie migliori per l'ictus. “Meno della metà delle vittime dell'ictus riceve cure adeguate e tempestive e meno del 40% viene trattato con la trombectomia intracranica, l'intervento più all'avanguardia per la riapertura dei vasi occlusi da eseguire fino a 16/24 ore dall'esordio clinico”, hanno riferito gli esperti. Proprio la trombectomia intracranica, è stato spiegato, rappresenta “una tecnica sicura e in grado di ridurre la disabilità residua dopo un ictus”. Questo sistema, per l’appunto, “libera i vasi ostruiti attraverso una procedura percutanea”, ed oggi si configura come un’interessante alternativa alla “trombolisi con farmaci”. Anche perché, è stato riportato, vanta una finestra di intervento più lunga, pari a fino a 16/24 ore dalla comparsa dei sintomi, “in pazienti adeguatamente selezionati con studio di perfusione, contro le 4,5-9 ore al massimo della trombolisi endovenosa”. Ovvero una differenza di tempo fondamentale per i pazienti coinvolti.

L’ictus come la prima causa di invalidità nel mondo

Come riferito da Giovanni Esposito, presidente di GISE, “l'ictus cerebrale rappresenta la prima causa di invalidità nel mondo, la seconda causa di demenza e la terza causa di mortalità nei Paesi occidentali”. Nel nostro Paese, ha ribadito, “si registrano ogni anno poco più di 100mila casi di ictus, dei quali circa un terzo porta al decesso nell'arco di un anno e circa un terzo a invalidità seria o significativa: oggi quasi un milione di italiani convive con le conseguenze invalidanti di un ictus cerebrale, sempre più irreversibili e gravi all'aumentare del tempo trascorso prima di un intervento che elimini l'occlusione di un'arteria cerebrale”, ha detto ancora. Questo evento, che interrompe il flusso di sangue ad un'area più o meno vasta del cervello ed è causa di circa l'80% dei casi di ictus, ha concluso, “può essere risolto con una trombolisi, ovvero con farmaci specifici che 'sciolgano' il coagulo, o con la trombectomia, un intervento di rivascolarizzazione che si esegue per via percutanea, attraverso l'inserimento di speciali cateteri per via femorale”.  

 

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