Il suo nome è “12A12” e ha dimostrato di poter determinare “miglioramenti significativi” nelle principali alterazioni prodotte dalla malattia neurodegenerativa dell’Alzheimer. Lo hanno dimostrato i ricercatori dell’Istituto di sistemi complessi e dall’Istituto di farmacologia traslazionale del Cnr (Consiglio Nazionale delle Ricerche), in collaborazione con gli studiosi di Irccs Fondazione S. Lucia e Fondazione Ebri
Si chiama in gergo scientifico “12A12” ed è un anticorpo monoclonale che ha dimostrato di poter determinare “miglioramenti significativi” nelle principali alterazioni prodotte dalla malattia neurodegenerativa dell’Alzheimer. A sottolinearlo, uno studio coordinato dall’Istituto di sistemi complessi e dall’Istituto di farmacologia traslazionale del Cnr (Consiglio Nazionale delle Ricerche), svolto in collaborazione con Irccs Fondazione S. Lucia e Fondazione Ebri, i cui esiti sono stati pubblicati sulla rivista “International Journal of Molecular Sciences”.
L’alterazione della proteina Tau
Come sottolineato dal Cnr in un comunicato apparso sul proprio sito, tra i principali processi neuropatologici generati dall’Alzheimer, ha un ruolo chiave l’alterazione della proteina Tau, che la tendenza ad accumularsi nel cervello dei pazienti malati e ad aumentare con l’incedere della malattia. Questo lavoro di ricerca, in particolare, è riuscito a dimostrare l’efficacia dell’anticorpo monoclonale “12A12” proprio nei confronti di questo processo. Lo studio preclinico condotto, infatti ha sottolineato che “l’anticorpo monoclonale 12A12 agisce contro un frammento tossico che si genera nella proteina Tau patologica, e così facendo produce un netto miglioramento e una regressione di alcuni deficit cognitivi di memoria, come quella spaziale o di riconoscimento, così come delle più gravi e importanti alterazioni neuropatologiche presenti in questa malattia”, ha rilevato Roberto Coccurello, ricercatore del Cnr.
“Un significativo recupero dei deficit cognitivi di memoria”
Per arrivare a produrre questi risultati, “è stato utilizzato un modello murino non genetico della malattia di Alzheimer, che in quanto tale riproduce l’ampio ventaglio di caratteristiche neuropatologiche presenti nell’uomo nella forma non ereditaria della patologia, forma che rappresenta circa il 95% della totalità delle diagnosi di Alzheimer”, ha specificato l’esperto. Gli studiosi, infatti, hanno potuto comprendere come questo anticorpo, somministrato per tre settimane nei modelli murini, sia riuscito a neutralizzare “la proteina Tau alterata”, dimostrando così “un significativo recupero dei deficit cognitivi di memoria, una riduzione di Beta amiloide (altra proteina il cui accumulo nel cervello caratterizza l’Alzheimer) e un ristabilimento di meccanismi molecolari legati all’azione dell’insulina nel cervello, che hanno poi favorito processi riparativi sia dei mitocondri sia dello stress ossidativo”, ha riferito invece Giuseppina Amadoro, tra i firmatari dello studio.
L’effetto neuro-protettivo dell’anticorpo monoclonale
Lo studio, in definitiva, ha confermato “l’effetto neuro-protettivo dell’anticorpo 12A12, già precedentemente validato in modelli geneticamente modificati di Alzheimer, aprendo così la possibilità al passaggio alla sperimentazione clinica di fase 1 sull’uomo”, ha concluso l’esperta del Cnr. I risultati ottennuti, così, “rafforzano notevolmente il ruolo svolto dall’alterazione della proteina Tau come uno dei fattori patologici causa della malattia, mostrano la potenzialità offerta dalla sua neutralizzazione attraverso la terapia anticorpale”, ma non solo, perché “estendono la loro influenza alla maggiore comprensione delle forme prevalenti della patologia, in cui spesso convivono disordini metabolici e declino cognitivo”, ha aggiunto in conclusione Coccurello.