Alzheimer, nuovo esame potrebbe predire rischio con anni di anticipo

Salute e Benessere

Messa a punto dai ricercatori  dell'Università nazionale australiana, la nuova tecnica sarebbe in grado di valutare se il paziente è a rischio basso, moderato o alto di sviluppare la malattia, anni prima di una potenziale diagnosi

Un team di ricercatori dell'Università nazionale australiana ha messo a punto una nuova tecnica che sarebbe in grado di prevedere con cinque anni di anticipo se i soggetti con disturbo cognitivo lieve sono a rischio di sviluppare l'Alzheimer. Finora, come precisato dal team di ricerca sul portale dell'ateneo, non era possibile per gli specialisti collegare un peggioramento della salute cerebrale di un paziente con il rischio di sviluppare la malattia.

La nuova tecnica nel dettaglio  

Per mettere a punto la nuova tecnica, descritta nel dettaglio sulle pagine della rivista "Journal of Alzheimer's Disease", gli scienziati coordinati da Nicolas Cherbuim, che guida il Centro di ricerca sull'invecchiamento, hanno utilizzato un biomarcatore del sangue (chiamato neurofilamento a catena leggera), che misura frammenti di neuroni in fine vita nel cervello, combinando i dati con il punteggio del Mini-Mental State Examination, un test per calcolare il rischio di sviluppare l'Alzheimer, anni prima di una potenziale diagnosi. La previsione utilizza misure semplici che non richiedono una visita ospedaliera.
"Ora abbiamo la capacità di prevedere il decorso futuro e valutare se il paziente è a rischio basso, moderato o alto", ha spiegato Cherbuim sul portale dell'ateneo. "Sapere se la persona è a rischio di Alzheimer a cinque anni di distanza offre un netto vantaggio nel migliorare le condizioni di salute", ha aggiunto, sottolineando che in media una persona su tre con disturbo cognitivo lieve sviluppa in seguito l'Alzheimer. "È una malattia che oltre a colpire singoli individui è un onere enorme sulla popolazione. Non vi è cura o trattamento che la modifichi, ma questa ricerca può aiutare a offrire ai medici nuovi strumenti per personalizzare i loro consigli, e inoltre per aiutare i pazienti a discutere con i familiari il loro futuro e i loro desideri, prima che la demenza prenda piede", ha concluso il ricercatore.

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