Ue, anche in Italia cala l'uso degli antibiotici ma la resistenza resta alta

Salute e Benessere

Lo ha certificato, con riferimento al periodo 2016-2018, uno studio congiunto condotto dagli esperti dell'Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA), dell'Agenzia europea per i medicinali (EMA) e del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC). Il quadro europeo non è omogeneo, ma la situazione è migliorata anche in Italia, con una chiara tendenza alla diminuzione dei consumi tra il 2014 e il 2018. Ma il fenomeno della resistenza resta stabile e a livelli alti

In Europa, nel periodo 2016-2018, è diminuito l'utilizzo degli antibiotici che ora, negli animali da produzione alimentare, “risulta più basso che nell’uomo”. Lo afferma un recente studio, i cui risultati sono stati pubblicati congiuntamente dall'Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA), dall'Agenzia europea per i medicinali (EMA) e dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC). “L'uso di antibiotici è diminuito e, per la prima volta, è inferiore negli animali da produzione alimentare che nell'uomo. Si tratta di una notizia incoraggiante che ci porta a ritenere che le misure in atto siano efficaci e la strada imboccata quella giusta”, ha commentato il direttore di Efsa, Bernhard Url. La situazione migliora anche in Italia, si legge nello studio, con una chiara tendenza alla diminuzione dei consumi tra il 2014 e il 2018. Ma il fenomeno della resistenza resta stabile e a livelli alti.

Cos’è l’antibiotico resistenza

In particolare, come si legge in una nota ufficiale, applicando un approccio del tipo “One Health”, ovvero che concerne la salute unica, a livello globale, lo studio curato dalle tre agenzie dell’Ue ha presentato i dati relativi al consumo di antibiotici e allo sviluppo di antibiotico-resistenza (AMR), la capacità di un batterio di resistere all'azione di contrasto di uno o più farmaci antibiotici, così da sopravvivere e moltiplicarsi nonostante tutto. Come spiegato dall’Istituto Superiore di Sanità, questa tipologia di resistenza può essere sia naturale, verificandosi quando il batterio è naturalmente resistente ad un antibiotico, sia acquisita, manifestandosi invece quando lo stesso si adatta a resistere ad un farmaco antibiotico mediante particolari modifiche al proprio patrimonio genetico. In particolare, il rapporto "Consumo di antimicrobici e resistenza nei batteri dell'uomo e degli animali", sottolinea proprio come l'uso degli antibiotici in allevamento sia per la prima volta, a partire dal 2011, inferiore al consumo umano. Tale calo, definito “significativo” indica che “le misure assunte a livello nazionale per limitarne l'uso si stanno rivelando efficaci”.

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Un quadro non omogeneo nell’UE

Nello specifico, si legge ancora, tra il 2016 e il 2018 si è quasi dimezzato negli animali da produzione alimentare l'uso di una classe di antibiotici specifici, denominati “polimixine”, che include anche la colistina. Si tratta di uno sviluppo definito dalle autorità “positivo”, dal momento che “le polimixine sono utilizzate anche negli ospedali per curare i pazienti infettati da batteri resistenti a più farmaci”. La situazione, confermano gli esperti, non è omogenea nell’UE, ma varia notevolmente da Paese a Paese e da una classe di antibiotici all’altra. Tra gli esempi citati, quello relativo alle aminopenicilline, le cefalosporine di terza e quarta generazione e i chinoloni (fluorochinoloni e altri chinoloni) che vengono utilizzati più nell'uomo che negli animali da produzione alimentare, con le polimixine (colistina) e le tetracicline, invece, maggiormente usate negli animali da produzione alimentare che nell'uomo.

Il legame tra uso di antibiotici e resistenza dei batteri

Lo studio, infine, ha evidenziato come “nelle infezioni umane da Escherichia coli l'uso di carbapenemi, cefalosporine di terza e quarta generazione e chinoloni è associato a resistenza ai medesimi antibiotici”. Simili associazioni sono state trovate anche negli animali da produzione alimentare. Tra gli altri dati emersi, anche quello che fa luce sui nessi tra l’impiego di antimicrobici negli animali e l’antibiotico resistenza nei batteri presenti negli animali da produzione alimentare, a loro volta associati a quella nei batteri presenti nell’uomo. Un esempio citato è quello del batterio “campylobacter” che si può scovare negli animali da produzione alimentare e causa infezioni alimentari nell'uomo. Gli esperti, infatti, “hanno rilevato un'associazione tra la resistenza in tali batteri negli animali e la resistenza dei medesimi batteri nell'uomo”.

   

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