Parkinson, rare varianti genetiche presenti in contemporanea possono aumentarne il rischio

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Uno studio condotto dagli esperti dell’IRCCS Neuromed e da quelli dell’Istituto di genetica e biofisica “Adriano Buzzati Traverso” del Cnr di Napoli è riuscito ad evidenziare come alcune varianti genetiche rare, se presenti simultaneamente, possano esercitare un ruolo importante nell’aumentare significativamente il rischio di ammalarsi di Parkinson

Il “più ampio studio genetico realizzato su pazienti italiani affetti da morbo di Parkinson utilizzando metodiche di sequenziamento di ultima generazione”. Così viene definito, in un comunicato diffuso sul sito del Consiglio nazionale delle Ricerche (Cnr) il lavoro di ricerca condotto dagli esperti dell’IRCCS Neuromed e da quelli dell’Istituto di genetica e biofisica “Adriano Buzzati Traverso” del Cnr di Napoli che è riuscito ad evidenziare come alcune varianti genetiche rare, se presenti simultaneamente, possano esercitare un ruolo decisivo “nell’aumentare significativamente il rischio di ammalarsi di Parkinson”.

Sequenziato il genoma di 500 pazienti

Lo studio, pubblicato sulla rivista scientifica “Molecular Neurodegeneration”, è partito con il sequenziamento del genoma di 500 pazienti affetti da morbo di Parkinson, una malattia neurodegenerativa, ad evoluzione lenta ma progressiva, che coinvolge principalmente alcune funzioni quali il controllo dei movimenti e dell'equilibrio. Gli studiosi, nel corso del loro lavoro, sono riusciti ad identificare 26 geni specifici, 16 dei quali associati per la prima volta alla patologia. La ricerca, hanno sottolineato gli esperti, ha considerato i dati genetici di due tipologie di pazienti: quelli appartenenti a famiglie nelle quali la malattia di Parkinson è ricorrente e quelli in cui la patologia era comparsa senza che ci fosse alcuna familiarità. Non solo, ma i ricercatori hanno approfondito la ricerca esaminando, sia su tessuti umani che su modelli animali, l’espressione genica e, tra gli altri risultati, è emerso come cinque dei geni studiati siano risultati “particolarmente espressi in neuroni dopaminergici della Substantia Nigra la cui degenerazione è la causa principale del morbo di Parkinson”.

TEMPIO PAUSANIA, ITALY - MAY 21: An Italian Navy doctor administers a Covid-19 test inside a health facility in Sardinia on May 21, 2020 in Tempio Pausania, Italy. Italy has eased the lockdown due to the Covid-19 pandemic and many businesses are allowed to reopen after a severe sanification. (Photo by Emanuele Perrone/Getty Images)

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Le varianti genetiche individuate

Come spiegato da Alessandro Gialluisi, ricercatore del dipartimento di epidemiologia e prevenzione del Neuromed, oltre che primo autore del lavoro, gli studiosi sono riusciti ad identificare “varianti correlate al rischio di Parkinson in ventisei geni, sedici dei quali non erano stati precedentemente associati alla malattia”. Inoltre, è stato possibile “riscontrare anche come la maggior parte di questi geni siano coinvolti in ‘pathways’ importanti per la funzionalità del sistema dopaminergico la cui degenerazione porta allo sviluppo della patologia”, ha riferito. Tra i risultati significativi dello studio, anche l’aver riscontrato che le varianti esaminate possono avere una specie di effetto cumulativo. “La presenza contemporanea di due o più di queste varianti rare si è rivelata associata con un aumento della probabilità di sviluppare il Parkinson nel 20% dei pazienti. Possiamo parlare di un ‘carico’ di mutazioni crescente che, in futuro, potrebbe portarci a valutare il rischio di malattia proprio attraverso l’individuazione del numero di varianti dannose presenti nel Dna di una persona”, ha commentato Teresa Esposito, ricercatrice del Cnr.

La diagnosi precoce

Ora, hanno sottolineato in conclusione i ricercatori, “questi risultati appaiono promettenti nella prospettiva di perfezionare le tecniche di diagnostica molecolare rivolte a individuare precocemente le persone a rischio elevato”. Serviranno altri studi per comprendere e sviluppare potenziali approcci terapeutici, ma ciò che è possibile auspicare, per un futuro più vicino, “è un esame genetico che tenga conto del carico di varianti dannose presenti nel genoma di un individuo”, ha detto Antonio Simeone, direttore del Cnr di Napoli. “Potrebbero aprirsi possibilità importanti per avviare screening di popolazione e, quindi, migliorare la diagnosi precoce di una patologia che si sviluppa nel tempo”, ha aggiunto.

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