Parkinson, identificato uno dei possibili meccanismi alla base della malattia. Lo studio

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Una ricerca internazionale condotta da un team dell'Università di Firenze ha evidenziato gli aggregati proteici responsabili della degenerazione dei neuroni dopaminergici

Un nuovo studio internazionale coordinato da un team dell'Università di Firenze ha individuato uno dei possibili meccanismi alla base della malattia di Parkinson.
Nello specifico, come descritto sulle pagine della rivista specializzata Nature Communications, il team di ricerca ha scoperto come alcuni aggregati proteici siano responsabili della degenerazione dei neuroni dopaminergici, le cellule nervose che producono la dopamina e partecipano a importanti processi biologici come il movimento, la motivazione e la cognizione.
La ricerca, condotta in collaborazione con le Università di Cambridge e Saragozza, ha permesso di identificare nuovi bersagli molecolari, che apriranno la strada allo sviluppo di nuove strategie terapeutiche mirate contro il Parkinson.

Lo studio nel dettaglio

Nel corso dello studio, il team di ricerca ha analizzato questi aggregati proteici, riuscendo a svelare la loro azione tossica.
In particolare, studiando la morfologia di diverse forme di aggregati di α-sinucleina che si sviluppano durante il processo di maturazione e le loro modalità di interazione con le membrane biologiche, sono riusciti a identificare una specie di oligomeri particolarmente tossica: i cosiddetti "oligomeri di tipo B".
"Sono proprio gli oligomeri di tipo B ad apparire le specie più tossiche, ma lo studio evidenzia che anche gli aggregati fibrillari più grandi hanno una significativa tossicità, che si manifesta soprattutto a tempi di incubazione più lunghi con i neuroni", ha spiegato Roberta Cascella, tra i ricercatori fiorentini. "Le fibrille sono tossiche a causa del rilascio di questi piccoli oligomeri che inducono l'effetto nocivo", ha aggiunto la collega Cristina Cecchi.
Come spiegato dal team di ricerca sul periodico digitale dell’Università di Firenze, negli individui sani, questi piccoli oligomeri sono neutralizzati da un sistema denominato omeostasi proteica. Ma negli anziani, quando questo sistema perde efficienza, gli oligomeri riescono a formarsi più insistentemente e ad agire in specifiche aree del cervello. "I risultati emersi da questo lavoro offrono anche la base molecolare per un efficace intervento terapeutico", ha concluso Fabrizio Chiti, tra i ricercatori che hanno condotto lo studio.

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