Coronavirus, la tesi del vaccino prima ai giovani: “Contagiano di più”

Salute e Benessere

La sostengono alcuni ricercatori della University of Southern California e della Johns Hopkins secondo cui “la diffusione da parte di asintomatici sta facendo chiudere scuole e università e minaccia le comunità”

La corsa al vaccino contro il coronavirus sta entrando nelle sue fasi cruciali e, in attesa che venga avviata una produzione di massa, nelle previsioni più ottimistiche da attendersi non prima dell'inizio del prossimo anno, gli esperti ragionano su come distribuire le prime dosi, che non potranno bastare per tutti. L'orientamento più diffuso, adottato ad esempio dal Cdc statunitense, è quello di iniziare a somministrare dosi di vaccino a operatori sanitari e alle categorie più fragili. Ma c'è chi propende per un’altra tesi, come ad esempio alcuni ricercatori della University of Southern California e della Johns Hopkins secondo cui l'approccio più efficace nel limitare il virus è esattamente l'opposto.

Un modello differente di scelte

"Dopo aver visto il rischio di una rapida diffusione del Covid-19 tra i giovani adulti non siamo d'accordo con la raccomandazione” più accreditata, spiegano dalle pagine del portale “The Conversation” Dana Goldman, David Conti e Matthew E. Kahn. “La diffusione da parte di asintomatici sta facendo chiudere scuole e università, e minaccia le comunità. Secondo noi questa pandemia richiede un modello differente per le scelte”, dicono gli esperti. “Dopo aver protetto i lavoratori sanitari i vaccini dovrebbero essere dati ai più grandi diffusori del virus, in maggioranza i giovani, e solo dopo ai più vulnerabili", è la loro tesi. Questa ipotesi, tra l’altro, è rafforzata, stando ai pareri dei ricercatori, anche da alcuni studi fatti condotti durante la pandemia influenzale del 2009, da cui era emerso come il modo migliore di limitare la diffusione del virus, e proteggere così le persone più vulnerabili, è proprio quello di immunizzare i più giovani.

Il ruolo dell’Italia e la promessa di Trump

Si tratta, comunque, di una discussione scientifica particolarmente importante, dato che i tempi si stanno stringendo e come confermato dal ministro della Salute britannico Hancock, se tutto procederà secondo i piani non si avrà una produzione su larga scala prima dei primi mesi del 2021. Intanto nella corsa al vaccino, come ricordato di nuovo dal ministro della Salute Roberto Speranza, l'Italia c’è ed è "è in prima linea". "Voglio esprimere un sentimento di orgoglio perché l'Italia è in prima linea con i propri ricercatori", ha detto Speranza. "La scienza e la ricerca ci metteranno nelle condizioni di vincerla questa sfida e l'Italia c'è, a testa alta, con le proprie forze, con la propria ricerca, intelligenza e capacità di investire", ha sottolineato ancora il ministro. Il nostro Paese, ha spiegato Speranza, è molto attivo, in particolare, nella ricerca di una terapia, soprattutto grazie al lavoro sugli anticorpi monoclonali. Dagli Usa, infine, l’ultima promessa di Donald Trump: "Produrremo un vaccino sicuro ed efficace a tempo record" contro il Covid-19, ha sostenuto il tycoon nel corso di una conferenza stampa tenutasi alla Casa Bianca, definendo come persona "non competente" la vice di Joe Biden, Kamala Harris, che aveva detto di non credere alle promesse di Trump stesso sul tema del vaccino.

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