Presidenti del Consiglio: l'elenco completo

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Dalla proclamazione della Repubblica italiana, sono stati in 29 a presiedere 65 governi diversi in 18 legislature. Il primo fu De Gasperi, dal primo giugno 2018 c’è Giuseppe Conte. Matteo Renzi il più giovane, di Silvio Berlusconi il mandato più duraturo

Dal 1946, anno in cui fu proclamata la Repubblica, sono stati 29 i presidenti del Consiglio (LE FUNZIONI) a guidare 65 governi diversi in 18 legislature. Il primo è stato Alcide De Gasperi, mentre dal primo giugno 2018 c’è Giuseppe Conte. Il partito più rappresentato è la Democrazia Cristiana con 16 politici, mentre i record di gioventù e anzianità spettano a Matteo Renzi, eletto ad appena 39 anni, e Amintore Fanfani, 79enne al momento della nomina per il suo ultimo mandato. Ecco l’elenco completo dei presidenti del Consiglio dei ministri della Repubblica italiana.

Alcide De Gasperi (1946-1953)

Alcide De Gasperi, nato a Pieve Tesino in Trentino Alto Adige il 3 aprile 1881, fu l’ultimo presidente del Consiglio del Regno d’Italia e il primo della Repubblica italiana. Leader della Democrazia Cristiana, De Gasperi fu eletto il 14 luglio 1946 per quello che era in realtà il suo secondo mandato, ma il primo dopo il referendum del 2 giugno. Rimase presidente fino all’agosto del 1953, quando si dimise a causa del fallimento della Legge elettorale e della successiva sfiducia della Camera. De Gasperi è attualmente il politico che ha presieduto per più volte un governo: sono otto, il primo dei quali repubblicano soltanto nella seconda parte visto che si insediò in epoca monarchica.

Giuseppe Pella (1953-1954)

Piemontese classe 1902, Giuseppe Pella fu il secondo presidente del Consiglio dopo Alcide De Gasperi. Anche lui apparteneva alla Democrazia Cristiana ma, a differenza del suo predecessore, fu incaricato dall’allora presidente della Repubblica Luigi Enaudi: si trattò del primo governo provvisorio. Rimase in carica dal 17 agosto 1953 al 19 gennaio 1954.

Amintore Fanfani (1954, 1958-1959, 1960-1963, 1982-1983, 1987)

Toscano di Pieve Santo Stefano, il democristiano Amintore Fanfani è stato per sei volte presidente del Consiglio dei ministri. La prima elezione avvenne il 19 gennaio 1954, l’ultima il 18 aprile 1987 quando, all'età di 79 anni e 6 mesi, divenne il più anziano capo del governo nella storia della Repubblica. Un record che ancora gli appartiene. Dopo una prima presidenza di pochi giorni che non ottenne la fiducia del Parlamento (COSA SIGNIFICA), Fanfani tornò in carica dall’1 gennaio 1959 al 2 febbraio 1962. Fu ancora capo del governo dal 21 febbraio dello stesso anno al 16 maggio 1963, poi dall’1 dicembre 1982 al 2 maggio 1983 e dal 17 aprile 1987 al 28 aprile 1987. Fu lui il primo presidente a sedere a Palazzo Chigi: prima del 1961, infatti, la sede della presidenza del Consiglio dei ministri era il Viminale.

Mario Scelba (1954-1955)

Dopo il primo breve governo Fanfani, il 10 febbraio 1954 fu il siciliano democristiano Mario Scelba a essere nominato presidente del Consiglio. Il governo presieduto da Scelba si caratterizzò per il tentativo di allacciare forti legami con gli Stati Uniti per la risoluzione di questioni irrisolte durante la guerra, come il recupero di Trieste. Lasciò la presidenza del Consiglio dopo l'elezione a presidente della Repubblica di Giovanni Gronchi, il 6 luglio 1955.

Antonio Segni (1955-1957, 1959-1960)

Dopo Mario Scelba, a essere nominato presidente del Consiglio fu Antonio Segni, con un primo governo centrista dal 6 luglio 1955 al 15 maggio 1957 e un secondo esecutivo, di stampo democristiano, dal 15 febbraio 1959 al 23 marzo 1960. Da segnalare, durante il primo mandato di Antonio Segni, la firma dei Trattati di Roma (COSA SONO) del 25 marzo 1957 (con l’istituzione della Comunità economica, la Cee, e dell’Energia atomica, l’Euratom). Mentre durante il secondo governo venne istituito il ministero del Turismo e dello Spettacolo.

Adone Zoli (1957-1958)

Il sesto presidente del Consiglio dei ministri, in carica dopo il primo governo Segni dal 20 maggio 1957 al 2 luglio 1958, fu il cesenate Adone Zoli, il primo senatore ad assumere la carica nella storia della Repubblica. Rimase alla presidenza fino al termine della legislatura e fu lui ad approvare la richiesta del Movimento Sociale Italiano di far tumulare a Predappio la salma di Benito Mussolini.

Fernando Tambroni (1960)

Il 26 marzo 1960 venne eletto alla presidenza del Consiglio il democristiano Fernando Tambroni. Ascolano classe 1901, ricevette l'incarico di formare un governo per sostituire quello presieduto dal dimissionari Antonio Segni. Doveva trattarsi di un "governo provvisorio" che guidasse il Paese verso le Olimpiadi di Roma previste nell’agosto di quello stesso anno. Tuttavia, dopo le dimissioni di alcuni ministri, Tambroni lasciò il proprio incarico e il presidente della Repubblica, Giovanni Gronchi, assegnò la poltrona ad Amintore Fanfani.

Giovanni Leone (1963, 1968)

Dopo le dimissioni di Fanfani nel maggio del 1963 e in seguito all’impossibilità da parte di Aldo Moro di formare un nuovo governo, il presidente della Repubblica, Antonio Segni, incaricò Giovanni Leone per la formazione dell’esecutivo. Il suo primo governo durò dal 21 giugno al 4 dicembre 1963. Dopo l’approvazione della Legge di bilancio, il napoletano classe 1908 rassegnò le dimissioni. Leone tornò alla presidenza del consiglio quando nel 1968 gli venne conferito, ancora una volta, l'incarico di formare un governo monocolore, con la partecipazione dei soli democristiani. Leone accettò l’invito di Giuseppe Saragat ma il 19 novembre successivo, considerate le buone possibilità di ritorno a una formula parlamentare di centro-sinistra e la formazione di un nuovo governo, rassegnò le dimissioni.

Aldo Moro (1963-1968, 1974-1976)

Dopo le elezioni del 28 aprile 1963, il 5 dicembre Aldo Moro divenne presidente del Consiglio, formando per la prima volta dal 1947 un governo con la presenza di esponenti socialisti. Si trattava della IV legislatura. Durante questo esecutivo, venne istituito il Molise come ventesima regione italiana e si dovette affrontare la tragedia del Vajont. Dopo il primo governo, Moro riuscì a riformare una maggioranza che rimase in carica fino al 21 gennaio del 1966, quando lo statista si dimise dopo un voto sull'istituzione della Scuola materna statale. In questo periodo vennero inaugurate l'Autostrada A1 e il Traforo del Monte Bianco. Moro fu presidente del Consiglio anche nel biennio successivo: dal 23 febbraio 1966 al 5 giugno 1968. Con 833 giorni di durata si tratta di uno dei mandati più lunghi nella storia della Repubblica.

Mariano Rumor (1968-1970, 1973-1974)

Vicentino classe 1915, segretario di Democrazia Cristiana, Mariano Rumor è stato per cinque volte presidente del Consiglio dei ministri. La prima volta nel 1968, dopo Aldo Moro, quando guidò tre diversi esecutivi di centrosinistra fino al 1970, periodo in cui – tra le altre cose – il Parlamento approvò le norme che istituivano il referendum (legge n° 352 del 25 maggio 1970) che porterà successivamente all’introduzione del divorzio nel nostro Paese. Il 7 luglio 1974, Mariano Rumor tornò a Palazzo Chigi per il quarto e il quinto esecutivo. Lasciò definitivamente la carica di presidente del Consiglio il 23 novembre 1974, al termine di un mandato durato otto mesi e otto giorni.

Emilio Colombo (1970-1972)

Dopo i primi tre governi Rumor, il presidente del Consiglio fu il lucano Emilio Colombo che guidò l’esecutivo tra il 6 agosto 1970 e il 17 febbraio 1972. Proprio durante il governo Colombo venne introdotto il divorzio nell'ordinamento giuridico italiano, nonostante l'opposizione della Democrazia Cristiana, partito del presidente del Consiglio. Era l’1 dicembre 1970 quando fu approvata la cosiddetta legge Fortuna-Baslini.

Giulio Andreotti (1972-1973, 1976-1979, 1989-1992)

Il 18 febbraio del 1972, Giulio Andreotti diventò per la prima volta presidente del Consiglio, incarico che ricoprì, al comando di due governi di centrodestra, fino al 1973. In realtà, il primo esecutivo in assoluto non ottenne la fiducia e Andreotti si dimise dopo appena nove giorni. Il governo rimase dunque in carica fino alle successive elezioni per un totale di 128 giorni. Elezioni che videro il successo ancora della Dc con Andreotti che formò così il suo secondo governo, che cadde però nel giugno 1973 in seguito alla questione sulla riforma televisiva e al caso Telebiella. Dopo due governi Rumor e due governi Moro, Andreotti tornò presidente del Consiglio il 29 luglio del 1976: era il cosiddetto esecutivo della “non sfiducia”, che andò avanti grazie all’astensione dei partiti dell’arco costituzionale e che durò fino al gennaio del 1978. Andreotti venne eletto ancora una volta presidente del Consiglio nel marzo 1978, contemporaneamente al sequestro di Aldo Moro. Un evento che portò alla “solidarietà nazionale”: il Pci decise così di votare la fiducia. Come capo del governo, Andreotti si schierò a favore della linea dura contro le Brigate Rosse, rifiutando qualsiasi tipo di mediazione nella questione Moro. Questo suo quarto mandato durò fino al 21 marzo del 1979, periodo in cui veniva approvata la Legge Basaglia che decretò la chiusura dei manicomi. Ci fu anche un Andreotti V dal 21 marzo al 5 agosto 1979, poi il politico romano tornò a Palazzo Chigi per altri due governi: quello che partì il 23 luglio 1989 e terminò 13 aprile 1991, e il successivo che durò fino al 28 giugno 1992.

Francesco Cossiga (1979-1980)

Francesco Cossiga fu nominato presidente del Consiglio il 4 agosto 1979. Il politico sardo rimase in carica fino all’ottobre del 1980 guidando due esecutivi. Durante la presidenza, venne proposta dal Pci la messa in stato d’accusa nei suoi confronti in quanto sospettato di aver rivelato al senatore Carlo Donat Cattin che il figlio Marco era indagato e prossimo all'arresto, poiché coinvolto in episodi di terrorismo. Il Parlamento in seduta comune rigettò l'accusa. Cossiga era presidente del Consiglio il 27 giugno 1980, giorno in cui avvenne la strage di Ustica.  

Arnaldo Forlani (1980-1981)

Pesarese classe 1925, Arnaldo Forlani fu presidente del Consiglio dal 18 ottobre 1980 al 26 giugno 1981. Democristiano come i precedenti esecutivi, il governo Forlani si caratterizzò per una serie di eventi piuttosto difficili da affrontare, a partire dai continui attacchi del terrorismo che colpivano i democratici cristiani, ma anche l'attentato a papa Giovanni Paolo II e la sconfitta del referendum sull'aborto, fino allo scandalo della Loggia P2, che portò Forlani alle dimissioni.

Giovanni Spadolini (1981-1982)

Il 28 giugno 1981 fu nominato il primo presidente del Consiglio dei ministri non democristiano nella storia dell’Italia repubblicana. Si trattava di Giovanni Spadolini, appartenente al Pri e incaricato dal presidente della Repubblica Sandro Pertini. Tra i provvedimenti che si ricordano maggiormente del governo Spadolini ci fu la cosiddetta Legge Spadolini-Anselmi (legge n. 17 del 25 gennaio 1982) sulla soppressione delle società segrete. Si trattava di una misura voluta in seguito allo scandalo della loggia massonica P2 e dopo la costituzione della Commissione parlamentare P2.

Bettino Craxi (1983-1987)

Il 4 agosto 1983, Bettino Craxi diventò il primo esponente del Psi a diventare presidente del Consiglio. Un governo sostenuto dal cosiddetto pentapartito formato dall’alleanza che comprendeva Dc, Psi, Psdi, Pri e Pli. Durante questo suo primo mandato, il governo Craxi si distinse per la firma di un nuovo concordato con la Santa Sede secondo cui il cristianesimo cessava di essere considerata religione di Stato, veniva istituito l’8 per mille sull’Irpef e veniva reso facoltativo l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole. Fu inoltre varato il “decreto Berlusconi”, dopo la decisione dei pretori di Torino, Roma e Pescara di oscurare i canali televisivi della Fininvest appartenenti all’imprenditore milanese. Un provvedimento approvato dal Parlamento solo tramite il voto di fiducia, che consentì lo sviluppo delle televisioni commerciali a discapito del monopolio Rai. Un secondo governo Craxi iniziò l’1 agosto 1986 e durò fino al 18 aprile 1987 per un totale di 260 giorni.

Giovanni Goria (1987-1988)

Nato ad Asti nel 1943, Giovanni Goria fu nominato presidente del Consiglio il 29 luglio 1987, fortemente voluto dal segretario del suo partito, la Democrazia Cristiana, Ciriaco De Mita. Durante il suo governo fu anche ministro (senza portafoglio) per gli Interventi straordinari nel Mezzogiorno. Il mandato di Goria durò fino al 13 aprile 1988 quando, in seguito alla bocciatura in Parlamento del bilancio, fu costretto a dimettersi.

Ciriaco De Mita (1988-1989)

In seguito alla caduta del governo Goria, il presidente del Consiglio fu Ciriaco De Mita, incaricato dal capo dello Stato Francesco Cossiga il 13 aprile 1988. Pochi giorni dopo, il suo esecutivo fu scosso dall’omicidio del senatore Dc Roberto Ruffilli. Nel maggio del 1989 De Mita rassegnò le dimissioni dal governo ma, dopo il fallimento del mandato esplorativo affidato a Spadolini, ottenne di nuovo il comando dell’esecutivo. Tuttavia, un mese dopo, De Mita rinunciò all'incarico di formare il governo, incarico che Cossiga conferì poi a Giulio Andreotti.

Giuliano Amato (1992-1993, 2000-2001)

Al termine delle elezioni del 1992, a ricevere l'incarico da parte del capo dello Stato, Oscar Luigi Scalfaro, a formare il 49esimo esecutivo della Repubblica italiana fu Giuliano Amato. Un governo che si insediò a Palazzo Chigi in piena Tangentopoli e nel mezzo della cosiddetta guerra tra Stato e mafia: Amato fu nominato pochi mesi dopo l’omicidio di Giovanni Falcone e poco prima di quello di Paolo Borsellino. Durante il suo primo governo, nel 1993, si aprì anche l'indagine giudiziaria per associazione mafiosa nei confronti del predecessore Giulio Andreotti. Amato annunciò le dimissioni del governo nell’aprile del 1993, una volta reso pubblico l'esito del referendum in materia elettorale promosso da Mariotto Segni, con la modifica della legge elettorale. Tornò a presiedere il Consiglio dei ministri il 26 aprile del 2000, in seguito alle dimissioni di Massimo D’Alema.

Carlo Azeglio Ciampi (1993-1994)

Al termine del primo governo Amato, conseguentemente allo scandalo di Tangentopoli e in un periodo che verrà poi indicato come quello che decretò la fine della Prima Repubblica, il capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro diede l’incarico di formazione del governo a Carlo Azeglio Ciampi. Si trattava di un governo tecnico di transizione guidato dal primo presidente del Consiglio non parlamentare della storia della Repubblica. Durante il suo mandato, il livornese dovette affrontare una grave crisi economica, la svalutazione e uscita dal sistema dello Sme della lira italiana ma soprattutto i continui attentati mafiosi, in particolare quelli in via dei Georgofili (27 maggio 1993), di via Palestro (27 luglio 1993) e i due contemporanei a San Giorgio al Velabro e San Giovanni in Laterano (28 luglio 1993). Il governo tecnico di Carlo Azeglio Ciampi durò fino alle elezioni del 1994.

Silvio Berlusconi (1994-1995,2001-2006, 2008-2011)

Dopo la campagna elettorale della famosa “discesa in campo”, le elezioni del 1994 si conclusero con la vittoria di Forza Italia, partito di Silvio Berlusconi, appoggiato dalla Lega Nord. Il 10 maggio l’imprenditore milanese, già al comando di gruppi importanti come Fininvest e l’Ac Milan, diventò presidente del Consiglio. Un governo che però durò poco e terminò nel dicembre dello stesso anno, quando la Lega Nord guidata da Umberto Bossi ritirò l'appoggio al governo. Così, il 22 dicembre Berlusconi rassegnò le proprie dimissioni al presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro. Tornò alla presidenza del Consiglio nel 2001, al termine delle elezioni che lo videro leader della Casa delle Libertà, coalizione che comprendeva, oltre a Forza Italia, i principali partiti di centrodestra (inclusa la Lega Nord). L'11 giugno Berlusconi venne nominato presidente del Consiglio, dando inizio al governo Berlusconi II. Si dimise il 20 aprile 2005, due giorni prima del governo Berlusconi III che durò fino al 17 maggio del 2006. Non si trattò comunque dell’ultimo incarico per l'imprenditore milanese: il 14 aprile 2008 la coalizione formata da Popolo della Libertà, Lega Nord e Movimento per l'Autonomia vinse le elezioni e il successivo 8 maggio Giorgio Napolitano conferì a Berlusconi l’incarico per il suo quarto governo che durò fino al novembre del 2011 quando, persa la maggioranza in Parlamento, rassegnò le dimissioni.

Lamberto Dini (1995-1996)

Dopo le dimissioni di Silvio Berlusconi, Oscar Luigi Scalfaro, allora presidente della Repubblica, incaricò Lamberto Dini per la formazione di un nuovo governo. Si trattava però di un esecutivo composto esclusivamente da ministri e sottosegretari tecnici e non parlamentari. Era il 17 gennaio 1995 e l’economista fiorentino rimase in carica fino al maggio del 1996.

Romano Prodi (1996-1998, 2006-2008)

In contrapposizione alle forze di centrodestra guidate da Silvio Berlusconi, dopo la caduta dell’esecutivo presieduto dallo stesso imprenditore milanese, si formò una nuova coalizione di centrosinistra il cui leader fu Romano Prodi e che vinse le elezioni del 1996. L’economista emiliano governò fino all'ottobre 1998, quando si dimise durante le fasi dell’approvazione della Legge finanziaria a causa di un voto di fiducia alla Camera dei deputati non ottenuto per un solo deputato, in seguito al ritiro dell'appoggio di una parte del gruppo di Rifondazione Comunista. Prodi tornò a presiedere il Consiglio dei ministri dopo le elezioni del 2006: questo secondo governo rimase in carica fino al 2008, quando al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, arrivarono le dimissioni di Prodi in seguito all’uscita dalla maggioranza dell’Udeur e alla mancata fiducia ottenuta in Senato dopo il caso Mastella.

Massimo D’Alema (1998-2000)

In seguito alla crisi del primo governo Prodi, il centrosinistra decise di affidarsi a Massimo D’Alema che rimase in carica dal 21 ottobre 1998 al 22 dicembre 1999. Si trattava del primo esponente dell'ex Pci ad assumere la carica di presidente del Consiglio. Durante il suo primo mandato, fu a favore dell'abolizione del servizio militare obbligatorio e dell'intervento Nato nella guerra del Kosovo. A un anno dalla nomina venne annunciata una crisi di governo pilotata allo scopo di farvi entrare i Democratici, ma soltanto il 22 dicembre si arrivò a un D’Alema bis, che durò fino al 25 aprile 2000 (quando diede le dimissioni dopo la sconfitta alle regionali). In questo secondo esecutivo venne approvata la legge sulla Par condicio che regolava l'accesso ai mezzi d'informazione delle forze politiche. D’Alema fu anche il primo presidente del Consiglio nato dopo la fine della Seconda Guerra mondiale.

Mario Monti (2011-2013)

In seguito alle dimissioni di Silvio Berlusconi nel 2011, Mario Monti ricevette da Giorgio Napolitano l’incarico di formare un governo tecnico con l’obiettivo di portare il Paese fuori dalla crisi. Il 18 novembre 2011 ottenne, in occasione del voto di fiducia, la maggioranza più alta mai registrata nella storia repubblicana. La manovra fiscale anticrisi e la riforma del sistema pensionistico con la Legge Fornero furono tra i provvedimenti più importanti approvati durante l’esecutivo dell’accademico varesino, che rimase in carica fino al 28 aprile del 2013.

Enrico Letta (2013-2014)

Nell’aprile del 2013, dopo il governo tecnico di Mario Monti, Enrico Letta, del Partito Democratico, ricevette l'incarico di presidente del Consiglio dei ministri dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Il governo si caratterizzò come il primo esecutivo di grande coalizione della storia dell'Italia repubblicana: al suo interno, infatti, convergevano esponenti delle principali coalizioni che si erano sfidate alle elezioni del 2013, come per esempio Angelino Alfano, del Pdl, alla vicepresidenza del Consiglio. L’esecutivo guidato da Enrico Letta durò fino al 13 febbraio 2014, quando il Partito Democratico, in particolare il segretario Matteo Renzi, chiesero al presidente del Consiglio le dimissioni per formare un nuovo governo presieduto proprio dall’ex sindaco di Firenze.

Matteo Renzi (2014-2016)

Dimessosi Enrico Letta e con l’appoggio della maggioranza del Partito Democratico, Matteo Renzi venne convocato al Quirinale per ricevere l’incarico da presidente del Consiglio nel febbraio del 2014. Il politico fiorentino è a oggi il più giovane presidente del Consiglio mai nominato: aveva 39 anni al momento della fiducia in Parlamento. Il suo governo durò fino 2016. Nell’aprile di quell’anno, infatti, fu indetto il referendum sulla riforma costituzionale voluta proprio da Matteo Renzi. In seguito alla sconfitta con il 59,11% di pareri negativi, il presidente del Consiglio annunciò le sue dimissioni da capo del governo, formalizzate il 7 dicembre dopo l'approvazione della legge di Bilancio. Tra le riforme attuate durante la presidenza Renzi, si ricordano quella dell’istruzione con “La buona scuola” e quella del lavoro con il cosiddetto “Jobs act”.

Paolo Gentiloni (2016-2018)

Dopo la sconfitta nel referendum con le dimissioni di Renzi, il Partito Democratico decise di proseguire al governo con Paolo Gentiloni. L'11 dicembre il presidente della Repubblica Sergio Mattarella incaricò dunque il politico di formare un nuovo esecutivo durante il quale furono portate a termine alcune delle riforme avviate dal precedente governo Renzi e attuati nuovi provvedimenti come il decreto legge Cirinnà, sul riconoscimento giuridico per le coppie dello stesso sesso. Giunto al termine della XVII legislatura, il 24 marzo 2018 Gentiloni rassegnò le dimissioni da presidente del Consiglio rimanendo in carica per il disbrigo degli affari correnti fino all’1 giugno.

Giuseppe Conte (2018)

Il 29esimo presidente del Consiglio è il giurista e professore universitario Giuseppe Conte. Il 21 maggio 2018 venne proposto come presidente del Consiglio dei ministri dai leader della coalizione M5S-Lega, al governo dopo le elezioni del 4 marzo. Il 20 maggio il presidente Mattarella gli conferì l'incarico di formare il nuovo governo, ma appena una settimana dopo rinunciò a causa del veto sulla nomina di Paolo Savona (CHI È) come ministro dell'Economia. Il 31 maggio ottenne una seconda volta da Mattarella l'incarico di presidente del Consiglio e questa volta presentò Giovanni Tria al posto di Paolo Savona. Ha giurato a Montecitorio l’1 giugno 2018, e tra il 5 e il 6 giugno ha ottenuto la fiducia in Parlamento.

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