Silvio Berlusconi, i problemi e le battaglie con la giustizia dell'ex premier
Politica ©AnsaDai processi che lo vedevano imputato alle leggi che i suoi governi hanno portato avanti, fino alle accuse di conflitto di interessi. Ecco come il leader azzurro, morto a 86 anni, voleva arrivare a una “grande riforma epocale” del sistema giudiziario
È con Silvio Berlusconi che la giustizia torna ad essere un terreno di scontro politico tra i più accesi e divisivi. Da una parte i processi che lo vedevano imputato, dall'altra le riforme volute dai suoi governi in un intreccio di interessi spesso apparso indistinguibile e costatogli l'accusa, delle opposizioni anzitutto, di aver vissuto le riforme come una sorta di rivincita sulla magistratura che su di lui indagava. (BERLUSCONI MORTO, L'ANNUNCIO E LE REAZIONI)
Il rapporto con le toghe vissuto come un braccio di ferro
Per un ventennio Silvio Berlusconi ha lavorato a quella "grande riforma epocale della giustizia" che doveva avere come cardini la separazione delle carriere tra giudici e pm, la divisione in due diversi Csm, l'istituzione di un'Alta Corte di Disciplina per giudicare i magistrati e del principio di responsabilità civile dei pm nella Costituzione. Un rapporto con le toghe vissuto come un perenne braccio di ferro tra poteri dello Stato e che la mattina dell'11 marzo 2013 trovò la sua rappresentazione plastica nell'occupazione simbolica del palazzo di giustizia di Milano da parte dei parlamentari del Popolo delle Libertà che protestavano contro i magistrati del processo Ruby.
Dal decreto Biondi alla legge Cirami, le norme dei suoi governi
Leggi ad personam, leggi bavaglio, decreti salva amici o salva aziende. Così sono passate agli onori delle cronache molte leggi in materia di giustizia volute dai governi Berlusconi. Dal decreto Biondi che vietava la custodia cautelare in carcere per i reati contro la Pubblica amministrazione e per quelli finanziari, alla depenalizzazione del reato di falso in bilancio. Dalla legge sul legittimo sospetto, la cosiddetta legge Cirami, che introduceva tra le cause di ricusazione e trasferimento del processo il sospetto dell'imparzialità del giudice, al Lodo Schifani, che prevedeva l'immunità per le 5 più alte cariche dello Stato con il divieto di sottoporle a processo per qualsiasi reato e poi dichiarato incostituzionale.
Legge Pecorella e Lodo Alfano dichiarati incostituzionali
Nel 2005 arriva la legge Legge ex-Cirielli detta anche "salva-Previti", mentre l'anno successivo con la Legge Pecorella il terzo governo Berlusconi introduceva l'inappellabilità delle sentenze di proscioglimento. La legge venne rinviata alle Camere dal Presidente della Repubblica, e poi dichiarata incostituzionale. Il 2008 è l'anno del Lodo Alfano, dal nome dell'allora ministro della Giustizia, che riproponeva l'immunità, questa volta solo per le prime quattro più alte cariche dello Stato. Anche questa fu dichiarata incostituzionale, come nel 2011 accadde alla legge che istituiva un legittimo impedimento a comparire in udienza applicabile unicamente al Presidente del Consiglio e ai suoi Ministri. La Consulta salvò solo una parte della legge che venne poi abrogata con referendum popolare.