Dopo le parole del presidente contro la Nfl (“Licenziate chi non canta o protesta”) la risposta dei giocatori nella prima partita utile, quella tra Jacksonville Jaguars e Baltimore Ravens. In ginocchio anche Stevie Wonder durante un concerto a New York. FOTO
La frattura tra il presidente Donald Trump e gli sportivi Usa è sempre più profonda. Dopo le star dell’Nba, anche quelle della Nfl (il football americano) e della Mlb (la lega professionistica del baseball americano) sono scese in campo contro il leader della Casa Bianca. O meglio, si sono inginocchiate durante l’inno –
Durante un comizio, venerdì, Trump se l’è presa con i giocatori della Nfl e ha chiesto di licenziare chi si rifiuta di cantare l'inno americano: “Non cantare l'inno è una totale mancanza di rispetto verso la nostra storia”. Poi ha rincarato la dose su Twitter: “Se i tifosi rifiutassero di andare alle partite finché i nostri giocatori non smettono di offendere la Patria e la bandiera vedreste un rapido cambiamento. Licenziateli o sospendeteli” –
Nella prima partita dopo le dichiarazioni di fuoco del presidente, è arrivata la risposta del mondo del football: da Wembley, a Londra, teatro di una delle sfide che per motivi commerciali vengono disputate in Europa. Prima della partita tra Jacksonville Jaguars (nella foto) e Baltimore Ravens, durante l'inno americano molti giocatori si sono inginocchiati e sono rimasti in silenzio per protesta contro il presidente Usa –
Anche i giocatori che non si sono inginocchiati, al pari di dirigenti, tecnici e patron, hanno messo le mani sulle spalle degli atleti in segno di solidarietà. Appena terminata l'esecuzione di Star Spangled Banner, i giocatori si sono rialzati durante l'esecuzione di God Save the Queen (nella foto, i Baltimore Ravens) –
Sabato sera, a protestare contro Trump era stato anche Bruce Maxwell, star dell'Oakland Athletics: primo giocatore della Major League di baseball a inginocchiarsi durante l'inno nazionale. Il 26enne, afroamericano e figlio di un veterano dell'esercito, si è inginocchiato con la mano sul cuore, mentre un compagno di squadra, Mark Canha, in piedi accanto a lui gli metteva la mano sulla spalla. “Il razzismo nel sud degli Stati Uniti è ancora disgustoso”, ha denunciato Maxwell –
Il ragazzo ha ripetuto un gesto ormai simbolico e ha rispolverato una protesta iniziata un anno fa dalla star del football Colin Kaepernick, ex quarterback dei San Francisco: era stato lui (al centro), nel 2016, il primo a inginocchiarsi durante l’inno nazionale per denunciare il trattamento degli afroamericani da parte della polizia. Un gesto criticato da Trump –
Contro Trump anche le star dell’Nba. Il presidente, infatti, ha annullato l'invito alla Casa Bianca per Stephen Curry. In realtà, il giocatore aveva già annunciato il suo forfait alla visita che la squadra campione dei Warriors di San Francisco si appresta a fare a Pennsylvania Avenue. “Andare alla Casa Bianca è considerato un grande onore e Stephen Curry sta esitando. Perciò l'invito è ritirato! Non pensi poi di presentarsi”, ha scritto Trump. Con Curry si è schierato anche il rivale LeBron James –
Ma la protesta degli sportivi si è allargata anche al mondo dello spettacolo. Su un palco di New York, Stevie Wonder si è inginocchiato durante il concerto a Central Park contro le discriminazioni razziali. “Questa sera mi metto in ginocchio per l'America. Entrambe le ginocchia, in preghiera per il nostro pianeta, il nostro futuro, i nostri leader del mondo”, ha urlato il cantante alla platea sorretto dal figlio Kwame Wonder –
"Grande solidarietà per il nostro inno nazionale e per il nostro Paese. Stare in ginocchio è inaccettabile": così il presidente americano Donald Trump ha replicato su Twitter all'ondata di proteste sui campi di football americano.