Guerra in Ucraina, le piattaforme di social media si attivano contro le fake news

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Raffaele Mastrolonardo

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Facebook, Twitter, YouTube e TikTok provano a limitare la diffusione di contenuti inattendibili o chiaramente frutto di propaganda. E bloccano l’accesso a Russia Today, emittente russa in lingua inglese

Informazione e disinformazione sull'invasione dell’Ucraina da parte della Russia passano anche attraverso i social media (AGGIORNAMENTI LIVE DALLA GUERRA - LO SPECIALE SULLA CRISI). Video, foto, dati, testimonianze di quello che sta accadendo sul campo sono condivisi dagli utenti e ripresi anche dalle testate giornalistiche principali contribuendo così a costruire il complesso racconto mediatico della guerra. 

 

Distinguere ciò che è attendibile da ciò che non lo è diventa allora ancora più importante e complicato del solito. Anche per questo le grandi piattaforme di social media si stanno adoperando per limitare la disinformazione, quando non agiscono direttamente per contenere l’estensione della propaganda russa. A cominciare dal blocco dell’accesso alle pagine Facebook e ai canali YouTube dell'emittente russa in lingua inglese Russia Today e dell’agenzia di stampa Sputnik decisi nelle giornate del 28 febbraio e del primo marzo. 


Ma vediamo le mosse dei colossi dei social media più nel dettaglio.

Facebook e Instagram

Tra i primi a muoversi su questo fronte è stata Meta, la società che controlla Facebook, Instagram e WhatsApp. Innanzitutto attraverso la creazione di un centro operativo speciale che include madrelingua ucraini e russi per monitorare i contenuti e rispondere più rapidamente ad eventuali problemi. Allo stesso tempo la società di Mark Zuckerberg ha fatto sapere di avere intensificato i propri sforzi di verifica delle notizie attraverso partner esterni in lingua ucraina e russa. 

 

Il 27 febbraio, per esempio, Meta ha comunicato di avere smantellato una rete di 40 account e pagine Facebook e Instagram che fingevano di essere collegati a testate giornalistiche basate a Kiev, la capitale dell’Ucraina, e di fornire notizie di prima mano sugli eventi. Secondo quanto riportato da Facebook, il network farebbe capo in realtà a due media situati in Crimea, regione dell’Ucraina che la Russia ha occupato nel 2014, già finiti nel mirino del governo americano per avere diffuso notizie false durante la campagna elettorale per le presidenziali Usa nel 2020. 

 

Non solo propaganda

Operazioni come questa, pur incoraggianti, non risolvono il problema della circolazione di contenuti inattendibili. Anche perché la disinformazione è alimentata non solo dalla propaganda ma anche da motivazioni legate alle dinamiche stesse dei social network commerciali. 


Lo dimostra il caso di una serie di account Instagram che, presentandosi come giornalistici, diffondono video dalla scena della guerra. Tuttavia, come è stato scoperto dal magazine Input, a gestirli non sono giornalisti, e neanche utenti ucraini o russi, ma giovani americani che condividono, senza verificarli, video su un tema di interesse per fare incetta di follower da monetizzare poi in un secondo tempo.

epa10004424 Ukrainian policemen and rescuers inspect debris following shelling in Kharkiv, Ukraine, 09 June 2022 amid the Russian invasion. Russian troops entered Ukrainian territory on 24 February causing fighting and destruction and a humanitarian crisis. According to the UNHCR, more than 6.9 million refugees have fled Ukraine, and a further 7.7 million people have been displaced internally within Ukraine since.  EPA/SERGEY KOZLOV

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Google e YouTube 

In questo contesto Meta ha preso anche decisioni di portata più generale e politica, come proibire la diffusione di post a pagamento da parte degli account dei media di stato russi impedendo loro l’acquisto di inserzioni pubblicitarie e limitando di conseguenza la diffusione dei contenuti pubblicati da questi soggetti. Nella giornata di lunedì 28 febbraio è andata ancora oltre, bloccando l’accesso dall’Europa alle pagine dell’emittente russa in lingua inglese RT.

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Strada analoga è stata intrapresa da Alphabet, la holding che controlla, tra le altre cose, il motore di ricerca Google e la piattaforma video YouTube. A partire dal 26 febbraio scorso RT, network di stato russo, non potrà più monetizzare i propri contenuti, ovvero ricevere soldi dalle inserzioni pubblicitarie sui suoi video o ospitate sul proprio sito. Inoltre i video di RT appariranno meno frequentemente nella lista dei suggerimenti di YouTube con conseguente diminuzione della diffusione. Infine, su richiesta del governo ucraino la testata e altri canali russi non saranno più accessibili dal Paese. Il primo marzo YouTube ha annunciato che il canale dell’emittente non sarà più visibile dall’interno dei confini europei. Stessa sorte per i video dell’agenzia di stampa russa Sputnik.


Nonostante questi sforzi YouTube resta permeabile a operazioni di disinformazione, alcune cominciate prima dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Come il video, analizzato dell'organizzazione investigativa Bellingcat, in cui si denuncia la morte di tre civili a causa di esplosivi piazzati da sabotatori ucraini. Le immagini, rivela l’analisi, presentano numerosi problemi (come l’assenza di targhe dei veicoli e il tipo di taglio sul teschio di uno dei cadaveri) da far pensare che si tratti di una messinscena.

Twitter

Anche Twitter, la cui natura di social network in tempo reale viene esaltata nella copertura di eventi come questo, ha deciso di intervenire con una sospensione delle inserzioni pubblicitarie dalla Russia e dall’Ucraina. L’obiettivo, si legge in un messaggio dell’azienda, è “privilegiare la cruciale informazione sulla sicurezza pubblica ed evitare che le pubblicità creino distrazione". 

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Allo stesso tempo, il social network ha fatto sapere di avere intensificato la propria attività di verifica delle informazioni e di controllo su attività di manipolazione dei contenuti e degli account degli utenti più vulnerabili e in vista. 

 

Per quanti sforzi vengano effettuati, anche per quanto riguarda Twitter, il controllo delle informazioni sulla piattaforma resta complesso. Come dimostra il caso del video che riprenderebbe le imprese di un eroico aviatore ucraino impegnato ad abbattere aerei russi. Smascherato dall’Associated Press, il video è stato in realtà realizzato da un videogioco simulatore di volo. Condiviso - e poi marchiato come inattendibile - sui vari social network, è stato ripreso anche dall’account ufficiale del ministero dela Difesa dell’Ucraina. 

TikTok

Ma non sono solo le grandi piattaforme occidentali a dover fare i conti con contenuti falsi o non attendibili. Anche TikTok, social network cinese, pullula di video non verificati o di incerta attribuzione e localizzazione nello spazio e nel tempo. 

 

Emblematico il caso, raccontato dal sito dell’emittente di stato inglese BBC, di una clip visualizzata oltre 27 milioni di volte che mostra dei paracadutisti russi che ridono e urlano mentre discendono sul suolo Ucraino. Si tratta in realtà di immagini pubblicate su Instagram nel 2015 e caricate su TikTok il giorno dell’invasione dell’Ucraina. Coincidenza che ha spinto molti utenti a pensare erroneamente che i fotogrammi si riferiscano proprio alla guerra in corso. 

 

Le policy della piattaforma cinese per quanto riguarda il controllo dei contenuti non sono molto chiare e, allo stesso tempo, la relativa gioventù dell’app rende difficile capire quanto sia impegnata - e quanto abbia successo - nel combattere le informazioni non verificate. 

 

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