Introduzione
L’offensiva dei ribelli jihadisti in Siria ha raggiunto il suo obiettivo. L’8 dicembre il regime di Bashar al-Assad è caduto, dopo 24 anni. L’ormai ex presidente si è dato alla fuga, colto alla sprovvista: nessuno si aspettava che l’insurrezione, lanciata il 27 novembre, riuscisse a essere portata a termine in così poco tempo.
Adesso si trova a Mosca, dove gli è stato concesso asilo, mentre la capitale Damasco è in mano ai miliziani di stampo islamico - le forze antigovernative guidate da Hts (Hayat Tahrir al-Sham) con a capo Abu Muhammad al Jolani - che parlano dell’inizio di una "nuova era”. La situazione è però lontana dall’essere definita. Sia per il caos interno alla stessa Siria, divisa tra molte fazioni ribelli, sia per il complicato scenario geopolitico in Medio Oriente in cui si inserisce questo nuovo tassello. Cosa succederà adesso?
Quello che devi sapere
Il premier al-Jalali resta al governo
- Per il momento il premier siriano, Muhammad al-Jalali, mantiene il suo incarico alla guida del governo a Damasco. Lo hanno confermato media siriani e fonti delle fazioni armate, smentendo le voci secondo cui Jalali sarebbe stato messo in stato di fermo.
Per approfondire: Siria, cosa rischia Israele con la caduta di Assad? Gli scenari
Verso le elezioni?
- Al premier le milizie ribelli vincitrici hanno riconosciuto un ruolo di garanzia, almeno fino al ricambio ufficiale del potere. In un'intervista con l'emittente Al Arabiya, è stato lui stesso a dire che la Siria dovrebbe adesso tenere "libere elezioni affinché il popolo possa scegliere chi debba guidarli". In foto: festeggiamenti a Damasco per la caduta del regime di al-Assad
Gli scenari secondo gli analisti
- Elezioni a parte, secondo gli analisti sono diverse le strade che si aprono per il futuro della Siria. Sono tre le possibilità che emergono con maggiore frequenza in queste ore: lo scenario "libanese", quello di una transizione ordinata sotto l’egida delle Nazioni Unite oppure lo scenario "libico"
Lo "scenario libanese"
- La prima ipotesi vede la Siria seguire un modello simile al Libano, con un fragile equilibrio tra le comunità religiose ed etniche. In questa prospettiva, le potenze straniere – Stati Uniti, Turchia, Russia e Israele - manterrebbero un'influenza diretta sul Paese attraverso alleati locali, stabilendo una spartizione informale del potere. Lo Stato resterebbe unitario, ma più che altro formalmente: diversi leader locali gestirebbero i propri territori. Sebbene questo scenario sembri garantire una parvenza di stabilità, potrebbe comportare il rischio di una paralisi politica cronica. Come in Libano, le tensioni tra le comunità rischierebbero di esplodere periodicamente, mentre la popolazione continuerebbe a soffrire di servizi pubblici carenti e di una stagnazione economica
La transizione ordinata
- Poi c’è la via della “transizione ordinata”, seguendo la risoluzione Onu 2254 del 2015, strumento normativo che offre una base per lo scenario più auspicabile da parte della comunità internazionale.
- Il percorso prevede un processo complesso da applicare. Diversi i paletti che andrebbero rispettati: mantenimento delle istituzioni dello Stato - distinto dal regime - incluse le forze armate regolari e l'amministrazione civile, e un processo politico supervisionato da attori internazionali. Un comitato costituzionale, rappresentativo di tutte le componenti politiche, etniche e religiose, sarebbe incaricato di redigere una nuova costituzione. Tale processo includerebbe anche i curdi, oggi ai margini nelle regioni nord-orientali controllate dagli Usa. Una volta completata questa fase, nuove elezioni garantirebbero la partecipazione di tutte le forze politiche, dai partiti storici come il Baath ai nuovi movimenti, compresi quelli islamisti radicali
Lo "scenario libico"
- Terza ipotesi: scenario "libico", quello che secondo gli esperti sarebbe il peggiore per la Siria, che rimarrebbe ostaggio di una miriade di milizie diverse, forze straniere e gruppi estremisti, tutti impegnati in una competizione violenta per il controllo delle risorse e del potere. In questo caso mancherebbe uno Stato centrale funzionante. È un'ipotesi che lascerebbe la Siria in un limbo, ma consentirebbe alle potenze esterne di rimanere dominanti nella regione
La questione dei migranti
- C’è anche un’altra questione aperta, quella dei flussi migratori. Molti dei milioni di siriani fuggiti in questi anni dal regime stanno rientrando in Siria, ma l'attenzione è anche a possibili ondate di fedelissimi in uscita dal Paese mediorientale: il nostro ministro della Difesa Guido Crosetto ha già posto l'attenzione sulla rotta balcanica
Gli sfollati
- Dopo quasi 15 anni di guerra civile, la Siria verte in una catastrofica situazione umanitaria. L'Unhcr stima che gli sfollati abbiano ormai raggiunto quota 12 milioni, di cui 7 milioni all'interno del Paese e 5 negli Stati vicini. La Turchia ospita 3 milioni di rifugiati siriani, altri 700mila sono in Libano e 600mila in Giordania
I ribelli jihadisti chiedono ai profughi di tornare in Siria
- I ribelli jihadisti saliti al potere hanno già invitato i profughi a tornare nella nuova Siria “liberata". La loro avanzata tuttavia ha creato forte incertezza e rischi per le ong che operano nel Paese: l'Unhcr, per fare un esempio, ha ridotto il suo staff segnalando che le ostilità hanno causato lo sfollamento di oltre 370mila persone. Anche questo fronte rimane quindi aperto.
Per approfondire: Siria, caduta del regime di Assad: festeggiamenti per le strade di Damasco