Israele-Hamas, il New York Times: ecco come la guerra spinge l'industria delle armi
Secondo l’Istituto Internazionale di Ricerca per la Pace di Stoccolma, l’anno scorso la spesa militare nel mondo ha raggiunto i 2,2 trilioni di dollari, il livello più alto dalla fine della Guerra Fredda. Dal conflitto in Medioriente a quello in Ucraina fino alle tensioni tra Cina e Taiwan: lo scenario internazionale sta accelerando il mercato delle forniture militari e i legami tra i Paesi produttori e quelli che investono risorse ingenti nella Difesa con un occhio sempre più attento alle innovazioni tecnologiche
- Il conflitto tra Israele e Hamas ha dato una spinta ulteriore alla vendita di armi nel mondo. In uno studio il New York Times sottolinea come l'aumento della domanda rafforza da un lato la capacità produttiva dei Paesi esportatori - in primis gli Stati Uniti - e dall'altro i legami geopolitici con gli Stati che decidono di investire sempre più nella Difesa. Il mercato delle armi rischia tuttavia di esacerbare le tensioni che possono sfociare in conflitti regionali e globali
- Nel suo bilancio annuale, l’Istituto Internazionale di Ricerca per la Pace di Stoccolma stima che l'anno scorso la spesa militare a livello globale ha raggiunto i 2,2 triliardi di dollari, il dato più alto dalla fine della Guerra Fredda. A crescere sono soprattutto gli approvvigionamenti militari che nel 2024 dovrebbero toccare i 241 miliardi di dollari, il 23% in più in un biennio
- Uno studio della società Janes conferma il ruolo degli Stati Uniti come principale Paese esportatore di armi nel mondo. Washington controlla il 45% delle forniture a livello globale e la domanda crescente ha stimolato altri Paesi come Turchia e Corea del Sud a investire in questo settore
- Il New York Times prevede che gli Stati Uniti aumenteranno l'assistenza militare annua a Israele che ad oggi è intorno ai 3 miliardi di dollari. Tel Aviv ha chiesto 10 miliardi di aiuti per fronteggiare l'emergenza dopo l'attacco di Hamas senza però specificare se li destinerebbe solo agli approvvigionamenti bellici
- Dai sistemi missilistici a quelli di difesa integrata, dai droni ai carri armati: tra i Paesi Nato che più hanno chiesto armi agli Stati Uniti spicca la Polonia che dall'invasione russa dell'Ucraina sente più vicina la minaccia di Mosca. Varsavia arriva a spendere il 4% del Pil nella Difesa, il doppio rispetto agli standard dell'Alleanza atlantica e per soddisfare il suo fabbisogno in tempi rapidi si è rivolta ad altri Paesi come Corea della Sud e Turchia
- Secondo il quotidiano americano, l'amministrazione Biden punta a capitalizzare diplomaticamente la domanda di armi made in Usa. L'Indonesia ad esempio ha scisso il vecchio contratto con la Russia ed è interessata all'acquisto di caccia F-15 prodotti dalla statunitense Boeing
- In Asia le aspirazioni di Paesi come Cina e Corea del Nord hanno spinto diversi Stati limitrofi ad aumentare la richiesta agli Usa di attrezzature militari avanzate di protezione. Taiwan ad esempio attende ordini per 19 miliardi di dollari ma si sono attivati anche Vietnam, Filippine, Singapore, Corea del Sud, Austrialia e Giappone
- Per Jeff Abramson, sostenitore del controllo degli armamenti presso il Center for International Policy, l’impennata delle vendite si ripercuoterà a lungo dopo la fine delle guerre in Europa e in Medio Oriente con rischi legati alla diffusione. Dal 1950 ad esempio l'Arabia Saudita ha speso 164 miliardi di dollari in armi comprate dagli Usa ma, secondo Abramson, "le armi spesso finiscono nelle mani di coloro che non avevamo previsto"
- In un contesto sempre più fertile per l'industria bellica, la sfida per i produttori di armarmenti è oggi quella di accorciare i tempi di consegna sugli ordini. Raytheon, la divisione militare di RTX Corp, calcola ad esempio che un terzo di tutte le sue vendite di armi sarà destinata a clienti internazionali entro il 2025, in crescita di quasi 10 punti rispetto al 2022
- Se i produttori di armi "sorridono" per i profitti stellari c'è chi lancia l'allarme sugli effetti di un mondo sempre più militarizzato. Per Michael Klar dell’associazione no-profit Arms Control Association, la fornitura di attrezzature belliche alimenta le tensioni nello scacchiere internazionale a partire dalle aree più instabili come i confini tra India e Pakistan o tra Armenia e Azerbaijan. “C’è il rischio che le vendite di armi esacerbino un conflitto regionale e scatenino una guerra tra le grandi potenze”, mette in guardia Klar