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Prigozhin, una leggenda nera. La parabola del leader del gruppo Wagner

Mondo
Federico Leoni

Federico Leoni

Da fedelissimo di Putin a traditore del Cremlino: una lunga parabola che si conclude con un clamoroso voltafaccia e una fine repentina

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"Senza pietà, senza vergogna, senza legge". Le parole con cui il New York Times ha descritto la brigata Wagner probabilmente si adattano bene anche al suo fondatore Evgenij Prigozhin.

Abile e spregiudicato Prigozhin, ma anche sanguigno e istintivo. Ha scritto la sua leggenda nera nel corso dei decenni, ma la parabola finale è stata il frutto di una svolta repentina. 

Lo chef del Presidente

Nato a San Pietroburgo, come Vladimir Putin, Prigozhin si dimostra un abile investitore, complice anche un rapporto disinvolto con la legalità. Fonda ristoranti e aziende di catering, allarga il suo raggio d’azione fino a intercettare quello del Cremlino, si mette al servizio di Putin e guida la fabbrica di troll che interferisce con le elezioni di mezzo mondo, incluse quelle americane. 

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Soldato di ventura

Il suo braccio armato è, appunto, la Wagner, costruita a sua immagine e somiglianza: una banda di mercenari vicinissima al potere ma senza alcuna responsabilità istituzionale. Mosca la finanzia, ma non è inquadrata nell’esercito russo.

"Prigozhin? Un privato cittadino", ha detto una volta Putin: il suo privato cittadino, evidentemente.

Braccio armato

La Wagner ha le mani libere. Libere di agire in Medio Oriente, in Libia, nell'Africa sub-sahariana. Libere di agire nell’interesse di Prigozhin e di Mosca, per lo meno finché le due cose coincidono.
Quando la Russia invade l’Ucraina, la Wagner è in prima linea. Prigozhin in mimetica diventa un’immagine ricorrente, e con il tempo si fanno frequenti anche le sue invettive contro i vertici della Difesa russa, rei – in particolare – di voler mettere il guinzaglio ai mercenari sottoponendoli al controllo del ministero. 

Il duello con Shoigu

"Hanno abbandonato la Wagner sul fronte di Bakhmut", dice Prigozhin.

E ribadisce: "ci lasciano senza munizioni né supporto aereo".

Il 5 maggio 2023, in un cupo video da tragedia shakespeariana, cammina tra i corpi dei soldati uccisi in Ucraina, urlando insulti al ministro della Difesa. Shoigu, dice Prigozhin, lascia che gli uomini della Wagner vengano massacrati.

La resa dei conti

La fine inizia un sabato di giugno, il 24. I paramilitari della Wagner entrano a Rostov sul Don, nel sud della Russia, e da lì cominciano a dirigersi verso Mosca. La chiamano la "marcia per la giustizia", e va avanti senza incontrare resistenza. Per Putin è un’umiliazione subita davanti agli occhi di tutto il mondo. Decisamente troppo.

Alto tradimento

Il presidente si toglie i guanti. "E’ alto tradimento", dice in diretta televisiva, "una pugnalata alla schiena che sarà punita".

La marcia si ferma di colpo com’era iniziata. Merito della mediazione del leader bielorusso Lukashenko, si dice, ma i dettagli dell’accordo sono avvolti dalla foschia che cala su ogni pagina di questo romanzo russo.

Prigozhin è incriminato per insurrezione armata, eppure la Wagner può riprendere normalmente le sue attività. 

Come un fantasma

"Non volevo rovesciare Putin", dirà poi Prigozhin, "solo salvare la Wagner".

Da questo momento, però, la sua stessa presenza comincia a farsi evanescente, come se fosse destinata a dissolversi.

Prigozhin sparisce per giorni, poi riappare a tratti. Il 22 agosto spunta un video che lo ritrae in Africa: "la Wagner è qui per rendere la Russia più grande e l’Africa più libera", dice. È il suo ultimo video. In tutti i sensi, a quanto pare.

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