L’ultimo caso: una studentessa saudita dell'Università di Leeds, che era tornata a casa nel regno del Golfo per una vacanza, è stata condannata a 34 anni di carcere per avere un account Twitter e per aver seguito e ritwittato dissidenti e attivisti
Tanti anni di carcere quanti sono i suoi anni, ovvero 34, e altri 34 di divieto di viaggio all'estero. Una visita a casa dall'epilogo drammatico per Salma al-Shehab, perché la donna saudita è ora accusata di causare disordini pubblici e destabilizzare la sicurezza civile e nazionale. Tutto per aver aver seguito e ritwittato contenuti di dissidenti e attivisti. Non è una cosa nuova per il regno del Golfo, storicamente conosciuto per lo spazio praticamente nullo "concesso" alla libertà d'espressione. Ma com'è la situazione nel resto del mondo?
Alcuni dati a livello mondiale
Partiamo dall'inizio: secondo i dati di We are social nel pianeta gli utenti che hanno accesso a internet a gennaio 2022 sono 4,95 miliardi, ovvero il 62,5% della popolazione mondiale. Un dato che è cresciuto del 4% nell'ultimo anno. Se, però, internet ha aperto le sue porte a 192 milioni di nuovi utenti, questi sono sempre più vincolati. Secondo uno studio di Freedom House la libertà in rete è diminuita per l'undicesimo anno consecutivo. Su 70 stati analizzati, nei 21 evidenziati in rosso la libertà è nulla, nei 31 in giallo è limitata, mentre solo nei 18 in verde è completa.
Alcuni governi stanno imponendo una politica di maggiore censura
Ad essere più "severi" sono molti stati del continente asiatico e di quello africano. In pratica molti di questi hanno introdotto misure legislative o amministrative contro le aziende tecnologiche per quanto riguarda la gestione di dati e contenuti. Ma non solo, perché sono molti gli utenti ad essere stati arrestati o condannati per i contenuti pubblicati online. L'Iran nel 2020 ha giustiziato Ruhollah Zam, amministratore di un popolare canale news di telegram. L'Egitto nel 2021 ha condannato al carcere due influencer per aver condiviso su Tik Tok video che incoraggiavano le donne a intraprendere una carriera sui social media. O ancora più noto il caso di Patrick Zaky. In tutti questi casi le accuse delle autorità sono le stesse: minaccia alla sicurezza nazionale, incitamento alla rivolta o - più semplicemente - terrorismo internazionale. Insomma ci sono più navigatori digitali, ma meno libertà. E questo non perché si stiano facendo passi in avanti rispetto alla normativa digitale sulla privacy, ma perché i governi stanno imponendo una politica di maggiore censura e sorveglianza online. Il potere della rete fa ancora paura.