Scandalo Facebook, mea culpa Zuckerberg: "Responsabili dei contenuti"

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Il numero uno del social network compare davanti a due commissioni congiunte del Senato dopo il caso Cambridge Analytica

"Mi dispiace" per gli abusi effettuati sugli account degli utenti di Facebook. Così Mark Zuckerberg scandisce le sue scuse in apertura dell'audizione alla commissione congiunta Giustizia e Commercio del Senato. E ammette: "La mia responsabilità è creare strumenti ma anche che questi strumenti siano utilizzati per il bene. Sono d'accordo sul fatto che siamo responsabili per i contenuti".

Quasi un 'rito di passaggio' per Zuckerberg: il 33enne fondatore e Ceo di Facebook torchiato da senatori e deputati in una maratona di due giorni al Congresso americano dove è stato chiamato a testimoniare dopo lo scandalo Cambridge Analytica, ma anche dopo quanto emerso sul ruolo dei social media nelle interferenze alle elezioni americane. La 'maratona' parte al Senato. L'11 aprile sarà alla Camera. 

"Non abbiamo fatto abbastanza"

"Non abbiamo fatto abbastanza per impedire che questi strumenti vengano utilizzati in modo dannoso. Non abbiamo affrontato in modo sufficiente le nostre responsabilità ed è stato un grosso errore. È stato un mio errore e mi dispiace", afferma Zuckerberg. "Non basta connettere le persone e dar loro voce: bisogna garantire verità e sicurezza. Facebook è un'azienda idealista e ottimista. Per gran parte della nostra esistenza ci siamo concentrati su tutto il bene che le persone in grado di comunicare possono portare", ha aggiunto.

"Un chiaro errore" con Cambridge Analytica

"È stato chiaramente un errore" credere a Cambridge Analytica quando dissero che avevano smesso di utilizzare impropriamente i dati degli utenti, "non avremmo dovuto fidarci soltanto della loro parola", ha spiegato Zuckerberg rispondendo alle domande dei senatori americani.

Le interferenze sul voto Usa: "Siamo stati lenti"

Il numero uno di Facebook ha anche riconosciuto la lentezza dei responsabili del social network nel riconoscere la minaccia delle interferenze russe nelle elezioni 2016: "Ne sono rammaricato", ha detto. Zuckerberg ha anche riferito che la squadra di Robert Mueller, il procuratore speciale che guida l'inchiesta sul Russiagate, ha sentito dipendenti di Facebook.

Social "strumento potente" ma "non basta"

"Mentre Facebook è cresciuto, le persone di tutto il mondo hanno ottenuto un nuovo potente strumento per rimanere in contatto con le persone che amano, far sentire la propria voce e costruire nuove comunità. Proprio di recente, abbiamo visto il movimento #Metoo e#Marchforourlives, organizzata, almeno in parte, su Facebook". Zuckerberg ha ricordato la solidarieta' e fondi raccolti per le catastrofi naturali: "Dopo l'uragano Harvey, la gente ha raccolto oltre 20 milioni di dollari di aiuti. E oltre 70 milioni di piccole imprese ora usano Facebook per crescere e creare posti di lavoro". Tutto ciò non basta: "Ma è chiaro ora che non abbiamo fatto abbastanza per impedire che questi strumenti vengano usati anche per il danno. Cio' vale per fake news, le interferenze straniere nelle elezioni e discorsi che incitano all'odio, così come per gli sviluppatori e la privacy dei dati. Non abbiamo preso una visione abbastanza ampia della nostra responsabilità, e questo è stato un grosso errore. È stato un mio errore, e mi dispiace. Ho aperto Facebook, lo gestisco e sono responsabile di ciò che accade qui".

Il post su Facebook un'ora prima dell'audizione

L'audizione al Congresso Usa

È il giorno più importante della carriera diMark Zuckerberg e della storia di Facebook. Il co-fondatore testimonia davanti al Congresso Usa dopo l'esplosione del caso “Cambridge Analytica”. Il momento culminante di quello che la stampa Usa ha ribattezzato “The Apology Tour”, il tour delle scuse. Nelle interviste rilasciate nelle ultime settimane e nella sua testimonianza davanti ai parlamentari di Washington Zuckerberg ha ammesso le colpe di Facebook nella gestione dei dati dei propri utenti e si è impegnato a misure più stringenti in fatto di privacy. Ma come si è arrivati fino a questo punto?

Il caso Cambridge Analytica

A marzo le inchieste di New York Times e Guardian rivelano che i dati di milioni di utenti Facebook - 87 milioni spiegherà successivamente il social network, 214 mila quelli italiani (guarda la mappa dei profili tracciati in italia) - sono finiti nelle mani di Cambridge Anlytica, società di analisi e consulenza politica britannica che ha lavorato alla campagna elettorale di Donald Trump nel 2016. I dati erano stati raccolti nel 2013 da un ricercatore dell'università di Cambridge, Aleksandr Kogan, attraverso un test sulla personalità sotto forma di app. L'applicazione è stata installata da circa 300 mila utenti: accettando le condizioni, gli utenti hanno condiviso con il ricercatore anche le informazioni dei propri contatti. Una pratica consentita da Facebook fino al 2014. Kogan ha però ceduto questo patrimonio di dati a Cambridge Anlytica, andando contro i termini di utilizzo del social network che vietavano la condivisione con terzi di informazioni raccolte dagli sviluppatori. Zuckerberg è venuto a conoscenza nel 2015 della violazione e sostiene di avere avuto la rassicurazione formale che quei dati sarebbero stati cancellati. Non è andata così, come hanno rivelato diverse inchieste giornalistiche: quei dati infatti sarebbero stati utilizzati per condizionare, attraverso attività mirate su Facebook, l'orientamento di voto dei cittadini Usa durante le ultime presidenziali.

Russiagate

Un altro tema al centro della deposizione sono le presunte interferenze della Russia sulle elezioni americane che avrebbero portato Donald Trump alla Casa Bianca. Zuckerberg ha impiegato 10 mesi, dal giorno delle elezioni, per ammettere il coinvolgimento di Mosca. L'intelligence russa ha creato profili falsi impersonando cittadini americani e diffondendo fake news: i loro post, tendenzialmente a favore di Donald Trump, sarebbero comparsi sul newsfeed di circa 126 milioni di utenti, pari a quasi metà della popolazione adulta americana. Per condurre questa campagna di disinformazione, l'intelligence russa ha speso in pubblicità, tra Facebook e Instagram, circa 100mila dollari. Gli account finti sono stati chiusi nell'agosto del 2017. 

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