Perché la Catalogna vuole l'indipendenza

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Federica Villa

La bandiera catalana sventola durante le proteste contro l'opposizione di Madrid al referendum sull'indipendenza (Getty Images)

Dopo che al referendum dell’1 ottobre hanno vinto gli indipendentisti, sale la tensione con Madrid. Dalla storia alla sfera economica, passando per divieti e trattative, ecco quello che c’è da sapere sullo scontro in atto nel Paese

Da una parte la difesa dell’ "unità della Spagna", dall’altra la volontà d’indipendenza. I rapporti fra l’autorità centrale di Madrid e il governo della regione di Barcellona (Generalitat de Catalunya) sono sempre più tesi dopo l'esito del referendum per l’autonomia catalana dell'1 ottobre. La consultazione, bocciata dalla Corte costituzionale e dichiarata "illegale" dal premier spagnolo Mariano Rajoy, ha visto vincere il "Sì" degli indipendentisti, con il presidente catalano Carles Puigdemont che ha dichiarato l'indipendenza sospesa nella seduta del 10 ottobre. Ecco quello che c’è da sapere sulla Catalogna e sulle motivazioni che l'hanno spinta a chiedere il diritto di autodeterminazione.

Cos’è la Catalogna?

La Catalogna è una regione nord-orientale della Spagna che conta circa 7 milioni e mezzo di abitanti e che ha come capitale Barcellona. È una delle 17 comunità autonome spagnole ed è governata dalla Generalitat de Catalunya che è composta da un parlamento e un consiglio esecutivo, oltre che da un presidente che, dal 2016, è l'indipendentista Carles Puigdemont. Il parlamento legifera su materie che non entrano in contrasto con la costituzione. La Catalogna, inoltre, ha una sua lingua, il catalano, e una sua forza di polizia, i Mossos d’Esquadra, che coesiste con la Guardia Civil e la Policia Nacional. Manca però un sistema fiscale autonomo, a differenza di quanto avviene per i Paesi Baschi e la Navarra.
L’ autonomia della regione è stata cancellata sotto la dittatura di Francisco Franco che attuò una forte repressione e arrivò anche a vietare l’uso del catalano. Solo con la morte del Caudillo, nel 1975, si è avviata una fase di transizione verso la democrazia e, nel 1979, è stato approvato lo "Statuto catalano", poi modificato nel 2006. Ma i rapporti tra Madrid e Barcellona sono rimasti fragili.

Lo "Statuto catalano" e la costituzione, quale prevale?

Gli indipendentisti chiedono di essere considerati come una vera e propria nazione e, nel marzo del 2006, a questo proposito è stata adottata una nuova versione dello "Statuto catalano", con l'approvazione dell'allora premier José Luis Rodriguez Zapatero, in cui si rafforzava la Comunità Autonoma. Nel testo si definiva la Catalogna come "una nazione" all’interno dello Stato spagnolo e si stabiliva inoltre "il diritto e il dovere" dei cittadini catalani di conoscere e parlare il catalano e il castigliano (la lingua ufficiale della Spagna). Ma nel luglio dello stesso anno, il Partito Popolare di Mariano Rajoy, all’epoca all’opposizione, aveva presentato un ricorso davanti alla Corte Costituzionale che, quattro anni dopo, nel giugno del 2010, aveva annullato una parte dello statuto catalano, cioè quella che stabiliva il riferimento alla Catalogna come "nazione", perché non aveva "nessun valore giuridico". La motivazione per l’annullamento di una parte dello statuto sta nel fatto che la Costituzione post-franchista del 1978, che trasformò il Paese in una monarchia parlamentare, "non riconosce altro che la nazione spagnola" ed è stata pensata per una Spagna "indissolubile". I principi sanciti costituzionalmente sono quindi superiori a qualsiasi decisione presa da un parlamento autonomo.

Ci sono stati altri referendum per l’indipendenza?

Dopo le restrizioni decise dalla Corte costituzionale sullo "Statuto catalano", i rapporti tra Barcellona e Madrid si sono complicati: tra il 2011 e il 2012 si sono tenute grandi manifestazioni per l’indipendenza e l’allora presidente della Catalogna, Artur Mas, aveva promesso un referendum sull’autodeterminazione. La consultazione simbolica si è tenuta il 9 novembre del 2014 ma non è stata riconosciuta dal governo di Madrid e dalla Corte Costituzionale che l’hanno giudicata illegittima. Al referendum ha vinto il "sì" all’indipendenza, con oltre l'80% dei voti, ma gli aventi diritto che si sono espressi non sono andati oltre il 35%.

Come si è arrivati al referendum dell’1 ottobre?

Nel novembre dell’anno successivo al primo referendum, la camera catalana ha avviato il provvedimento che prevedeva il processo di creazione di uno "Stato indipendente in forma di repubblica" nella regione. L’obiettivo era raggiungere questo risultato entro il 2017, ma Madrid si era opposta e la risoluzione era stata annullata dalla Corte costituzionale. Proprio nel giugno del 2017, il presidente catalano Puigdemont ha comunque indetto un nuovo referendum per l'1 ottobre che è stato appoggiato da 700 sindaci catalani - poi indagati dalla procura dello Stato spagnolo - su 948. Ancora una volta, il governo centrale si è opposto, ma il parlamento catalano, in risposta, ha approvato la "legge di rottura" con cui sanciva il passaggio della Catalogna verso l’indipendenza in caso di vittoria del "sì". La Corte suprema ha però sospeso anche questa legge. Il voto si è tenuto comunque, nonostante l'intervento della polizia spagnola, gli scontri con i manifestanti e l'irruzione della Guardia Civil in alcuni seggi per impedire le votazioni.

Quanto conta la questione economica?

Uno dei motivi per cui la Catalogna chiede l’indipendenza è anche quello economico. L’area catalana è quella dove, in Spagna, si concentra il maggior numero di imprese (oltre 600mila) e dove si registra il maggior numero di occupati. Inoltre, a incidere su tutto il Paese, è il Pil di Barcellona e dintorni che nel 2016 è cresciuto del 3,5%, cioè tre decimi in più di quello spagnolo. Così, il peso della regione sul sistema del Paese è alto, perché produce circa il 19% del Pil nazionale. Per fare un esempio, già il prodotto interno lordo del 2015 della sola Catalogna era simile a quello dell’intera Finlandia, come dice un report dello stesso governo catalano. Barcellona, su questo fronte, ha sempre chiesto al governo centrale di avere più autonomia fiscale ma senza trovare un accordo e dovendo versare tasse a Madrid. E, proprio sulla questione economica, la Spagna sta tentando une mediazione con i catalani. Il ministro dell’Economia spagnolo, Luis de Guindos, in un’intervista al Financial Times ha detto che "la Catalogna ha già una grande autonomia, ma potremmo parlare di una riforma del sistema di finanziamento e di altre questioni", a patto che Barcellona decida di abbandonare "i piani d’indipendenza". Il ministro ha anche ricordato che l’abbandono del Paese da parte della Catalogna sarebbe un "suicidio economico e finanziario" per la regione. E, dopo il voto, le prime conseguenze della rottura si sono registrate proprio nell'economia: i timori legati alla vittoria del "Sì" hanno convinto molte aziende e società a lasciare il territorio catalano. La “fuga”, però, è stata agevolata anche dal governo spagnolo. Madrid ha approvato un decreto che favorisce lo spostamento delle imprese. Alcuni colossi hanno già annunciato il loro trasferimento, mentre il Fondo monetario internazionale ha lanciato un allarme per le possibili conseguenze economiche della crisi.

Cosa succede dopo la vittoria del "Sì"?

Il "Sì" dei catalani all’indipendenza, per Barcellona, ha voluto dire avviare - da subito - la procedura per dire addio alla Spagna, in uno scontro aperto con Madrid. Mentre un "no" avrebbe portato a nuove elezioni perché il parlamento catalano si sarebbe sciolto. Secondo quanto sostengono i parlamentari, il presidente della Generalitat confermerà la validità del referendum. Il 10 ottobre, inoltre, Puigdemont indicherà il cammino che intende seguire il suo governo per raggiungere l'indipendenza. 
Sul fronte europeo, invece, gli indipendentisti vorrebbero rimanere nell’Unione, ma diventando indipendente la Catalogna sarebbe considerata come un nuovo Stato e dovrebbe quindi avviare le trattative con Bruxelles per entrare a far parte dell’Ue. Ma l'esecutivo comunitario ha fatto sapere, in una nota, che "secondo la Costituzione spagnola, il voto in Catalogna non era legale". Secondo la Commissione, "come ha ripetuto il Presidente Juncker, si tratta di una questione interna per la Spagna, che deve essere affrontata in linea con l'ordine costituzionale del Paese".

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