Cinque soldati transgender fanno causa a Trump e al Pentagono
MondoL’azione legale, presentata sotto lo pseudonimo “Jane Doe”, segue il divieto annunciato dal presidente su twitter il 26 luglio scorso
Cinque soldati transgender hanno fatto causa al presidente Trump e ai funzionari del Pentagono per chiedere che i transessuali siano ammessi nell’esercito americano. L’azione legale segue il "bando" annunciato il 26 luglio dal presidente degli Stati Uniti sui social network, che vorrebbe vietare loro l’ingresso nelle forze armate.
La denuncia
La denuncia è stata depositata presso un tribunale federale di Washington, e tra i convenuti c'è anche il segretario alla Difesa James Mattis. I promotori dell’azione legale hanno scelto di usare lo pseudonimo "Jane Doe", e sono sostenuti da due gruppi di attivisti: il National Center for Lesbian Rights e GLBTQ Legal Advocates & Defenders. Nei documenti c'è scritto che migliaia di militari transessuali hanno trovato il coraggio di dichiararsi, poiché avevano la possibilità di far parte dell'esercito. Ma alla luce delle dichiarazioni di Trump, si trovano di fronte a un futuro incerto. Alcuni di loro sono in servizio da oltre 20 anni e hanno combattuto in teatri di guerra come l'Iraq e l'Afghanistan. "Il cattivo trattamento da parte del presidente di queste truppe servirà solo a indebolire e demoralizzare le nostre forze armate", ha detto Shannon Minter del National Center for Lesbian Rights (Nclr), uno dei gruppi che ha organizzato la causa. Secondo il New York Times, altri gruppi in difesa dei diritti Lgbt attenderanno l’entrata in vigore del divieto prima di proporre azioni legali.
Il divieto
A scatenare la reazione dei soldati, un tweet postato da Donald Trump il 26 luglio: "Il governo americano non accetta o consente che le persone transgender servano nell'esercito americano in qualsiasi funzione. Il nostro esercito dovrebbe concentrarsi su vittorie decisive e travolgenti e non può sostenere il peso dei tremendi costi medici e del disordine che avere transgender nell'esercito comporterebbe", scriveva il presidente. Immediate le proteste in piazza e sui social, a cui era seguita la replica di Joseph Dunford, capo degli Stati maggiori congiunti: "Non ci saranno modifiche alla policy attuale finché l'orientamento del presidente non sarà ricevuto dal segretario della Difesa, e finché il segretario non diffonderà una guida sulla applicazione".