Obama 2.0, ma fino a un certo punto
MondoIl bilancio tecnologico del presidente degli Stati Uniti non è tutto rose e fiori: in mezzo a tante iniziative pro-web (per esempio l’abbattimento del digital divide) ha infatti lanciato anche proposte controverse, come il pulsante “spegni Internet”
Barack Obama, l'album fotografico
di Nicola Bruno
Aveva promesso più trasparenza e banda larga per tutti. Per dare al paese il segno di un “Change” aveva puntato tutto sul web 2.0 e la partecipazione. Ma a tre anni dal suo insediamento alla Casa Bianca (e alla vigilia della nuova campagna per le presidenziali 2012), il bilancio tecnologico di Barack Obama non è tutto rose e fiori. Certo, il primo presidente 2.0 degli Stati Uniti si è battuto per la net-neutrality, il cloud computing e l’abbattimento del digital divide nelle aree più remote del paese. Insieme a Hillary Clinton ha promosso la rete come arma di esportazione della democrazia nei regimi autoritari. Ha spinto sull’open-government e per una comunicazione più disintermediata con i propri elettori.
Allo stesso tempo, però, si è fatto anche portavoce di posizioni piuttosto conservatrici sulle nuove tecnologie: dal pulsante spegni internet all’identificativo unico per i navigatori, passando per l’aperta ostilità nei confronti di WikiLeaks e la più ambigua posizione verso i colossi hi-tech che esportano tecnologie di controllo nel terzo mondo.
Insomma, come dice l’esperto di comunicazione politica Micah L. Sifry: “Mentre una parte dell'amministrazione Obama cerca di stimolare apertura, trasparenza e partecipazione, un'altra si sta rivelando uguale se non peggiore della precedente”. Ecco quali sono i punti più controversi del rapporto tra Obama e la tecnologia.
CENSURA E CONTROLLO - Con due famosi discorsi di Hillary Clinton, l’amministrazione Obama si è schierata apertamente a favore delle nuove tecnologie come strumento per promuovere la libertà di espressione e i diritti umani nel mondo. Il piano - che è stato subito ribattezzato “il nuovo corso della diplomazia 2.0 statunitense” - prevede anche il finanziamento da parte del Dipartimento di Stato di progetti aggira-censura (il che ha provocato non pochi malumori tra gli attivisti arabi che temono una nuova ondata di “colonialismo tecnologico”). Contemporaneamente, però, tra le fila democratiche sono stati presentati anche controversi progetti di legge: da quello che permette all’FBI di accedere più facilmente ai dati personali degli utenti, fino al cosiddetto “kill switch”, il pulsante “spegni Internet” che darebbe ad Obama il potere di oscurare la rete in caso di emergenza nazionale. Una prerogativa che fino ad ora è stata utilizzata proprio da quei cyber-dittatori contro cui Washington intende battersi (Egitto, Libia). Lo stesso vale per il sistema di identificazione unico online da lui promosso per gli acquisti online: secondo alcuni detrattori va più nella direzione del controllo sociale che non della sicurezza.
OPEN GOVERNMENT, SENZA WIKILEAKS - Apertura e trasparenza amministrativa sono stati da sempre i due cavalli di battaglia di Obama. Che appena si è insediato alla Casa Bianca si è dato un gran da fare per promuovere siti come data.gov in cui è possibile visualizzare e manipolare migliaia di dati sulla macchina statale. Obama si è poi apertamente schierato contro il “Freedom of Information Act” di George Bush che, tra le altre cose, autorizzava le agenzie federali a classificare la maggior parte dei documenti interni come “riservati”.
In uno dei primi atti ufficiali del suo mandato, Obama ha ordinato di ribaltare questa dottrina (“L’apertura deve sempre prevalere”), facendo intendere che il mantra dell’ “open-government” non era solo retorica elettorale. Ma secondo alcuni studi recenti questa presa di posizione non ha dato i frutti sperati: negli ultimi tre anni c’è stato addirittura un aumento del 20% dei documenti riservati.
Il tutto proprio mentre scoppiava il caso WikiLeaks di fronte al quale l’amministrazione Obama si è messa subito sulla difensiva: “I governi non possono fare tutto alla luce del sole. La riservatezza è fondamentale per condurre operazioni che non si possono fare in pubblico”, è stata la reazione di Hillary Clinton. Critiche a fiumi sono poi arrivate per l’atteggiamento “punitivo” nei confronti di Bradley Manning. La “talpa” di Julian Assange è detenuto da quasi un anno senza che ancora si sia celebrato un processo (la prima udienza è prevista nel mese di maggio) e proprio per questo Obama è stato pubblicamente contestato durante la recente visita a Facebook.
SOCIAL MEDIA SI, MASHUP NO - Sull’utilizzo sapiente dei social media durante la campagna elettorale del 2008, ormai esiste ormai un’ampia letteratura. Per quanto una volta arrivato allo studio Ovale non abbia continuato a twittare con la stessa scioltezza, non si può negare che lo staff di Obama abbia compiuto un salto generazionale in quanto a modalità di comunicazione: dai videomessaggi
e le domande e risposte su YouTube, passando per le dirette su Facebook, fino ad al profilo ufficiale aperto su Flickr dove ogni giorno vengono condivise le foto delle sue attività istituzionali. E i risultati in termini di popolarità non si sono fatti attendere: la foto di Obama nella Situation Room in occasione dell’uccisione di Osama bin Laden si candida a diventare una delle più viste in assoluto su Flickr.
Ma chi di social media ferisce, spesso di social media può perire. A pochi mesi dal suo insediamento, Obama è diventato vittima di una vasta operazione di “politics busting” in cui veniva presentato ora come “socialista” ora come “Joker”. Altre volte, poi, queste immagini sono state utilizzate per pubblicità non autorizzate, in cui lui e la moglie Michelle si sono ritrovati ad essere testimonial involontari di campagne sociali o di marchi di abbigliamento. Per evitare manipolazioni poco gradite, lo staff di Obama ha così pensato di vietare i mashup sulle foto presidenziali. Una mossa di certo poco 2.0. Così come poco innovativo è fino ad ora risultato il suo debutto online per la campagna del 2012.
I GADGET FANNO MALE, ANZI NO – Infine, da utente incallito di BlackBerry, Barack Obama, una volta diventato presidente, ha fatto presto a ricredersi sulle potenzialità dei gadget elettronici: “Con gli iPod e gli iPad, le Xbox e le PlayStation – nessuno dei quali so usare – l'informazione diventa una distrazione, un'evasione, una forma di intrattenimento invece che uno strumento abilitante, piuttosto che un mezzo di emancipazione”, ha dichiarato lo scorso anno lasciando di stucco quanti pensavano che finalmente alla Casa Bianca fosse sbarcato un Presidente 2.0 e che, invece, certe volte finisce per assomigliare a primi ministri molto meno “geek” di lui.
di Nicola Bruno
Aveva promesso più trasparenza e banda larga per tutti. Per dare al paese il segno di un “Change” aveva puntato tutto sul web 2.0 e la partecipazione. Ma a tre anni dal suo insediamento alla Casa Bianca (e alla vigilia della nuova campagna per le presidenziali 2012), il bilancio tecnologico di Barack Obama non è tutto rose e fiori. Certo, il primo presidente 2.0 degli Stati Uniti si è battuto per la net-neutrality, il cloud computing e l’abbattimento del digital divide nelle aree più remote del paese. Insieme a Hillary Clinton ha promosso la rete come arma di esportazione della democrazia nei regimi autoritari. Ha spinto sull’open-government e per una comunicazione più disintermediata con i propri elettori.
Allo stesso tempo, però, si è fatto anche portavoce di posizioni piuttosto conservatrici sulle nuove tecnologie: dal pulsante spegni internet all’identificativo unico per i navigatori, passando per l’aperta ostilità nei confronti di WikiLeaks e la più ambigua posizione verso i colossi hi-tech che esportano tecnologie di controllo nel terzo mondo.
Insomma, come dice l’esperto di comunicazione politica Micah L. Sifry: “Mentre una parte dell'amministrazione Obama cerca di stimolare apertura, trasparenza e partecipazione, un'altra si sta rivelando uguale se non peggiore della precedente”. Ecco quali sono i punti più controversi del rapporto tra Obama e la tecnologia.
CENSURA E CONTROLLO - Con due famosi discorsi di Hillary Clinton, l’amministrazione Obama si è schierata apertamente a favore delle nuove tecnologie come strumento per promuovere la libertà di espressione e i diritti umani nel mondo. Il piano - che è stato subito ribattezzato “il nuovo corso della diplomazia 2.0 statunitense” - prevede anche il finanziamento da parte del Dipartimento di Stato di progetti aggira-censura (il che ha provocato non pochi malumori tra gli attivisti arabi che temono una nuova ondata di “colonialismo tecnologico”). Contemporaneamente, però, tra le fila democratiche sono stati presentati anche controversi progetti di legge: da quello che permette all’FBI di accedere più facilmente ai dati personali degli utenti, fino al cosiddetto “kill switch”, il pulsante “spegni Internet” che darebbe ad Obama il potere di oscurare la rete in caso di emergenza nazionale. Una prerogativa che fino ad ora è stata utilizzata proprio da quei cyber-dittatori contro cui Washington intende battersi (Egitto, Libia). Lo stesso vale per il sistema di identificazione unico online da lui promosso per gli acquisti online: secondo alcuni detrattori va più nella direzione del controllo sociale che non della sicurezza.
OPEN GOVERNMENT, SENZA WIKILEAKS - Apertura e trasparenza amministrativa sono stati da sempre i due cavalli di battaglia di Obama. Che appena si è insediato alla Casa Bianca si è dato un gran da fare per promuovere siti come data.gov in cui è possibile visualizzare e manipolare migliaia di dati sulla macchina statale. Obama si è poi apertamente schierato contro il “Freedom of Information Act” di George Bush che, tra le altre cose, autorizzava le agenzie federali a classificare la maggior parte dei documenti interni come “riservati”.
In uno dei primi atti ufficiali del suo mandato, Obama ha ordinato di ribaltare questa dottrina (“L’apertura deve sempre prevalere”), facendo intendere che il mantra dell’ “open-government” non era solo retorica elettorale. Ma secondo alcuni studi recenti questa presa di posizione non ha dato i frutti sperati: negli ultimi tre anni c’è stato addirittura un aumento del 20% dei documenti riservati.
Il tutto proprio mentre scoppiava il caso WikiLeaks di fronte al quale l’amministrazione Obama si è messa subito sulla difensiva: “I governi non possono fare tutto alla luce del sole. La riservatezza è fondamentale per condurre operazioni che non si possono fare in pubblico”, è stata la reazione di Hillary Clinton. Critiche a fiumi sono poi arrivate per l’atteggiamento “punitivo” nei confronti di Bradley Manning. La “talpa” di Julian Assange è detenuto da quasi un anno senza che ancora si sia celebrato un processo (la prima udienza è prevista nel mese di maggio) e proprio per questo Obama è stato pubblicamente contestato durante la recente visita a Facebook.
SOCIAL MEDIA SI, MASHUP NO - Sull’utilizzo sapiente dei social media durante la campagna elettorale del 2008, ormai esiste ormai un’ampia letteratura. Per quanto una volta arrivato allo studio Ovale non abbia continuato a twittare con la stessa scioltezza, non si può negare che lo staff di Obama abbia compiuto un salto generazionale in quanto a modalità di comunicazione: dai videomessaggi
e le domande e risposte su YouTube, passando per le dirette su Facebook, fino ad al profilo ufficiale aperto su Flickr dove ogni giorno vengono condivise le foto delle sue attività istituzionali. E i risultati in termini di popolarità non si sono fatti attendere: la foto di Obama nella Situation Room in occasione dell’uccisione di Osama bin Laden si candida a diventare una delle più viste in assoluto su Flickr.
Ma chi di social media ferisce, spesso di social media può perire. A pochi mesi dal suo insediamento, Obama è diventato vittima di una vasta operazione di “politics busting” in cui veniva presentato ora come “socialista” ora come “Joker”. Altre volte, poi, queste immagini sono state utilizzate per pubblicità non autorizzate, in cui lui e la moglie Michelle si sono ritrovati ad essere testimonial involontari di campagne sociali o di marchi di abbigliamento. Per evitare manipolazioni poco gradite, lo staff di Obama ha così pensato di vietare i mashup sulle foto presidenziali. Una mossa di certo poco 2.0. Così come poco innovativo è fino ad ora risultato il suo debutto online per la campagna del 2012.
I GADGET FANNO MALE, ANZI NO – Infine, da utente incallito di BlackBerry, Barack Obama, una volta diventato presidente, ha fatto presto a ricredersi sulle potenzialità dei gadget elettronici: “Con gli iPod e gli iPad, le Xbox e le PlayStation – nessuno dei quali so usare – l'informazione diventa una distrazione, un'evasione, una forma di intrattenimento invece che uno strumento abilitante, piuttosto che un mezzo di emancipazione”, ha dichiarato lo scorso anno lasciando di stucco quanti pensavano che finalmente alla Casa Bianca fosse sbarcato un Presidente 2.0 e che, invece, certe volte finisce per assomigliare a primi ministri molto meno “geek” di lui.