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Il Cane Grinta, Roberto Recchioni e una nuova voglia di divertirsi

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Gabriele Lippi

Un libro a fumetti comico e personale, nato da un'esigenza privata e diventato sui social un qualcosa di pubblico. Così l'autore racconta la sua ultima opera pubblicata da Edizioni BD

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Un cane e il suo padrone. E i due gatti con cui dividono l'appartamento. Non sono molti i personaggi de Il Cane Grinta, l'ultimo libro a fumetti di Roberto Recchioni, pubblicato da Edizioni BD. Una raccolta di storie che nasce su Instagram, quasi per caso, e che piano piano diventa qualcosa di più. Protagonista assoluto è Grinta, il cane anziano che Recchioni ha adottato al canile e che con ogni suo comportamento ostenta fierissimo l'ossimoro nascosto nel suo nome. E che l'autore racconta provando a entrare nella sua testa, a leggere le sue paure, a interpretarle. Strappando tanti sorrisi e forse pure qualche sincera lacrimuccia di commozione. 

Un lavoro diverso dal solito.
Sì, io di solito faccio fumetti di genere, dell’orrore o d’azione, ogni tanto mi permetto qualche digressione sul politico e il sociale, e i romanzi fantasy da autore unico. Il genere comico l’ho sempre affrontato sporadicamente con delle vignette postate sui social per puro divertimento.

E tutto nasce da un’esigenza particolare.
Mi sono trovato reduce da un brutto incidente in moto, travolto da un pirata della strada che mi ha distrutto una gamba, non sapevo se sarei tornato a camminare perché le prospettive iniziali andavano dall’amputazione all’immobilità, e bloccato sul divano per tantissimi mesi ho scoperto che mi mancava una cosa che di solito invece mi rompeva, cioè portare a spasso il mio cane. Ho fatto una prima striscia in cui mi immaginavo me e Grinta, che è un cane vecchissimo e quindi avevo pure l’ansia che non sarei davvero più riuscito a portarlo a spasso, che andavamo al parco. Una prima striscia comica postata sui social che ha avuto un forte impatto tanto da spingermi a farne un’altra.

E poi altre ancora.
Sì, sono andato avanti così per 8 mesi, alla fine era chiaro che c’era un libro che non mi aspettavo, le offerte degli editori intanto erano arrivate e io ho scelto di pubblicare con Marco (Schiavone, l’editore e Ceo di Edizioni BD e J-POP, ndr) con cui c’è una grande amicizia perché mi aveva pubblicato quando ero ancora molto giovane, un esordiente quasi, ed è nato questo libro dal formato molto strano, un quadrotto, più leggero del solito, con qualche momento d’emozione e spero molte risate.

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E ne avete fatto anche un’edizione speciale.
Sì, buffa, con una scatola che abbiamo progettato insieme, con le istruzioni di montaggio come quelle dell’Ikea per trasformarlo in una cuccia. Dentro c’è il sacchettino, la targhetta, gli adesivi e la litografia. Un gioco che coincide anche con un mio momento personale in cui ho deciso di lasciarmi indietro tutta una serie di cose che avevano caratterizzato i primi 27 anni di carriera, anche perché quando arrivi a 27 anni, come ti insegnano Francesco Totti e Valentino Rossi, a un certo punto devi guardarti intorno e pensare di fare qualcos’altro.

Come hai coniugato la dimensione personale di queste storie con quello che è poi diventato un prodotto per il pubblico?
In realtà, avendole pubblicate inizialmente sui social, le ho sempre scritte solo per me. Poi al pubblico sono piaciute, anche perché qualsiasi possessore dei cani riconosce quei comportamenti. Io non sono un autore che si vergogna a dire di aver pensato qualcosa per il mercato, a me piace raggiungere il mercato, ma nel caso di Grinta non è successo. L’ho scritto come mi veniva e disegnato come mi veniva.

Grinta è un cane anziano che hai preso da grande, che esperienza è stata?
Aveva tre anni e me lo avevano sconsigliato perché tre precedenti persone che lo avevano preso lo avevano poi riportato indietro, perché è un cane problematico. Poi però, quando ti ritrovi a pulire un bagno senza spiegarti come abbia potuto ridurlo così e lui ti guarda con quegli occhioni, scopri che cosa è il vero amore.

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Perché lo hai chiamato Grinta?
Era motivazionale. Ho pensato: sei così spaventato che ti do un bel nome alla John Wayne per farti coraggio. Non ha funzionato ed è rimasto questo contrasto comico tra il nome e il suo modo di essere.

Si dice che i cani assomiglino ai loro padroni.
Ecco, no, voglio segnalare che proprio no. Quando me lo dicono, rispondo: ma che mi vuoi insultare? Io assomiglio molto più ai miei gatti.

Ecco, allora, come è la convivenza tra Grinta e i gatti?
Va bene anche perché Grinta è un cane che ha paura di tutto e ha preso un ruolo un po’ sussidiario nel contesto. Poi i gatti sono strani, uno è il gatto più brutto del mondo, si chiama Rocky Horror proprio per questo, l’altro è un siamese dominatore che dà gli ordini, sembra Don Vito Corleone.

Quindi tu sei più gatto che cane.
Senza dubbio, da quando ho 5 anni non ho mai passato un giorno della mia vita senza avere almeno un gatto in casa, negli ultimi 20 anni ho avuto anche un cane. Senza gatto non potrei vivere mentre riesco a immaginare di poter stare senza cane, però alla fine li amo entrambi.

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Raccontando di Grinta hai raccontato anche di te, ti sei aperto.
Io e la mia compagna appariamo spesso nelle strisce, appare anche mia madre che è morta qualche anno fa e amava molto Grinta e il cane precedente; poi c’è il racconto dell’incidente. Andando a braccio, costruendo l’opera a poco a poco, quando mi sono accorto che era un libro ho capito che intanto serviva una chiusa e poi che era il racconto di un ritorno a una condizione più umana rispetto a quella che avevo precedentemente, dell’accettazione delle fragilità mia e del cane, trovarsi rispecchiato in quelle fragilità e raccontare qualcosa di lontanissimo da quel soprannome che mi hanno appiccicato addosso una ventina di anni fa e che ancora non riesco a schiodarmi di dosso, la rockstar del fumetto, e che invece fosse quella di una persona che vive una quotidianità normale e che ci sta benissimo.

Non ti chiedo se ci sarà un seguito del Cane Grinta, ti chiedo invece se hai già pensato di fare un libro sui tuoi gatti.
Sì, voglio fare una serie di arti marziali coi gatti che si dovrebbe chiamare Gattanza e dovrà seguire tutti gli stilemi dei classici battle shonen giapponesi, quindi di fumetti come Dragon Ball, come One Piece. Raccontando Grinta ho raccontato anche i gatti, e ho scoperto che disegnare i gatti che combattono mi diverte moltissimo. In questa fase della mia vita ho voglia di fare fumetti che mi divertono.

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Parliamo di Dylan Dog, cosa ci aspetta?
Andiamo verso un anno tutto sommato tranquillo dopo tanti sconvolgimenti, andiamo nel periodo di restaurazione. Per ora le cose andranno avanti così per un po’.

Altri progetti?
Sto lavorando molto nel cinema, sono nella fase in cui vendo idee che poi non diventano film ma se ne vendono sempre più spesso a giocatori sempre più grandi. E sto facendo un gioco di ruolo che uscirà il prossimo anno per Need Games che si chiama Campfire, un altro passion project come Grinta, erano tanti anni che volevo fare un mio sistema. Poi faccio cose, vedo gente… a dicembre vado in Friuli a girare un altro corto dopo Dolente Bellezza. Un sacco di cose, con molta più calma e meno tensione di prima. Come dico sempre, sto in semi-pensionamento.

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