L'Orda, Leila Leiz: "Ero terrorizzata dal mio primo fumetto horror"

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Gabriele Lippi

Un fumetto tra ossessioni e paure, con una protagonista indipendente e una antagonista decisamente sui generis. La disegnatrice francese Leila Leiz racconta L'Orda, un'opera che dà forma ai mostri della nostra mente

Benvenuti nel terrificante mondo di Mia, dove sentimenti e persone diventano oggetti e dove gli oggetti diventano sentimenti e persone. L’Orda è un fumetto horror con un titolo che evoca quello di un piccolo gioiello del cinema di genere francese. Ma stavolta non si parla di zombi, non di zombi con fattezze umane, perlomeno. A prendere vita in modo spaventoso sono telefoni, vasi, strumenti musicali. Tutti gli oggetti messi insieme da Mia, accumulatrice seriale con un evidente problema di collezionismo compulsivo, madre degenere che ama più le proprie memorabilia di una figlia abbandonata e cresciuta da un padre invece pieno di amore per lei. La storia scritta da Marguerite Bennet (Edizioni BD, 80 pagine, 14 euro) è una piccola bottega degli orrori che prende forma dalla matita di una ispiratissima Leila Leiz. Ed è la disegnatrice, reduce da una prima volta impegnativa a Lucca Comics & Games (“c’era davvero troppa gente per me”) a raccontare a Sky TG24 genesi e significati (anche quelli personali) dell’opera.

L'Orda
Edizioni BD

Che cosa è l’Orda?
È l’insieme di tutte le cose che vengono messe via dagli accumulatori compulsivi. Quello che mi è molto piaciuto, quando ho ricevuto la storia, è che mi ci sono ritrovata. Anche io sono stata un po’ così coi libri, ogni volta che ne vedevo uno dovevo comprarlo, non avevo più spazio a casa. Alla fine ho dovuto liberarmi di molti di loro.

È stato difficile?
Ho dovuto capire qual era l’origine di questo mio bisogno, l’ho trovata nella mia infanzia, così sono riuscita a razionalizzare. Mi sono tenuta solo quelli che mi piacciono di più.

Quale è stato l’aspetto più complicato del lavoro sui disegni?
Creare oggetti che prendevano forma con uno stile che fosse un po’ realistico. Avevo paura di non avere abbastanza immaginazione per creare quei personaggi. Sono stata un po’ terrorizzata di non riuscire a fare qualcosa di vivo e spaventoso, che creasse l’angoscia della paura. Era il mio primo horror e per prepararmi ho guardato molti film in bianco e nero perché io non sono abituata a lavorare in bianco e nero, ho fatto molta ricerca.

Leggendo L’Orda, la mia mente è più volte tornata a Gaiman. C’è una qualche ispirazione all’immaginario di Sandman?
Quando comincio una storia mi proibisco di guardare libri degli altri disegnatori, mi ispiro più a film, ma direi che il subconscio fa sempre il suo lavoro. Può essere che qualche influenza venga da altri libri che ho letto ma non lo faccio in maniera intenzionale. La cosa strana è che ogni volta che disegno qualcosa di Gaiman, mi dicono che dovrei lavorare con lui, che gli piacerebbe vedermi all’opera su una sua storia. E quando lavoro sulle commission, mi chiedono molto di disegnare i suoi personaggi.

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Sono tavole piene, pienissime di oggetti e dettagli. Ti sei divertita?
Sì. Mi piacciono molto i dettagli e mi è piaciuto dover trovare diversi oggetti legati al personaggio di Mia, della sua epoca, del suo stile, oggetti degli anni 80 e 70.

La tua tavola preferita?

La pagina doppia dove si scoprono tutti i personaggi, quella in cui si svegliano gli oggetti. E anche la doppia in cui Mia è circondata dalle fiamme e alle sue spalle, sul muro, si vedono proiettate le ombre mostruose dei suoi oggetti che hanno preso vita. Poi quella del labirinto. A Marguerite piacciono molto le doppie pagine e io sono felicissima di poterle disegnare.

E il personaggio a cui ti sei legata di più?
Ruby, sicuramente. Abbiamo tante cose in comune: entrambe veniamo da una coppia di genitori mista, anche io ho perso mio padre ed ero molto legata a lui. Mi ci sono trovata molto.

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M.O.M.Alters ora L’Orda. Hai disegnato tanti personaggi femminili forti. Ti ritrovi un po’ in loro?

Sì sì, quando disegno faccio delle espressioni e mi guardo allo specchio per provare a entrare un po’ nel personaggio, mi piace che sia vivo. Se non cerco l’ispirazione in me la cerco intorno a me, anche tra conoscenze e amici. Per la figura di Mia mi sono ispirata tanto a Meryl Streep, anche se non le assomiglia poi tanto. Per M.O.M. è stato diverso, avevo Emilia Clarke in testa e mi avevano detto che la protagonista doveva somigliare a lei, è stato più facile ma sinceramente mi piace meno lavorare così. Mi adatto, ovviamente, è il mio lavoro, ma preferisco quando gli scrittori sono più aperti che ti lasciano più, perché sembra proprio di lavorare in team.

Mentre raccontavi di guardarti allo specchio per provare le espressioni da disegnare mi è venuta in mente una vignetta in cui Ruby si morde il labbro, mi ha colpito molto la vividezza di quell’espressione. Anche lì l’hai provata allo specchio?
Sì. Per me l’espressività è un aspetto molto importante, se il tuo personaggio ha tre espressioni sembra di vedere un po’ un Clint Eastwood (ride, ndr). Non è stato sempre facile, all’inizio avevo paura di disegnare le espressioni, oggi mi viene più naturale. Ci vogliono anni di lavoro, dobbiamo continuamente imparare a disegnare bene e in modo convincente ogni cosa. Io ho ancora un problema con gli animali, per esempio.

Eppure il gatto de L’Orda è decisamente convincente. Pur non essendo intero.

Chissà, forse proprio per quello è stato più semplice disegnarlo (ride, ndr).

 

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Quanto pensi sia importante che a scrivere e disegnare dei personaggi femminili ci siano autrici donne?

Posso dire che disegnare un personaggio femminile è più naturale per me, quando ho un personaggio maschile vado un po’ più sullo stereotipo, con una donna riesco ad andare più in profondità sulla sua personalità. Ho visto poche donne disegnare bene gli uomini, ci sono ma sono poche. E anche i miei colleghi disegnatori vedo che disegnano più facilmente un uomo. Forse succede perché un po’ lavoriamo allo specchio.

Ti senti più Mia o più Ruby?
Ruby, ma anche un po’ Mia. Tutti abbiamo qualcosa di Mia e il suo personaggio mi ha fatto tenerezza. Avevo capito subito che era una donna con un problema psicologico. Posso capire che lei si chiuda a casa per stare da sola, anche io sono un po’ così, un po’ eremita, forse anche per via del lavoro che faccio. Quando è arrivato il lockdown non è cambiato niente della mia vita. Poi fortunatamente ogni tanto esco e vedo gli amici.

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