Manovra, stretta sui pagamenti per i professionisti che lavorano per la Pa: cosa sappiamo
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Si accende la polemica intorno alla norma contenuta nella Legge di Bilancio per il 2026, all'esame del Senato, che vincola il saldo delle parcelle dei liberi professionisti che operano per la Pubblica amministrazione alla loro regolarità fiscale e contributiva: la riformulazione del testo, siglata dal ministero dell'Economia e delle Finanze, infatti, estende lo stop al pagamento a tutti gli “emolumenti”, inclusi quelli dovuti da soggetti diversi dalla Pa per incarichi con compensi “a carico dello Stato”. Dura la reazione delle categorie. Mentre la Lega, con una proposta di modifica depositata a Palazzo Madama, ha chiesto di cancellare la stretta. La situazione
Quello che devi sapere
La stretta
La stretta sui pagamenti dei professionisti che lavorano per la Pubblica amministrazione era già prevista nella prima versione della Manovra ed è stata ulteriormente rafforzata con un emendamento del governo in commissione Bilancio del Senato. Il meccanismo, dal prossimo anno, bloccherebbe qualsiasi pagamento dovuto a compensi finanziati con i soldi pubblici a favore dei professionisti che abbiano debiti con il Fisco.
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Cosa prevede la norma
Dopo la riformulazione (ulteriormente restrittiva) fatta dal ministero dell'Economia, la norma vincola il saldo delle parcelle dei professionisti che operano per la Pubblica amministrazione alla loro regolarità fiscale e contributiva, estendendo lo stop al pagamento a tutti gli "emolumenti", inclusi quelli dovuti da soggetti diversi dalla Pa per incarichi con compensi "a carico dello Stato".
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Le critiche
La stretta non è piaciuta a diversi parlamentari di centrodestra (uno su tutti il deputato della Lega Andrea de Bertoldi, che ha parlato di un "trattamento inopportuno" riservato ai professionisti). E ha anche sollevato l'indignazione delle categorie. Una norma "diabolica", che genera "discriminazioni" fra i lavoratori dipendenti e autonomi, e di cui - se verrà approvata - si valutano già "tutti i profili di incostituzionalità" per fare ricorso, hanno tuonato.
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La Lega chiede di cancellare la norma
Dopo le polemiche, la Lega ha chiesto di cancellare la norma. Il Carroccio ha depositato in Senato una proposta di modifica, a firma Gianluca Cantalamessa e Marco Dreosto. Il partito di Matteo Salvini, quindi, punta ad annullare il meccanismo in base al quale, dal prossimo anno, verrebbe bloccato qualsiasi pagamento dovuto a compensi finanziati con i soldi pubblici a favore dei professionisti che abbiano debiti con il Fisco. Nei giorni scorsi, prima della modifica della commissione, diversi esponenti parlamentari della maggioranza di centrodestra avevano sostenuto che la disposizione sarebbe stata modificata: avevano lasciato intendere, però, che non si sarebbe andati verso un'ulteriore stretta.
A favore della proposta di soppressione della norma avanzata dalla Lega si è subito schierato Rosario De Luca, presidente di ProfessionItaliane (l'organismo che riunisce 24 dei 28 Ordini) e del Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro. La proposta di soppressione, ha detto, “interviene su un testo poco comprensibile e dagli effetti distorsivi”. E ancora: "Come associazione di rappresentanza del mondo ordinistico, siamo molto attenti ai profili etici e di liceità, ma introdurre vincoli così invasivi, solo per alcuni cittadini, crea solo disparità e ingiustizie. È necessario azzerare e avviare un percorso di condivisione, totalmente assente fino al momento, anche per introdurre dei limiti". Per De Luca, infatti, se imporre "il blocco totale dei compensi è fuori da ogni logica, si potrebbe, invece, mutuare quanto previsto per i lavoratori dipendenti, ai quali notoriamente può essere prelevato al massimo 1/5 degli emolumenti”.
L’allarme del Consiglio nazionale forense
Nelle settimane passate, quando la disposizione - meno restrittiva di quella governativa approdata a palazzo Madama - era stata inserita nella Manovra, erano subito sorte le contestazioni delle categorie ordinistiche. Il primo a lanciare l'allarme era stato il presidente del Consiglio nazionale forense (Cnf) Francesco Greco che, in una nota del 28 ottobre scorso, aveva parlato di una norma "vessatoria e discriminatoria nei confronti dei liberi professionisti". E ciò soprattutto, aveva argomentato il numero uno degli oltre 232mila avvocati italiani, perché i lavoratori dipendenti, "se inadempienti ai propri obblighi fiscali, anche di importo rilevante, mantengono il diritto, ovvio e corretto, alla retribuzione".
Dopo la stretta, il Cnf ha espresso "nuovamente forte contrarietà”, definendo la misura "vessatoria e discriminatoria, che lede il diritto al lavoro in una fase economica già critica per i ceti professionali, viola il principio costituzionale di eguaglianza e la direttiva europea 2011/7/Ue sui ritardi di pagamento, e crea una disparità ingiustificata tra chi opera con clienti privati e chi lavora con la Pa, prevedendo il blocco dei compensi anche in presenza di irregolarità solo contestate o non definitive”.
“Una norma ingiustamente vessatoria”
Di “norma ingiustamente vessatoria per tutti i professionisti italiani” ha parlato anche Elbano de Nuccio, presidente dell'associazione "Professionisti Insieme". "I professionisti, non essendo prevista alcuna soglia, si troveranno a vedere bloccati i propri pagamenti anche per violazioni connesse ad importi irrisori, a fronte di prestazioni lavorative e impegno professionale spesi in favore della Pa, che se ne è comunque avvantaggiata per il perseguimento degli interessi pubblici a cui è preposta”, ha detto. “Senza contare – ha aggiunto – che l'introduzione di un sistema di verifica preventiva che obbliga la pubblica amministrazione committente a controllare la regolarità della posizione dei professionisti, tenuti a loro volta a chiedere agli enti preposti una certificazione della regolarità della posizione previdenziale (equivalente al Durc) alla Cassa di appartenenza e un attestato di conformità fiscale all'Agenzia delle Entrate, si trasformerà in un ulteriore aggravio burocratico per le amministrazioni deputate ai controlli che dovranno assicurare l'espletamento della verifica".
“La norma pone delle discriminazioni”
"La meritoria e improcrastinabile attenzione alla regolarità fiscale e contributiva non credo debba porre discriminazioni in termini di diritto tra lavoratori autonomi e subordinati", ha detto anche il presidente dell'Adepp (l'Associazione delle Casse previdenziali private) e dell'Enpam (l'Ente pensionistico dei medici e degli odontoiatri) Alberto Oliveti. “La norma pone delle discriminazioni, va senz'altro cambiata", ha aggiunto. Oliveti ha precisato che la "lotta all'evasione va portata avanti, ma ciò deve avvenire nei confronti di tutti".
Tiziana Stallone, vicepresidente dell'Adepp e presidente dell'Enpab (Ente previdenziale dei biologi liberi professionisti), ha dichiarato: "La regolarità fiscale e quella contributiva sono valori che le Casse di previdenza presidiano da sempre", ma "non possono, tuttavia, trasformarsi in strumenti che mettono in discussione il 'peso' della prestazione professionale". Ha aggiunto che non si possono "introdurre trattamenti differenziati, rispetto ad altre forme di lavoro", a scapito degli occupati indipendenti.
“Condizione vessatoria”
È intervenuta anche Anna Rita Fioroni, presidente di Confcommercio professioni. "Abbiamo chiesto la soppressione della norma contenuta in Legge di Bilancio e, invece, sembrerebbe che sia ancora più stringente" nella riformulazione governativa, tale, cioè, da "imporre al professionista di produrre la documentazione comprovante la regolarità fiscale contestualmente alla presentazione della fattura per le prestazioni rese alla Pubblica amministrazione" ed è "una condizione vessatoria", ha detto. "Ci domandiamo il perché di questa prova 'diabolica' a carico dei professionisti, quando a nessun altro viene chiesta. Peraltro già oggi c'è una previsione vigente che inibisce il pagamento di somme superiori a 5.000 euro, se ci sono importi iscritti a ruolo a carico del professionista", ha aggiunto.
“Iniziativa lesiva”
Contrario anche Gianluca Tartaro, presidente dell'Adc (Associazione dottori commercialisti). "Continuiamo a stupirci, forse anche con un po' di imbarazzo, per la norma, che vincola il saldo delle parcelle dei liberi professionisti, che operano per la Pubblica amministrazione, alla loro regolarità fiscale e contributiva", un’iniziativa "lesiva di tutti i professionisti, perché subordina il pagamento di prestazioni - regolarmente svolte - a requisiti fiscali e contributivi che nulla hanno a che vedere con il rapporto sinallagmatico e fiduciario, introducendo una disparità di trattamento rispetto ad altri lavoratori e trasferendo sui professionisti il rischio finanziario della Pubblica amministrazione", ha detto. E ancora: "Pur riconoscendo la legittimità dell'obiettivo di rafforzare la riscossione, riteniamo che la norma colpisca in modo selettivo una sola categoria di lavoratori, introducendo un trattamento sproporzionato e privo di adeguate garanzie".
Int "d’accordo sulla norma”
Chi invece è d’accordo sulla norma è Riccardo Alemanno, presidente dell'Int (Istituto nazionale tributaristi). "Al di là dell'estensione del perimetro dei soggetti con cui il professionista opera, ovvero attività produttive pagate dallo Stato, avevo dichiarato già sulla norma originaria che ero assolutamente d'accordo sul fatto che un professionista, come tutti i contribuenti, debba pagare regolarmente imposte, tasse e contributi, che poi questa regolarità sia anche condizione per ricevere i giusti compensi da parte della Pa. Non cambia, dunque, la sostanza". Se poi "un professionista è in comprovata difficoltà economica, che attivino, allora, gli istituti a supporto dei contribuenti in crisi. Su questo punto sì che ci dovrebbe essere maggiore tutela del professionista. Pertanto", ha ribadito, l'Int è "d"accordo sulla norma, come avevo già scritto, in un breve messaggio, inviato” alla premier Giorgia Meloni.
Per approfondimenti: Lo speciale sulla Manovra