Marco Biagi, 75 anni fa nasceva il riformista del lavoro ucciso dalle Br: vita e idee
EconomiaIntroduzione
Marco Biagi avrebbe compiuto oggi, 24 novembre 2025, 75 anni. Si è spento invece a 51 anni. Erano passate da poco le 20 del 19 marzo 2002 quando veniva ucciso davanti alla porta di casa sua, nel centro di Bologna, in via Valdonica, dove era appena arrivato in bici. A sparare furono i terroristi delle Nuove Brigate Rosse (Br per la costruzione del Partito comunista combattente).
In quei giorni, nei palazzi della politica a Roma, si stava discutendo una legge di riforma sul lavoro che proprio Biagi, accademico giuslavorista di spicco (in Italia e in Europa), aveva preparato. Promuoveva forme di lavoro più flessibili e dava vita a nuove tipologie contrattuali: per qualcuno era il necessario adeguamento a un mondo in cambiamento, per altri si aprivano le porte a una selvaggia precarizzazione del lavoro.
Fu ucciso in quanto “uomo di Stato”. Era in quel periodo consigliere sia del ministro Roberto Maroni nel secondo governo Berlusconi – e in quanto tale un “consigliere del governo nemico del proletariato” - che dell’allora presidente della commissione europea, Romano Prodi. Poco prima dell’attentato, Biagi aveva chiesto una scorta, dopo che il Viminale (Claudio Scajola era a capo del dicastero) aveva ritirato quella di cui già disponeva in precedenza, ma gli fu negata
Quello che devi sapere
Marco Biagi, dai libri di diritto alle cattedre
Biagi nasce il 24 novembre 1950 a Bologna. Dopo il liceo classico, si iscrive a Giurisprudenza. Si laurea a soli 22 anni. Il suo relatore è Federico Mancini, uno dei fondatori de La Rivista il Mulino. Subito dopo vince una borsa di studio in Diritto del lavoro a Pisa. Inizia a insegnare giovanissimo: già a 24 anni si muove tra le cattedre dell’Università della sua città, Modena, Ferrara e della Calabria. Compiuti 30 anni, vince il concorso straordinario per la cattedra di Diritto del lavoro e di Diritto sindacale italiano e comparato all’Università di Modena, presso il Dipartimento di Economia Aziendale. Lì entra in ruolo nel 1987. Ci rimarrà, insegnando in contemporanea anche altrove, fino all’anno della sua morte.
Per approfondire: Il mercato del lavoro si trasforma: come orientare i diplomati?
Innovatore accademico e giornalista
Biagi fu un innovatore anche a livello accademico. Nel 1991, sempre a Modena, fonda il Centro Studi Internazionali e Comparati, inaugurando un nuovo modello di ricerca nel campo del lavoro e delle relazioni industriali. Negli anni seguenti scrive, occupandosi sempre di lavoro, per testate come Il Resto del Carlino, Il Giorno, La Nazione, Italia Oggi e Il Sole 24 Ore. Con Luciano Spagnolo Vigorita è codirettore della rivista Diritto delle Relazioni Industriali (Giuffrè).
Per approfondire: Salute mentale, otto italiani su dieci pensano di lasciare il lavoro per lo stress
Le cariche istituzionali in Italia e nell’Unione europea
Nel 1995 diventa consulente per il ministero del Lavoro, capitanato ai tempi da Tiziano Treu. È in quel momento che inizia a collaborare con le cariche dello Stato. L’anno seguente è nominato presidente di una commissione per la predisposizione di un testo unico in materia di sicurezza e salute sul lavoro. Poi sarà rappresentante del governo italiano nel Comitato per l’occupazione e il mercato del lavoro dell’Unione Europea ed esperto designato dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro (per assistere la Repubblica di Bosnia-Erzegovina nella progettazione di una nuova legislazione lavorista). Biagi passa quindi al ruolo di consigliere del premier Romano Prodi (1997), poi del ministro del Lavoro Bassolino e nuovamente di Treu, però al ministero dei Trasporti. Nel 1999 è vicepresidente del Comitato per l’occupazione e il mercato del lavoro dell’Unione Europea e consigliere del ministro per la Funzione Pubblica Angelo Piazza. Nel 2001 passa al lavoro di consulente del ministro Welfare Roberto Maroni per la stesura della riforma del mercato del lavoro. Qui siamo ormai nel periodo del Berlusconi bis. Lo stesso anno viene chiamato come consigliere da Prodi, nel frattempo presidente della Commissione Europea.
Le idee di Marco Biagi – contratti flessibili
Biagi viene ricordato per le sue idee pragmatiche e di rottura rispetto al passato. La maggior parte sono contenute nel Libro Bianco sul mercato del lavoro in Italia del 2001, progetto per il quale, di fatto, fu ucciso. Socialista e cattolico, proponeva di guardare alle esperienze di Stati esteri per rendere competitivo il mondo del lavoro, nel mezzo della globalizzazione. Questo significava puntare su forme contrattuali più flessibili del classico tempo indeterminato, quelle che chiamiamo precarie: i suoi detrattori ancora oggi lo definiscono “il padre della precarietà”. Puntava a rendere il mondo del lavoro più partecipato, aprendo maggiormente a donne, anziani, disabili e studenti, ad esempio facendo maggior ricorso al part time. A esigenze diverse, diceva, dovevano corrispondere contratti diversi.
Flexicurity e welfare
Nella sua impostazione, a una dinamicità più marcata doveva per forza fare da contraltare un sistema di tutele rafforzate: in questo senso guardava al principio della “flexicurity”, tipico dei Paesi scandinavi. Europeista, parola che rivendicava anche quando gli era rivolta in tono dispregiativo, sosteneva anche la necessità di un rinnovamento dei sindacati, che avrebbero dovuto entrare in un patto sociale insieme a governo e imprenditori. Spingeva per politiche attive del lavoro, sostenitore della formazione continua (così che tutti potessero rimanere sempre “occupabili”). Il welfare avrebbe dovuto proteggere non solo chi ha già un lavoro, ma anche dare la possibilità di lavorare a chi ancora non lo ha.
La Legge Biagi del 2003
La grande riforma del lavoro del 2003 (legge n.30 del 14 febbraio, attuata con D.Lgs. 276/2003) prese le mosse dal Libro Bianco del 2001 e ancora oggi la si ricorda come Legge Biagi. Fu quella che, in sintesi, introdusse il lavoro a progetto, il lavoro intermittente e la somministrazione di lavoro. Nacquero le agenzie per il lavoro private, si promuoveva l’apprendistato, il part-time e il telelavoro.
I brigatisti che uccisero Marco Biagi
La sentenza di primo grado per l’omicidio di Biagi arrivò nel giugno 2005. La Corte d’assise di Bologna condannò all’ergastolo cinque brigatisti: Nadia Desdemona Lioce, Roberto Morandi, Diana Blefari, Marco Mezzasalma e Simone Boccaccini. Le pene furono confermate in secondo grado, tranne che per Boccaccini, a cui si decise di dare 21 anni di reclusione. Tutto confermato anche dalla Cassazione.
L’omicidio di Massimo D’Antona e il collegamento con Biagi
L’arma utilizzata per uccidere Biagi, si scoprì in seguito, fu la stessa con cui nel 1999 era stato freddato Massimo D’Antona, anche lui giuslavorista che collaborava con le cariche istituzionali per una riforma che riammodernasse il lavoro.
Per approfondire: Il lavoro che cambia: entro 10 anni scomparirà il 40% degli impieghi